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Pericolosità generica: la confessione non basta

Un uomo è stato sottoposto a sorveglianza speciale e la casa del fratello è stata confiscata sulla base di nuove intercettazioni. La Cassazione ha confermato la sorveglianza ma annullato la confisca, stabilendo che una generica “confessione” di attività criminali non è sufficiente a provare l’origine illecita dei fondi per uno specifico acquisto. Il principio di pericolosità generica richiede un legame con specifici reati che abbiano generato profitto.

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Pubblicato il 12 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Pericolosità Generica e Confisca: una Confessione Non Basta

La recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 46345/2024, offre un’analisi cruciale sui limiti della confisca di prevenzione legata alla pericolosità generica. Il caso esaminato chiarisce che una confessione generica di attività criminali, captata tramite intercettazioni, non è di per sé sufficiente a giustificare l’ablazione di un bene, se non è supportata da prove concrete che colleghino specifici profitti illeciti all’acquisto di quel bene. Questa decisione riafferma i rigorosi requisiti probatori necessari per una misura così invasiva come la confisca.

I Fatti di Causa

La vicenda giudiziaria riguarda due fratelli. Il primo, già noto alle forze dell’ordine, era stato nuovamente proposto per una misura di prevenzione personale (la sorveglianza speciale) e patrimoniale (la confisca di un immobile). L’immobile in questione, acquistato nel 2005, era formalmente intestato al secondo fratello, ritenuto un terzo interessato. Una precedente richiesta di confisca per lo stesso bene era stata rigettata in via definitiva.

Tuttavia, il procedimento era stato riaperto sulla base di nuovi elementi: alcune conversazioni intercettate in carcere nel 2021, durante le quali il proposto si vantava delle sue attività di ‘ladro e rapinatore’ e affermava di aver pagato lui stesso l’immobile con i proventi di tali attività. La Corte d’Appello, valorizzando queste intercettazioni, aveva confermato sia la sorveglianza speciale che la confisca, ribaltando il precedente giudicato.

La decisione della Cassazione sulla pericolosità generica

La Corte di Cassazione ha adottato una decisione divisa in due parti. Da un lato, ha rigettato il ricorso contro la misura di sorveglianza speciale, ritenendo che la pericolosità qualificata del soggetto fosse sufficientemente provata da altre condanne definitive. Dall’altro lato, ha accolto il ricorso per quanto riguarda la confisca, annullando senza rinvio il provvedimento e ordinando la restituzione dell’immobile al fratello.

Il fulcro della decisione risiede nella distinzione tra i presupposti per le misure personali e quelli per le misure patrimoniali basate sulla pericolosità generica.

Le motivazioni

La Corte ha chiarito che il principio del ‘ne bis in idem’ nelle misure di prevenzione opera ‘rebus sic stantibus’: se emergono nuovi elementi probatori, un caso può essere legittimamente riaperto. Le intercettazioni del 2021 costituivano, in astratto, un ‘novum’ idoneo a superare il precedente giudicato.

Tuttavia, per giustificare una confisca basata sulla pericolosità generica, non è sufficiente affermare che un soggetto viva di proventi illeciti. È necessario, come stabilito dalla Corte Costituzionale (sent. n. 24/2019), un triplice requisito:
1. Ancoraggio a fatti precisi: I delitti devono essere specifici e non generici.
2. Abitualità: I reati devono essere stati commessi in un arco temporale significativo.
3. Fonte di reddito: I proventi di tali reati devono aver costituito l’unica o una rilevante fonte di reddito per il soggetto.

Nel caso di specie, la ‘confessione’ del proposto era generica e non indicava quali specifici reati avessero generato i fondi necessari per l’acquisto e la ristrutturazione dell’immobile nel 2005. I giudici di merito, secondo la Cassazione, non hanno compiuto quel necessario collegamento tra l’attività predatoria genericamente descritta e la generazione di un profitto illecito concreto, tale da giustificare la confisca. Mancava, in altre parole, la prova che la provvista economica per l’acquisto del bene derivasse da specifici fatti di reato.

Le conclusioni

La sentenza rappresenta un importante baluardo a tutela del diritto di proprietà contro applicazioni estensive delle misure di prevenzione. La Cassazione ribadisce che, sebbene la pericolosità generica sia un valido presupposto per la confisca, essa deve essere rigorosamente provata. Una generica autodescrizione criminale, pur rilevante, non può sostituire l’onere per l’accusa di individuare le fonti illecite di reddito e di correlarle temporalmente e quantitativamente ai beni che si intendono confiscare. La decisione sottolinea la necessità di un’analisi fattuale dettagliata, impedendo che la confisca si trasformi in una sanzione basata su un mero sospetto o sullo ‘status’ criminale di un individuo.

Una ‘confessione’ in carcere è sufficiente per confiscare un bene acquistato anni prima?
No. Secondo la Cassazione, una confessione generica di attività criminali, senza riferimenti a fatti specifici che abbiano generato un profitto illecito, non è sufficiente a giustificare la confisca di un bene, specialmente se acquistato molto tempo prima.

Quali prove sono necessarie per giustificare una confisca basata sulla pericolosità generica?
È necessario dimostrare che il soggetto abbia commesso abitualmente delitti in un determinato periodo, che tali delitti abbiano effettivamente generato profitti e che questi profitti abbiano costituito una fonte di reddito rilevante. La prova deve essere ancorata a elementi di fatto precisi e non a mere affermazioni generiche.

Il principio del ‘ne bis in idem’ impedisce di riaprire un caso di prevenzione già archiviato?
Non sempre. Nei procedimenti di prevenzione, il principio vale ‘rebus sic stantibus’, ovvero ‘stando così le cose’. Se emergono nuovi elementi di prova, non valutati in precedenza, è possibile avviare un nuovo procedimento e rivalutare la pericolosità del soggetto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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