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Pericolosità generica: la Cassazione conferma la confisca

Un individuo si oppone a una misura di sorveglianza speciale e alla confisca di orologi di lusso, contestando la valutazione della sua pericolosità generica. La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, stabilendo che una lunga storia di condotte illecite, anche se non sfociate in condanne definitive, unita a una chiara sproporzione tra il patrimonio e i redditi dichiarati, sono elementi sufficienti per giustificare le misure di prevenzione.

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Pubblicato il 31 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Pericolosità Generica: Vivere di Reati Giustifica Sorveglianza e Confisca

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 6277 del 2024, affronta un caso complesso relativo alle misure di prevenzione, chiarendo i criteri per l’accertamento della pericolosità generica e le condizioni per la confisca dei beni. La decisione sottolinea come una lunga e costante carriera criminale, anche se non sempre culminata in condanne, possa fondare un giudizio di pericolosità sociale e giustificare misure restrittive personali e patrimoniali.

I Fatti del Caso: Misure di Prevenzione e Ricorso per Cassazione

Il caso ha origine da un decreto della Corte di Appello di Torino, che confermava una misura di prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno nei confronti di un individuo. Oltre alla misura personale, veniva disposta la confisca di sette orologi di valore, mentre veniva ordinata la restituzione di un’autovettura.

La Corte di merito aveva basato la sua decisione sulla sussistenza di una pericolosità generica del soggetto, desunta da due diverse ipotesi normative: quella di vivere abitualmente con i proventi di attività delittuose e quella di essere dedito alla commissione di reati contro il patrimonio. L’interessato ha presentato ricorso in Cassazione, articolando quattro motivi di impugnazione:

1. Violazione del diritto di difesa: La Corte d’Appello aveva riconosciuto una forma di pericolosità non inizialmente contestata dalla Procura, ampliando l’accusa senza un adeguato contraddittorio.
2. Insufficienza degli indizi: Gli elementi a carico erano vecchi, basati su procedimenti archiviati o reati solo tentati (inidonei a produrre reddito), senza considerare il recente percorso di reinserimento sociale del ricorrente.
3. Mancata prova sulla provenienza dei beni: Non era stata dimostrata la sproporzione tra i redditi leciti e i beni confiscati, né che i proventi illeciti fossero la fonte principale di sostentamento.
4. Eccessività della misura: La durata di tre anni della sorveglianza speciale era stata ritenuta sproporzionata.

La Valutazione della Pericolosità Generica nel Procedimento

Il ricorrente lamentava che il giudizio di pericolosità generica fosse stato esteso a un’ipotesi non contenuta nella richiesta originaria del Pubblico Ministero. Secondo la difesa, questo ampliamento avrebbe leso il diritto al contraddittorio. Inoltre, si sosteneva che gli elementi probatori fossero inadeguati, poiché basati su condotte risalenti nel tempo e procedimenti penali conclusi con archiviazioni, i quali non dovrebbero avere peso nel giudizio di prevenzione.

L’Analisi della Corte di Cassazione sulla Pericolosità Generica

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, respingendo tutte le censure della difesa con argomentazioni precise. In primo luogo, ha chiarito che nel procedimento di prevenzione il giudice può qualificare diversamente la pericolosità sociale, purché si basi sugli stessi fatti storici e sia stato garantito un effettivo contraddittorio. In questo caso, la difesa aveva avuto modo di contestare la diversa qualificazione già nel giudizio di appello.

L’Autonomia del Giudizio di Prevenzione

La Cassazione ha ribadito un principio cardine: l’autonomia del giudizio di prevenzione rispetto a quello penale. Ciò significa che il giudice della prevenzione può valorizzare elementi non sufficienti per una condanna penale, come i procedimenti archiviati per prescrizione. Nel caso specifico, i fatti, pur non avendo portato a condanne, erano stati ritenuti “altamente indicativi dell’assoluta abitualità” con cui il soggetto, in un arco temporale di 25 anni (dal 1997 al 2022), aveva commesso furti e truffe, specialmente ai danni di persone anziane.

Anche i reati tentati, come la tentata estorsione e il tentato furto, sono stati correttamente considerati come prova della propensione a delinquere, a prescindere dal mancato conseguimento di un profitto.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte ha ritenuto le doglianze del ricorrente in gran parte inammissibili perché miravano a una rivalutazione del merito, non consentita in sede di legittimità. Il ricorso per cassazione nei procedimenti di prevenzione è ammesso solo per violazione di legge, non per vizi di motivazione come l’illogicità manifesta.

La Corte d’Appello, secondo gli Ermellini, aveva correttamente applicato i principi stabiliti dalla Corte Costituzionale (sent. n. 24/2019). Per configurare la pericolosità generica di chi vive con proventi illeciti, è necessario accertare:

a) la commissione abituale di delitti;
b) la generazione effettiva di profitti;
c) che tali profitti costituiscano una componente significativa del reddito del soggetto.

Nel caso in esame, a fronte di un’attività illecita protratta e abituale, il ricorrente non aveva prodotto redditi leciti per lunghi periodi, risultando un “rilevante disavanzo negativo”. Questa sproporzione, unita alla lunga carriera criminale, è stata considerata sufficiente a dimostrare che vivesse abitualmente con i proventi di attività delittuose e a giustificare la confisca degli orologi, la cui provenienza lecita non era stata dimostrata.

Le Conclusioni

La sentenza consolida l’orientamento secondo cui il giudizio sulla pericolosità generica si basa su una valutazione complessiva della vita del soggetto, dove anche elementi non penalmente rilevanti (come le archiviazioni) possono acquisire significato. Per la confisca di prevenzione, non è richiesta la prova di un nesso diretto tra un singolo reato e un bene specifico, ma è sufficiente dimostrare una generale e significativa sproporzione tra il patrimonio posseduto e la capacità reddituale lecita, in un contesto di abituale dedizione al crimine. La decisione finale ha quindi confermato le misure, condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

Un giudice può applicare una misura di prevenzione per una categoria di pericolosità sociale diversa da quella inizialmente proposta dalla Procura?
Sì, secondo la Cassazione, il giudice può attribuire una qualificazione giuridica della pericolosità diversa da quella indicata nella proposta iniziale, a condizione che la decisione si fondi sui medesimi elementi di fatto e che sia stato assicurato alla difesa un contraddittorio effettivo e congruo su tali fatti.

I reati solo tentati o per cui è intervenuta l’archiviazione possono essere usati per dimostrare la pericolosità generica di una persona?
Sì. La Corte ha stabilito che, data l’autonomia del procedimento di prevenzione rispetto a quello penale, il giudice può valorizzare anche fatti per cui non è intervenuta una condanna, come i procedimenti archiviati (ad esempio per prescrizione) o i reati tentati. Tali elementi sono considerati indicativi della propensione a delinquere e dell’abitualità delle condotte illecite.

Per procedere alla confisca, è necessario provare un collegamento diretto tra uno specifico reato e il bene acquistato?
No, non è necessario. La confisca di prevenzione si giustifica quando le condotte criminose del soggetto sono state fonte di profitti illeciti in quantità ragionevolmente congruente rispetto al valore dei beni da confiscare, e il proposto non è in grado di giustificare l’origine lecita di tali beni. È sufficiente un quadro di sproporzione generale tra patrimonio e redditi leciti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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