Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 6277 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6   Num. 6277  Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 18/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOME, nato a Torino DATA_NASCITA
avverso il decreto del 15/6/2023 emesso dalla Corte di appello di Torino visti gli atti, il decreto impugnato e il ricorso; udita la relazione del consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona della Sostituta Procuratrice generale NOME COGNOME, che ha chiesto il rigetto del ricorso; letta la memoria depositata dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME, con
la quale si chiede l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di Appello di Torino, riformando parzialmente il decreto di primo grado, ha confermato la misura di prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno nel comune di residenza disposta nei confronti di NOME COGNOME, nonchè la confisca di alcuni beni (sette orologi di valore), disponendo,
invece, la restituzione dell’autovettura intestata al figlio del prevenuto.
Il decreto impugnato, confermando sul punto quello di primo grado, applicava la misura di prevenzione sia ai sensi della lett. b), che della lettera c) dell’art. d.lgs. n. 159 del 2011, ritenendo sussistenti entrambe le ipotesi di pericolosità generica.
Il ricorrente ha formulato quattro motivi di impugnazione, ulteriormente illustrati con memoria difensiva depositata all’esito delle conclusioni scritte del Procuratore generale.
2.1. Con il primo motivo, deduce violazione di legge in relazione al difetto di correlazione tra la richiesta di misura di prevenzione, formulata con riferimento alla sola ipotesi di cui all’art.1, lett.b), d Igs. 6 settembre 2011, n. 159, e la riten sussistenza anche dell’ulteriore ipotesi prevista dalla lett.c).
Si sostiene che l’ampliamento dei casi di pericolosità generica avrebbe comportato la lesione del diritto di difesa, non essendo stato garantito il contraddittorio.
Peraltro, la pericolosità sociale riferita alla lett.c) sarebbe stata desunta da condotte di molto risalenti nel tempo, tali da non poter suffragare il requisito dell’attualità.
2.2. Con il secondo motivo, deduce violazione di legge in relazione all’art. 1, lett. b), d Igs. 6 settembre 2011, n. 159, sottolineando come tale ipotesi di pericolosità sarebbe stata desunta sulla base di condotte di molto risalenti nel tempo, nonostante la mancanza di condanne per reati idonei a produrre reddito, tali non potendosi considerare le condanne per reati tentati (estorsione e furto), di per sé inidonei a produrre profitto, né si potrebbero valorizzare i fatti per i qual sono intervenuti provvedimenti di archiviazione.
I giudici di merito, inoltre, non avrebbero valorizzato la circostanza che il ricorrente ha recentemente ottenuto l’affidamento in prova ai servizi sociali, con provvedimento del Tribunale di sorveglianza di Torino, fatto che depone per l’esclusione della pericolosità.
Infine, difetterebbe l’accertamento in ordine al nesso tra la commissione di condotte illecite e l’effettiva produzione di redditi illeciti, la cui entità non sare stata in alcun modo quantificata, difettando anche la dimostrazione che i proventi illeciti abbiano realmente costituito la principale fonte di entrate per il prevenuto.
2.3. Con il terzo motivo, deduce violazione degli artt. 16, 18 e 24 del d Igs. 6 settembre 2011, n. 159, ribadendo che i giudici di merito avrebbero omesso la doverosa verifica dell’idoneità dei redditi leciti del ricorrente a giustificare acquisti dei beni sequestrati. A tal fine, peraltro, è stata dedotta l’esistenza d
redditi non dichiarati, precisando che nel caso di specie l’evasione fiscale, non assurgendo ad illecito penale, non potrebbe essere posta a fondamento della misura di prevenzione.
In definitiva, i giudici di merito non avrebbero dimostrato che COGNOME vivesse abitualmente con i proventi di attività delittuose, tanto meno era stata accertata l’effettiva provenienza dei beni sequestrati.
2.4. Con il quarto motivo di ricorso, si deduce la violazione di legge in relazione all’applicazione della misura di prevenzione personale, anche in relazione all’eccessività della durata (tre anni) e delle prescrizioni imposte (obbligo di dimora).
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
 Il primo motivo di ricorso, con il quale ci si duole del difetto di contestazione tra la richiesta e il decreto applicativo della misura, è manifestamente infondato.
Invero, per consolidata giurisprudenza nel procedimento di prevenzione, non si configura una violazione del principio di correlazione tra contestazione e decisione qualora il provvedimento applicativo della misura ritenga sussistente una categoria di pericolosità sociale diversa da quella indicata nella proposta, purché la nuova definizione giuridica sia fondata sui medesimi elementi di fatto posti a fondamento della proposta, in relazione ai quali sia stato assicurato alla difesa un contraddittorio effettivo e congruo. (In motivazione la Corte ha, altresì, escluso l’applicabilità nel procedimento di prevenzione dei principi affermati dalla Corte Edu nella sentenza Drassich c. Italia del 11 dicembre 2007 e, dunque, la necessità che la difesa sia chiamata ad interloquire sulla diversa qualificazione della categoria di pericolosità sociale) (Sez.1, n. 8039 del 5/2/2019, Aliffi, Rv. 274915). Si è anche precisato che alla difesa deve essere assicurato un contraddittorio effettivo in merito all’abitualità della commissione di delitti idonei a produrre profitti tali da aver costituito il reddito esclusivo, o comunque significativamente rilevante, del proposto, nonché in merito alla perimetrazione temporale della pericolosità, alla riconducibilità degli acquisti a tale periodo ed alla commissione di reati fonte di profitti in quantità ragionevolmente congruente rispetto al valore dei beni che si intendono confiscare (Sez.6, n. 29157 del 12/4/2023, COGNOME, Rv. 285039-01).
La difesa ha contestato l’applicabilità di tali principi al caso di specie evidenziando, nella memoria conclusiva, come tali principi non sarebbero validi nel
caso in cui la diversa qualificazione non abbia riguardato il riconoscimento della pericolosità generica a fronte di quella qualificata, bensì la ritenuta sussistenza della specifica ipotesi prevista dalla lett. c), dell’art. 1, d Igs. 6 settembre 2011, 159, comportante effetti sostanziali rilevanti, quali l’applicazione di prescrizioni più rigorose rispetto a quelle derivanti dalla pericolosità ex lett.b).
L’argomento difensivo è privo di fondamento per una pluralità di ragioni.
In primo luogo, deve ritenersi che il principio secondo cui il giudice ha sempre la possibilità di addivenire ad una diversa qualificazione del fatto è valido sia nel caso in cui si ritenga la pericolosità “generica” a fronte della contestazione della pericolosità “qualificata”, sia nel caso in cui si individuino plurimi profili pericolosità generica, come avvenuto nella fattispecie in esame.
Invero, il dato di fondo è costituito dal principio per cui la qualificazione giuridica è rimessa al giudice, salvo restando l’immutabilità del fatto contestato, con la conseguenza che deve ritenersi pienamente lecita l’individuazione di una pluralità di ipotesi di pericolosità, pur se una di queste vada ad aggiungersi a quella ipotizzata dalla pubblica accusa.
Per quanto concerne, invece, la presunta maggiore afflittività delle conseguenze derivanti dalla pericolosità ex lett.c), si tratta di una mera deduzione difensiva che, invero, non trova riscontro nel provvedimento impugnato, né, del resto, risulta che in sede di appello tale aspetto sia stato espressamente oggetto dei motivi di impugnazione.
Infine, deve rilevarsi come la difesa non possa lamentare alcuna lesione del principio del contraddittorio, né lesioni alle prerogative difensive, posto che l’individuazione della pericolosità ex lett.c), in aggiunta a quella contestata ai sensi della lett. b), dell’art.4, comma 1, d. Igs. 6 settembre 2011, n. 159, è stata effettuata con il decreto emesso dal Tribunale, il che ha consentito alla difesa di contestarne la fondatezza fin dall’appello e, quindi, anche in sede di merito.
Il secondo e terzo motivo di ricorso possono essere trattati congiuntamente.
Si contesta la violazione di legge in ordine alla carente individuazione di tutti i presupposti legittimanti l’accertamento della pericolosità generica, difettando la prova che il ricorrente vivesse abitualmente con i proventi di attività delittuose.
Viene sottolineata, in particolare, l’inidoneità dei delitti tentati, per i quali so intervenute le uniche condanne a carico del ricorrente, a produrre reddito, mentre, per le restanti ipotesi di reato, i procedimenti si sono conclusi con provvedimenti di archiviazione, in quanto tali inidonei a fondare il giudizio di pericolosità.
Il motivo di ricorso deve essere esaminato nei limiti in cui si limita a censurare
un’ipotesi di violazione di legge, risultando inammissibili quelle doglianze che attengono, invece, essenzialmente alla motivazione. Per consolidata giurisprudenza, infatti, nel procedimento di prevenzione il ricorso per cassazione è ammesso soltanto per violazione di legge, ne consegue che è esclusa dal novero dei vizi deducibili in sede di legittimità l’ipotesi dell’illogicità manifesta di cui all 606, lett. e), cod. proc. pen., potendosi esclusivamente denunciare con il ricorso il caso di motivazione inesistente o meramente apparente (Sez. U, n.33451 del 29/05/2014, Repaci, Rv. 260246).
Ciò posto, alcuna violazione di legge è riscontrabile nel caso di specie, avendo la Corte di appello fatto pacifica applicazione del principio di autonomia tra il giudizio penale e quello di prevenzione, ritenendo di valorizzare le molteplici archiviazioni disposte per prescrizione del reato. I fatti in esame, pur non avendo comportato condanne penali, sono stati ritenuti altamente indicativi dell’assoluta abitualità con la quale il ricorrente, nel corso di un periodo temporale estremamente lungo (dal 1997 al 2022), ha posto in essere condotte seriali e contraddistinte da un modus operandi collaudato, volte principalmente a perpetrare furti e truffe ai danni di anziani (pg.17).
Anche il richiamo alla tentata estorsione ed al tentato furto, per i quali sono intervenute sentenze definitive di condanna, sono state correttamente valorizzate ai fini della valutazione della pericolosità, posto che si tratta di fatti dimostrati della propensione del ricorrente a commettere reati contro il patrimonio.
3.1. Le doglianze concernenti le valutazioni espresse in ordine all’attività lecita svolta dal ricorrente, alla produzione di reddito ed alla incidenza della dedotta esistenza di redditi non dichiarati non integrano alcuna violazione di legge, bensì concernono esclusivamente aspetti motivazionali non sindacabili in questa sede.
A ben vedere, infatti, la Corte di appello ha preso in esame tali dati, formulando una valutazione di merito diversa da quella propugnata dalla difesa ma che, per le ragioni anzidette, non può dar ingresso a motivi di ricorso in sede di legittimità.
Analoghe considerazioni valgono anche in GLYPH relazione all’incidenza dell’affidamento in prova al servizio sociale, evenienza che non può esplicare alcun effetto diretto nel giudizio di prevenzione, stante l’autonomia e diversità dei presupposti cui questo si ispira.
3.2. Maggiormente problematiche sono, invece, le questioni concernenti la confisca e, in particolare, la ritenuta necessità di individuare l’effettivo profit conseguito dall’attività delittuosa, il fatto che l’attività illecita costituis principale fonte di reddito del prevenuto, nonché l’individuazione di una correlazione tra profitti illeciti e valore dei beni confiscati.
A seguito della pronuncia resa da Corte cost., sent. n.24 del 2019, i contorni dell’ipotesi di pericolosità generica disciplinata dall’arti, lett.b), d.lgs. n. 159 2011 sono stati compiutamente descritti, anche e soprattutto nell’ottica di valorizzare la tassatività della previsione normativa. Si è affermato, pertanto, che la pericolosità generica configurabile nei confronti dei soggetti che «vivono abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuosa» presuppone l’individuazione di categorie di delitto idonee a fondare il tipo di pericolosità in esame. La verifica della pericolosità passa attraverso l’accertamento di specifici elementi di fatto dai quali desumere che si tratti di: a) delitti commessi abitualmente (e dunque in un significativo arco temporale) dal soggetto; b) che abbiano effettivamente generato profitti in capo a costui; c) i quali a loro volta costituiscano – o abbiano costituito in una determinata epoca – l’unico reddito del soggetto, o quanto meno una componente significativa di tale reddito (così in motivazione Corte cost., sent. n.24 del 2019).
Le doglianze difensive risultano manifestamente infondate, dovendosi ritenere che la Corte di appello si è attenuta ai principi normativi applicabili in materia, stabilendo che a fronte di un’attività illecita, sicuramente idonea a produrre redditi, protrattasi nel tempo e svolta con modalità tipiche di un’attività abituale e collaudata, per lunghi periodi il ricorrente non ha prodotto alcun reddito e, pur considerando i limitati redditi leciti emergenti per esigue frazioni del periodo sospetto, risulta un rilevante disavanzo negativo.
Si tratta di elementi valutativi che, per quanto basati anche su dati indiziari, sono sicuramente idonei a far ritenere che il ricorrente abbia, per un periodo di tempo notevole, vissuto abitualmente con i proventi di attività delittuose. Né può rilevare che, per singole frazioni temporali, vi siano stati apporti reddituali leciti posto che tale fattore non costituisce di per sé un elemento idoneo ad escludere né la pericolosità di cui alla lett.b), dell’art. 1, d. Igs. 6 settembre 2011, n. 15 né la confiscabilità dei beni di cui non si giustifica la provenienza lecita.
Infine, per quanto concerne l’ulteriore aspetto concernente la riconducibilità degli acquisti dei beni sequestrati ai proventi illeciti, deve precisarsi che l’ablazione disposta ai sensi dell’art. 1, comma 1, lett. b), d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, per la ritenuta pericolosità generica del proposto, si giustifica, alla luce dei parametri definiti dalla Corte costituzionale con sent. n. 24 del 2019, se, e nei soli limiti in cui, le condotte criminose compiute dal soggetto risultino essere state effettivamente fonte di profitti illeciti, in quantità ragionevolmente congruente rispetto al valore dei beni che si intendono confiscare, la cui origine lecita il proposto non sia in grado di giustificare (Sez.6, n. 29157 del 12/4/2023, COGNOME, Rv. 285039-02).
Tali parametri di valutazione risultano rispettati nel caso di specie, avendo la Corte di appello escluso la sussistenza di redditi leciti idonei a giustificare l’acquisto di orologi di valore e, al contempo, l’abitualità delle condotte delittuose produttive di reddito è tale da far ritenere compatibile il profitto ottenuto con l’acquisto dei predetti beni.
L’ultimo motivo di ricorso è manifestamente infondato, risolvendosi in una generica contestazione rispetto all’applicazione della misura personale ed alla determinazione della sua durata.
Invero, la Corte di appello ha reso una motivazione dettagliata ed esauriente, tale da escludere la sussistenza di una motivazione meramente apparente, illustrando i plurimi motivi posti a fondamento del giudizio di pericolosità del prevenuto e la necessità di sottoporlo alla misura di prevenzione per un lasso temporale parametrato al lungo periodo in cui si è manifestata la pericolosità.
 Alla luce di tali considerazioni, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Il Consigliere estensore
Così deciso il 18 gennaio 2024
Il Pres, dente