Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 21629 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 21629 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 19/04/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto nell’interesse di COGNOME NOME, nato a Cerignola il DATA_NASCITA, contro l’ordinanza del Tribunale di Bologna dell’8.2.2024;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza dell’8.2.2024 il Tribunale di Bologna ha respinto l’appello proposto nell’interesse di NOME COGNOME contro il provvedimento con il quale
il GIP aveva rigettato l’istanza di sostituzione, con quella degli arresti domiciliari, della misura della custodia cautelare in carcere che era stata adottata nel giugno del 2023 nei confronti dell’odierno ricorrente in quanto gravemente indiziato dei delitti di rapina pluriaggravata in concorso, detenzione e porto d’arma da sparo e ricettazione di quest’ultima in quanto provento del delitto di rapina in danno di un furgone portavalori avvenuta nell’ottobre del 2022;
ricorre per cassazione il COGNOME a mezzo del difensore di fiducia che deduce: violazione di legge e vizio di motivazione; inosservanza degli artt. 27, 274, lett. c), 275, comma 3-bis e 275-bis cod. proc. pen.; illogicità della motivazione in ordine alla imprescindibilità della misura carceraria: rileva che la valutazione operata dal Tribunale di Bologna in ordine alla diagnosi di pericolosità criminale, si fonda su precedenti del 2005, 2007 e 2008 rispetto alla tentata rapina per cui si procede laddove la praticabilità del ricorso a misure non detentive poteva essere desunta dagli arresti domiciliari eseguiti nel 2006 e sulla detenzione domiciliare cui il ricorrente era stato ammesso il 2.10.2017; osserva che la inidoneità dell’ambito domestico a rappresentare un adeguato disincentivo a reiterare condotte delittuose andava riferita non già al passato ma al presente e che la attitudine del ricorrente a porre in essere condotte penalmente rilevanti anche in ambito domestico non aveva alcun riscontro laddove la provenienza geografica dei rapinatori non può rappresentare una presunzione di inadeguatezza della misura domiciliare che deve essere invece fondata su elementi di concretezza;
la Procura AVV_NOTAIO ha trasmesso la requisitoria scritta ai sensi dell’art. 23, comma 8, del DL 137 del 2020 concludendo per il rigetto del ricorso: richiama, infatti, il contesto in cui è maturata la vicenda in esame consistente nel tentativo di assalto di un furgone portavalori blindato ad opera di una “batteria” di “trasfertisti” e su cui inserisce la personalità negativa dell’indagato che si era unito al gruppo nell’ambito di una organizzazione che contemplava l’uso di armi di provenienza delittuosa e di autovetture con targhe donate, che è emblematica l’elevatissimo spessore criminoso in cui si versa e la elevata caratura delinquenziale dell’indagato, congruamente valorizzate nel provvedimento del Tribunale di Bologna.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché articolato con censure manifestamente infondate.
NOME COGNOME era stato attinto dalla misura della custodia cautelare in carcere adottata dal GIP del Tribunale di Bologna in data 3.6.2023 in quanto ritenuto gravemente indiziato per avere, unitamente a due complici, posto in atto un tentativo di rapina aggravata dall’uso di arma da sparo e da più persone riunite e travisate, ai danni di un furgone portavalori, nonché dei connessi reati di ricettazione, detenzione e porto d’arma da sparo.
Con istanza del 10.1.2024, la difesa aveva avanzato istanza di sostituzione della misura inframuraria con quella degli arresti domiciliari motivando sul rilievo secondo cui la misura generica era ormai cessata per i reati di cui ai capi b) e c) ed in essere per il solo capo a) ed adducendo, quali ulteriori elementi di “novità”, che uno dei correi aveva già ottenuto la sostituzione della misura inframuraria con quella domiciliare e che il PM sta procedendo a piede libero nei confronti di un quarto indagato; aveva aggiunto che erano in corso accertamenti peritali svolti nelle forme dell’incidente probatorio destinati a riflettersi sulla durata e complessità del procedimento sottolineando, da ultimo, il maturarsi di un presofferto cautelare di sette mesi.
Il GIP aveva respinto la richiesta con motivazione condivisa dal Tribunale che ha in primo luogo richiamato le considerazioni già spese in sede di adozione della misura genetica anche in ordine alla inadeguatezza del presidio rappresentato dall’applicazione del braccialetto elettronico, considerati per un v verso l’oggettiva gravità del fatto e, per altro verso, la non rassicurante personalità del ricorrente “… sia alla luce RAGIONE_SOCIALE circostanze del fatto che alla luce dei suo numerosi – ed inquietanti – trascorsi giudiziari”.
Ha infatti evidenziato che si era trattato di un tentativo di rapina in danno di un furgone portavalori perpetrato da una “batteria” composta da almeno tre rapinatori, tutti travisati ed giunti in “trasferta” (da Cerignola a Bologna) a bordo di autovetture dotate di targhe “clonate” e muniti di una pistola semiautomatica proveniente anch’essa da una rapina.
I giudici del riesame hanno perciò congruamente potuto porre in rilievo la “professionalità” dei protagonisti dell’iniziativa criminosa tra cui l’odiern ricorrente, già raggiunto da quattro condanne per rapina (e reati connessi quali lesioni personali e porto d’armi) oltre ad altre condanne per reati in materia di stupefacenti e resistenza a pubblico ufficiale.
Sotto il profilo della inadeguatezza della misura extramuraria, quindi, il Tribunale ha fatto presente come le precedenti condanne fossero state espiate con modalità anche differenti e, tuttavia, sempre ed in ogni caso senza alcun effetto dissuasivo circa la reiterazione di condotte dello stesso genere sì da fondare una
diagnosi negativa sulla effettiva idoneità degli AA.DD. a tutelare le esigenze cautelari indubbiamente ravvisabili; a tal proposito, infatti, ha bene e correttamente evidenziato che gli AA.DD. suppongono un elevato livello di autodisciplina di cui, proprio alla luce della “storia criminale” del ricorrente, no poteva farsi credito al COGNOME.
I giudici dell’appello cautelare hanno inoltre spiegato come anche il ricorso al “braccialetto elettronico” non impedirebbe al ricorrente di porre in essere condotte penalmente rilevanti e, in definitiva, non sarebbe di reale ostacolo alla “… riedizione di comportamenti antigiuridici prodromici, ideativi, organizzativi di altre imprese criminose simili …”.
Hanno stimato irrilevanti le circostanze segnalate dalla difesa in punto di “difformità di trattamento” rispetto alla situazione cautelare dei correi sottolineando come il coindagato posto agli AA.DD. aveva ottenuto la sostituzione della misura detentiva per motivi di salute.
Né, hanno osservato, il “presofferto cautelare” consentiva di evincere l’emersione di effetti deterrenti rispetto al rischio reale di reiterazione.
E’ d’altra parte appena il caso di ribadire che l’apprezzamento della pericolosità dell’indagato sottoposto alla misura coercitiva ed in merito alla adeguatezza o meno di una misura rispetto ad altra, al fine di garantire il pur ravvisato pericolo di reiterazione nel reato, è un giudizio riservato al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità, se – come si deve ritenere nel caso di specie COGNOME – COGNOME congruamente COGNOME e COGNOME logicamente COGNOME motivato COGNOME (cfr., COGNOME Sez. 3 -, n. 7268 del 24/01/2019, COGNOME NOME, Rv. 275851 01; Sez. 6, n. 17314 del 20/04/2011, COGNOME, Rv. 250093 – 01) e che ai fini dell’attenuazione o della revoca della misura della custodia cautelare in carcere, il mero decorso di un pur lungo periodo di carcerazione non assume di per sé rilievo come fattore di attenuazione RAGIONE_SOCIALE esigenze cautelari, esaurendo la sua valenza soltanto nell’ambito della disciplina dei termini di durata massima della custodia (cfr., tra le tante, Sez. 1, n. 19818 del 23/03/2018, COGNOME, Rv. 273139 – 01; Sez. 1, n. 24897 del 10/05/2013, COGNOME, Rv. 255832 01; Sez. 2, n. 45213 dei 08/11/2007, COGNOME, Rv. 238518 – 01).
L’inammissibilità del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali e, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., della somma, che si stima equa, di euro 3.000, in favore della RAGIONE_SOCIALE, non ravvisandosi ragione alcuna d’esonero.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali e della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1 -ter, disp. att. cod. proc. pen..
Così deciso in Roma, il 19.4.2024