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Pericolosità attuale: tempo e custodia cautelare

La Corte di Cassazione ha annullato un’ordinanza di custodia cautelare in carcere per reati di droga, stabilendo che il giudice di merito non aveva adeguatamente valutato la pericolosità attuale dell’indagato. Dato il notevole tempo trascorso dai fatti (circa sei anni) senza ulteriori condotte illecite, la Corte ha ritenuto insufficiente la motivazione basata solo sulla gravità dei reati passati, rinviando il caso per una nuova valutazione che tenga conto del mutato contesto temporale e personale.

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Pubblicato il 26 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Pericolosità attuale e decorso del tempo: la Cassazione annulla la custodia in carcere

La valutazione della pericolosità attuale di un indagato è un pilastro del nostro sistema processuale penale quando si tratta di applicare misure restrittive della libertà, come la custodia in carcere. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha ribadito con forza un principio fondamentale: il semplice trascorrere del tempo non è un dettaglio, ma un fattore cruciale che può indebolire la presunzione di pericolosità, anche per reati molto gravi. Analizziamo come i giudici di legittimità hanno annullato un’ordinanza di custodia in carcere per reati legati al traffico di droga, contestati ben sei anni prima della misura.

I fatti del caso: la contestazione e il ricorso

Il caso riguarda un uomo destinatario di un’ordinanza di custodia cautelare in carcere per associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti e plurime detenzioni illecite di cocaina. I fatti contestati risalivano al periodo tra marzo e giugno del 2019. L’indagato, tramite il suo difensore, ha presentato ricorso in Cassazione contro la decisione del Tribunale della libertà che aveva confermato la misura, sollevando due questioni principali.

La richiesta di retrodatazione della misura

In primo luogo, la difesa sosteneva che i termini della custodia cautelare avrebbero dovuto essere retrodatati. L’indagato era già stato arrestato nel 2019 per un fatto connesso (il possesso di 18 kg di cocaina) e aveva quasi scontato la relativa pena. Secondo il ricorrente, gli elementi alla base delle nuove accuse erano già “deducibili” dagli atti del primo procedimento, e quindi la nuova misura avrebbe dovuto decorrere dalla data della prima.

La valutazione della pericolosità attuale

In secondo luogo, e questo è il punto cruciale della decisione, la difesa lamentava una carenza di motivazione riguardo alla sussistenza delle esigenze cautelari. Veniva evidenziato che:
– I fatti erano molto risalenti (2019).
– L’indagato aveva quasi espiato la pena per il reato connesso.
– Durante il periodo trascorso agli arresti domiciliari, la sua condotta era stata impeccabile.
– Aveva interrotto ogni legame con gli ambienti criminali e stava costruendo un nuovo progetto di vita con la sua compagna, in attesa di un figlio, in un luogo lontano da quello dei fatti.

La decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha analizzato distintamente i due motivi di ricorso, giungendo a conclusioni opposte.

Il primo motivo, relativo alla retrodatazione, è stato rigettato. I giudici hanno chiarito che la “deducibilità” degli indizi non equivale a una mera conoscibilità storica. Per poter retrodatare una misura, è necessario che gli atti del primo procedimento contenessero già elementi tali da consentire al pubblico ministero una valutazione compiuta sulla gravità degli indizi per i nuovi reati. In questo caso, invece, le nuove accuse erano emerse solo a seguito di complesse indagini successive, culminate in un’informativa del 2021 e nelle dichiarazioni di un collaboratore di giustizia del 2023. Pertanto, non era possibile far decorrere la misura dal 2019.

Il principio della pericolosità attuale e il decorso del tempo

Il secondo motivo è stato invece accolto. La Corte ha ritenuto fondata la censura sulla motivazione della pericolosità attuale. I giudici di legittimità hanno affermato che non si può ignorare il notevole lasso di tempo trascorso dai fatti contestati, circa sei anni. Sebbene per reati come l’associazione a delinquere finalizzata al traffico di droga la legge preveda una presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari, questa presunzione non è assoluta.

La valutazione dei Giudici

La Corte ha richiamato la propria giurisprudenza consolidata, secondo cui il tempo trascorso senza che siano emerse ulteriori condotte sintomatiche di perdurante pericolosità è un elemento che “può rientrare tra gli elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari”. Il Tribunale, nel confermare il carcere, si era limitato a enfatizzare la gravità del ruolo svolto dall’indagato nella vicenda delittuosa passata, senza però indicare elementi specifici dai quali desumere il perdurare della sua pericolosità nel presente.

Le motivazioni

La motivazione della Cassazione è chiara: la valutazione delle esigenze cautelari deve essere ancorata all’attualità. Un giudizio basato esclusivamente sulla gravità dei fatti commessi anni prima, senza considerare l’evoluzione della vita dell’indagato e la sua condotta successiva, risulta carente. Il Tribunale aveva liquidato la richiesta di arresti domiciliari con argomentazioni fragili, assimilando la futura coabitazione con la compagna e il figlio alla passata custodia della droga presso l’abitazione dei genitori, trascurando così “la rilevanza del tempo trascorso dai fatti e gli effetti della patita carcerazione”. La Corte ha quindi annullato l’ordinanza, rinviando gli atti al Tribunale per una nuova valutazione che dovrà obbligatoriamente tenere conto del principio di diritto affermato, ovvero l’impatto del tempo sulla pericolosità attuale.

Le conclusioni

Questa sentenza ribadisce un principio di civiltà giuridica: nessuna misura restrittiva della libertà può fondarsi su un automatismo. Il giudice ha sempre il dovere di effettuare una valutazione concreta, individualizzata e, soprattutto, attuale della pericolosità della persona. Il decorso di un lungo periodo di tempo senza nuovi segnali di allarme sociale non è un fattore secondario, ma un elemento potente che può e deve essere utilizzato per riconsiderare la necessità della misura più afflittiva. La decisione rappresenta un importante monito a non trasformare la custodia cautelare da strumento di prevenzione a un’anticipazione della pena basata su fatti ormai lontani nel tempo.

Quando è possibile retrodatare i termini di una misura cautelare?
Secondo la sentenza, la retrodatazione è possibile solo quando gli indizi di colpevolezza per i nuovi reati erano già chiaramente e compiutamente “deducibili” dagli atti del primo procedimento. Non è sufficiente che i fatti fossero genericamente noti, ma occorre che il pubblico ministero fosse già in condizione di formulare una valutazione adeguata sulla gravità degli indizi.

Il tempo trascorso dai fatti può giustificare l’annullamento della custodia in carcere?
Sì. La Corte ha stabilito che un notevole arco temporale trascorso dai reati contestati (in questo caso circa sei anni), specialmente se non accompagnato da nuove condotte criminali, è un elemento cruciale. Questo fattore può vincere la presunzione di pericolosità prevista dalla legge per certi gravi reati e portare all’annullamento della misura cautelare in carcere se non viene adeguatamente motivata una pericolosità attuale.

Cosa deve valutare il giudice per decidere sulla pericolosità attuale di un indagato?
Il giudice deve effettuare una valutazione specifica e concreta basata sulla situazione presente dell’indagato. Non può limitarsi a considerare la gravità dei reati commessi in passato, ma deve analizzare elementi come il tempo trascorso, la condotta di vita successiva ai fatti, eventuali percorsi di risocializzazione e il contesto personale e familiare, per stabilire se il rischio che commetta nuovi reati sia ancora concreto e attuale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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