Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 1838 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 1838 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 17/12/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a SAN CIPRIANO D’AVERSA il 30/10/1980
avverso il decreto del 17/09/2024 della CORTE APPELLO di BOLOGNA
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME lettets – erntitg le conclusioni del PG P <Se/22 4: , ca. A eik,k(9r(–d
RITENUTO IN FATTO
1.Con il decreto impugnato, la Corte appello Bologna, in parziale riforma del decreto del Tribunale di Modena, depositato il 21 dicembre 2023, ha ridotto ad anni tre la durata della misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza applicata ad NOME COGNOME con decreto del Tribunale di Modena del 21 maggio 2015, fermo restando l'obbligo di soggiorno per la durata di anni tre.
Il provvedimento del 21 maggio 2015 aveva applicato al proposto la misura di sicurezza della sorveglianza speciale, per il periodo di anni cinque, con obbligo di soggiorno nel Comune di Modena (poi modificato quanto al Comune di soggiorno obbligato) per il periodo di anni tre.
2.Avverso il decreto indicato, ha proposto tempestivo ricorso per cassazione, per il tramite del difensore, avv. NOME COGNOME, il proposto denunciando, con un unico motivo, omessa o erronea valutazione di prove acquisite per ritenere sussistente la pericolosità, con conseguente richiesta di annullamento o revoca del provvedimento impugnato per carenza di elementi che comprovano la pericolosità o per la mancanza dei presupposti per l'applicazione della misura, nonché carenza di motivazione in ordine all'attualità della pericolosità.
2.1. Deduce il ricorrente che il decreto fonda la misura di prevenzione sulle medesime argomentazioni dell'Autorità che aveva proposto la misura, nonché in base al precedente provvedimento di applicazione, del 21 maggio 2015, eseguito in data 3 settembre 2015.
Infatti, a parere del ricorrente, il decreto si limita a riportare i precedenti proposto, senza considerare il lunghissimo tempo decorso dalla data dell'applicazione della misura (otto anni) e il periodo di carcerazione subita, dal 21 novembre 2015 al 12 dicembre 2023.
Unico elemento di novità è rappresentato dalla pendenza di un procedimento per truffa, nonché da diverse violazioni della misura di prevenzione, circostanza per la quale, comunque, i giudici di appello hanno riformato in melius il primo decreto quanto alla durata della misura.
Si segnala che tutte le condanne riportate da COGNOME sono precedenti o coeve all'applicazione della misura e, dunque, già valutate nel precedente provvedimento applicativo in quanto risalenti all'anno 2015 e, comunque, precedenti a un lunghissimo periodo di carcerazione nel corso del quale COGNOME ha partecipato a un processo di riabilitazione, con osservanza dei precetti normativi e delle prescrizioni.
Con riferimento al carico pendente, si osserva che il ricorrente, in allegato all'atto di appello, aveva prodotto copia dell'avviso ex art. 415-bis cod. proc. pen., per dimostrare la scarsa portata della condotta addebitata.
Mancherebbe, poi, ogni valutazione sulla condotta di vita attuale, sulle frequentazioni o altri elementi incidenti sulla valutazione di attualità dell pericolosità onde sottoporre, nuovamente, Corvino alla misura di prevenzione, in assenza di una motivazione analitica in ordine alla necessità di confermare la misura rispetto a precedenti penali che si arrestano al 2015.
2.2. Si richiama giurisprudenza di legittimità secondo la quale il requisito della pericolosità non può essere dedotto per presunzioni ma va provato con indizi evidenti e univoci (tra le altre si citano Sez. 5, n. 23041 del 2002, Sez. 6 n. 1606 del 1995). Il ricorrente, infine, richiama Sez. U, ricorrente COGNOME per segnalare la necessità che la pericolosità concreta, anche nel caso di indiziati di mafia, va valutata non sulla base della mera appartenenza ad una delle categorie tipizzate, di cui all'art. 4, né sul mero fatto storico che il destinatario della misu abbia avuto rapporti o legami con associazioni mafiose, ma reputa necessaria un'analisi degli indici di pericolosità per trarre l'attualità di questa al moment applicativo della misura.
3.11 Sostituto Procuratore generale, NOME. COGNOME, ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è inammissibile.
1.1. Va premesso che, nei confronti dell'attuale ricorrente, l'esecuzione della misura di prevenzione, in atto a suo carico dal 3 settembre 2015, è stata sospesa per detenzione, fino al 12 dicembre 2023, con rivalutazione della pericolosità sociale ai sensi dell'art. 14, comma 2-ter, d. Igs. n. 159 del 6 settembre 2011.
Si tratta di pericolosità sociale che, secondo il decreto genetico, è stata riconosciuta ai sensi delle lett. a) e b) dell'art. 1 d. 1gs. cit.
Tuttavia, la motivazione del provvedimento impugnato è incentrata sulle condotte riferite alla fattispecie di cui alla lett. b) dell'art. 1 d. Igs. n. 1 2011, quindi con ragionamento che ha rivalutato, nei fatti, soltanto il parametro di pericolosità tuttora vigente, trovando riscontri adeguati, in conformità alle linee stabilite dalla Corte Cost. n. 24 del 2019, come sarà, più avanti, compiutamente illustrato.
Ciò posto, il Collegio rileva che l'art. 14 cit., cui sono stati aggiunti i comm 2-bis e 2-ter, dall'art. 4 della Legge 17 ottobre dei 2017 n. 161, prevede che
l'esecuzione della sorveglianza speciale debba restare sospesa durante il tempo in cui l'interessato è sottoposto alla misura della custodia cautelare (comma 2bis) o a detenzione per espiazione di pena (comma 2-ter).
Per il caso di detenzione per espiazione pena, la norma, inoltre, richiede, all'esito della detenzione – non più protrattasi necessariamente per almeno due anni per effetto dell'intervento della Corte Cost. n. 162 del 17 ottobre 2024 – la verifica dell'attuale pericolosità ad opera del Tribunale, anche d'ufficio.
Il Tribunale competente deve, ai fini del decidere, assumere le necessarie informazioni presso l'Amministrazione penitenziaria e l'autorità di pubblica sicurezza. Se la pericolosità sociale è cessata, il Tribunale adotta il decreto con il quale revoca il provvedimento di applicazione della misura di prevenzione; se, invece, detta pericolosità persiste, il Tribunale ordina l'esecuzione della misura di prevenzione, il cui termine di durata continua a decorrere dal giorno in cui il decreto stesso è comunicato all'interessato (Sez. U, n. 51407 del 21/06/2018, M., Rv. 273952).
La riforma del 2017, pertanto, dando attuazione al contenuto della sentenza della Corte cost. n. 291 del 2013, ha determinato che la detenzione di lunga durata determini la sospensione dell'esecuzione della misura di prevenzione, sospensione che, comunque, non cessa automaticamente, con la fine della detenzione, ma permane fino a quando l'organo competente non accerti la persistenza della pericolosità dell'interessato.
Va, quindi, considerato condivisibile l'orientamento giurisprudenziale, secondo cui non è configurabile il reato di violazione degli obblighi inerenti alla sorveglianza speciale, previsto dall'art. 75 d.lgs. n. 159 del 2011, nei confronti di chi sia stato sottoposto nuovamente alla misura di prevenzione, dopo aver trascorso un consistente periodo di detenzione, senza che nei suoi confronti si sia proceduto a un'effettiva rivalutazione dell'attualità e persistenza della sua pericolosità sociale, al momento della risottoposizione (Sez. 5, n. 33345 del 13/06/2016, COGNOME, Rv. 268046, Sez. 1, n. 6878 del 05/12/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 262311).
Tuttavia, ai fini del giudizio di pericolosità sociale, è necessario accertare non se il soggetto sottoposto abbia realizzato un fatto di reato, ma, diversamente, così come si evince dall'art. 1 d.lgs. n. 159 del 2011, se allo stesso siano attribuibili fatti sintomatici di pericolosità sociale, di qualunque tipo, purché obiettivamente verificabili e, quindi, pur se non costituenti reato (Sez. 6, n. n. 49583 del 03/10/2018, COGNOME, Rv. 274434 – 01).
Con riferimento al giudizio di attualità della pericolosità sociale, questa Corte di cassazione ha avuto modo di affermare che è onere del giudice verificare «in concreto» la persistenza della pericolosità del proposto, soprattutto nei casi in cui sia decorso un apprezzabile periodo di tempo tra l'epoca dell'accertamento
penale e il momento della formulazione del giudizio sulla prevenzione e quando tra la pregressa violazione della legge penale e tale ultimo giudizio si collochi un periodo detentivo tendente alla risocializzazione o, comunque, esente da ulteriori condotte sintomatiche di pericolosità (tra le altre, Sez. 6, n. 5267 del 14/01/2016, Grande Aracri, Rv. 266184).
1.2. Tale essendo il quadro normativo e giurisprudenziale per il proposto detenuto, sottoposto a misura di prevenzione personale sospesa, si osserva che, nel caso al vaglio, la Corte di appello, con il decreto impugnato, ha dato conto, con ragionamento non apparente e senz'altro completo, di aver considerato, in concreto, la persistenza all'attualità della pericolosità di cui alla lett. b) dell'a cit. del proposto, proprio in considerazione nel lungo tempo percorso tra l'epoca della esecuzione della misura di prevenzione (3 settembre 2015) e il momento in cui è cessato il periodo detentivo (sofferto dal 22 ottobre 2015 fino al 12 marzo 2019 e poi, dalla cessazione della misura alternativa dell'affidamento in prova, in data 24 luglio 2023, fino al 12 dicembre 2023), naturalmente predisposto alla risocializzazione e, comunque, esente da condotte sintomatiche di pericolosità.
La Corte di appello, infatti, ha valutato, quanto alle condotte pregresse al periodo detentivo e, comunque, di espiazione della pena in misura alternativa, che Corvino ha posto in essere, con continuità, per un considerevole lasso temporale numerose condotte devianti, sintomatiche di spiccata pericolosità sociale (plurime forme di aggressione all'altrui patrimonio e all'altrui persona, connotate da idoneità a generare proventi illeciti, anche in misura ingente), oltre ad aver violato ripetutamente le prescrizioni connesse al regime di sorveglianza speciale in atto a suo carico (nel periodo compreso tra il 6 settembre 2015 e il 22 ottobre 2015, data in cui COGNOME è stato arrestato in flagranza del reato di cui all'art. 75 d. Igs. n. 159 cit.) e ad aver commesso comportamenti delittuosi in costanza di misura di prevenzione.
Inoltre, si evidenzia, quanto al periodo temporale successivo al termine del primo periodo di detenzione, che, nonostante la concessione della misura alternativa dell'affidamento in prova (detenuto fino al 12 marzo 2019, data di concessione della misura alternativa) quindi, quando Corvino non era più in una struttura tale da garantire controllo delle azioni, questi è stato segnalato per aver commesso una truffa, condotta per tipologia, indicata come in piena continuità con quelle delinquenziali antecedenti al periodo detentivo.
COGNOME, poi, durante la vigenza della misura alternativa alla detenzione, ha posto in essere, secondo la ricostruzione del provvedimento impugnato, una serie di condotte di violazione della misura medesima che, quindi, gli veniva revocata, con ripristino della detenzione in carcere a partire dal 24 luglio 2023, per essere definitivamente dimesso il 12 dicembre 2023.
Con tale condotta il COGNOME ha manifestato, secondo il ragionamento ineccepibile della Corte di appello, una persistente pericolosità a fronte di condotte, pur non costituenti reato, ma che depongono in maniera univoca nel senso della sua pericolosità all'attualità.
1.3. Sotto il profilo dell'attualità, poi, la Corte di appello evidenzia comportamento tenuto, in epoca più recente, in quanto in data 23 gennaio 2024 Corvino è stato arrestato in flagranza di reato per inosservanza degli obblighi inerenti alla sorveglianza speciale; questi, inoltre, è stato denunciato per violazione degli artt. 495, 336 e 341-bis cod. pen.
Infine, il provvedimento censurato segnala che il ricorrente, è stato nuovamente arrestato in flagranza di reato, con successiva applicazione della misura cautelare degli arresti domiciliari, per violazione della sorveglianza speciale ai sensi dell'art. 75 cit.
Sicché il provvedimento fa riferimento a una serie di condotte, non solo alla segnalazione per il reato di truffa che il ricorrente indica di scarsa entità, ma anche a plurime violazioni del regime di affidamento in prova, le quali hanno determinato la revoca della misura alternativa, senz'altro recenti, in quanto risalenti al 2023, nonché a ulteriori infrazioni alle prescrizioni della misura d prevenzione che hanno determinato, per due volte, nel 2024, l'arresto in flagranza di Corvino.
Si richiamano condotte successive al periodo di carcerazione e, dunque, fatti che attestano, da un lato, la possibilità che il proposto ricada nella commissione di reati contro il patrimonio e, dall'altro, l'insofferenza alle prescrizioni imposte ai controlli connessi alla misura. Tanto, con ragionamento in linea con la giurisprudenza di questa Corte richiamata nonché con motivazione completa che non risulta, in alcuna parte, apparente o carente.
Infatti, va considerato, come notato dal Sostituto Procuratore generale, nella requisitoria scritta fatta pervenire a questa Corte, che, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, confortato anche dalla Corte Costituzionale (cfr. sentenze n. 321 del 2004 e n. 106 del 2015), nel procedimento di prevenzione è esclusa dal novero dei vizi deducibili con ricorso per cassazione – che è ammesso soltanto per violazione di legge – l'ipotesi dell'illogicità manifesta di cui all'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen potendosi esclusivamente denunciare, poiché qualificabile come violazione dell'obbligo di provvedere con decreto motivato imposto al giudice d'appello, il caso di motivazione inesistente o meramente apparente (tra le tante, Sez. 1, n. 6636 del 07/01/2016, COGNOME, Rv. 266365; Sez. U, n. 33451 del 29/05/2014, Repaci, Rv. 260246).
È, quindi, inammissibile, in materia di misure di prevenzione, la deducibilità del vizio di motivazione, a meno che quest'ultima sia del tutto carente o presenti
difetti tali da renderla meramente apparente, e cioè laddove si presenti priva dei requisiti minimi di coerenza, completezza e logicità, o assolutamente inidonea a rendere comprensibile la ratio decidendi.
Deriva da quanto sin qui esposto, la declaratoria di inammissibilità del ricorso, con condanna alle spese processuali, nonché al pagamento dell'ulteriore somma indicata in dispositivo, in favore della Cassa delle ammende, non ricorrendo le condizioni previste dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, importo che si ritiene di determinare equitativamente, tenuto conto del motivo devoluto.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 17 dicembre 2024
Il Consigliere estensore
Il Presidente