Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 45885 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 45885 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 11/09/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOMECOGNOME nato a Napoli il 15.3.1981
avverso la sentenza della Corte d’Appello di Napoli del 16.1.2024
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza in data 16.1.2024, la Corte d’Appello di Napoli, in riforma della sentenza con cui il Tribunale di Napoli in data 5.12.2018 aveva assolto COGNOME NOME e NOME dal reato di cui all’art. 432 cod. pen. per l’insussistenza del fatto e dal reato di cui all’art. 340 cod. pen. per la particolare tenuità del fatto, ha condannato COGNOME NOME alla pena di anni uno e mesi nove di reclusione per entrambi i reati avvinti in continuazione e ha dichiarato non
dovesi procedere nei confronti di NOME in relazione ai reati a lei ascritti perché estinti per intervenuta prescrizione.
1.1 La sentenza di primo grado, dopo aver proceduto alla non controversa ricostruzione del fatto certamente attribuibile agli imputati (spiombatura e danneggiamento di una porta di un treno ad alta velocità in partenza da Napoli, al fine di scendere dal convoglio), aveva innanzitutto escluso la sussistenza del reato di cui all’art. 432 c.p., premettendo che si tratti di reato di pericolo concreto, per il perfezionamento del quale occorre l’insorgenza del pericolo per la sicurezza dei trasporti, anche se esso non si estrinseca in un danno materiale.
Ciò premesso, il Tribunale aveva ritenuto che la condotta degli imputati non fosse stata idonea a cagionare un pregiudizio alla sicurezza dei trasporti e alla circolazione dei treni, perché l’apertura della porta si era verificata quando il treno, poco affollato, si trovava ancora in stazione ed erano appena iniziate le procedure di avviamento; l’azione aveva determinato solo la frenatura del treno appena dopo la partenza, tanto che il convoglio era rimasto sul binario della stazione senza allontanarsene ed il capotreno aveva subito attivato la piombatura della porta, rimasta poi chiusa sino alla stazione di Roma, dove era stata sbloccata. Il fatto, in definitiva, aveva determinato un ritardo del treno di soli tre minuti.
Quanto al reato di cui all’art. 340 cod. pen., la sentenza di primo grado aveva valorizzato, in funzione dell’applicazione della causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto, il ritardo contenuto, dipeso non solo dal tempestivo intervento del capotreno, ma anche dalle oggettive circostanze di tempo e luogo, giacché il treno, al momento del fatto, era ancora in stazione e si erano appena avviate le operazioni di partenza: di conseguenza, anche il danno cagionato era da considerarsi esiguo, essendosi determinata una interruzione del servizio per un lasso di tempo brevissimo.
1.2 La Corte di Appello di Napoli, dopo avere indicato in premessa i criteri cui si sarebbe attenuta in sede di valutazione e di motivazione nella prospettiva del superamento della sentenza assolutoria, ha dato atto di aver risentito il capotreno in servizio il giorno del fatto, il quale ha individuato una serie di rischi connessi alla forzatura della porta e alla improvvisa frenata del treno, rappresentati, per un verso, dalla circostanza che il treno aveva già cominciato a muoversi e quindi, per effetto dell’azione dell’imputato, avrebbe potuto impegnare gli scambi e bloccare la circolazione, e, per l’altro, dalla circostanza che la manovra sarebbe stata idonea ad impedire durante il viaggio la fruizione di un’uscita di sicurezza in caso di fermata improvvisa per un incendio in galleria.
Di conseguenza, i giudici di appello hanno ritenuto che, a seguito della rinnovazione, siano emersi gli elementi che concretizzano l’evento di pericolo concreto: a) la brusca frenata del treno, con conseguente rischio di caduta dei
passeggeri; b) la repentina discesa dei due imputati a treno in movimento, con rischio per la loro incolumità e per quella di eventuali persone in transito sul marciapiede; c) l’inutilizzabilità della porta, con la riduzione delle uscite di sicurezza per i viaggiatori del treno.
La sentenza di secondo grado non ha ritenuto condivisibile quella di primo grado nella parte in cui aveva individuato il pregiudizio nel mero ritardo di pochi minuti, perché invece dalla condotta degli imputati sono scaturiti i plurimi fattori di rischio concreto sopra evidenziati. In questo contesto, ha reputato anche di escludere che il fatto integrante l’art. 340 cod. pen. fosse di particolare tenuità.
Quanto al trattamento sanzionatorio di COGNOME, la Corte d’Appello ha riconosciuto la recidiva quale espressione della più marcata pericolosità soggettiva, anche in considerazione della prossimità temporale dei fatti oggetto del giudizio rispetto a quelli già oggetto di giudicato, e ha negato le attenuanti generiche alla luce della personalità del reo quale risultante dai precedenti e, comunque, in assenza di qualsivoglia elemento positivo degno di valutazione. Di conseguenza, riconosciuta la continuazione, ha individuato la pena base per il reato di cui all’art. 432 cod. pen. in anni uno di reclusione, aumentandola per la recidiva ad anni uno e mesi otto di reclusione, ulteriormente aumentandola per la continuazione ad anni uno e mesi nove di reclusione; non ha concesso il beneficio della sospensione della pena in considerazione della prognosi sfavorevole formulabile sulla base della personalità dell’imputato e delle circostanze del fatto.
Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso il difensore di COGNOME NOMECOGNOME articolandolo in due motivi.
2.1 Con il primo motivo, deduce, ai sensi dell’art. 606, lett. b), cod. proc. pen., inosservanza o erronea applicazione della legge penale.
Rimarca che, per la riforma di una sentenza di assoluzione, non basta una diversa valutazione del materiale probatorio, ma occorre una forza persuasiva superiore, derivante dai rilievi di contraddittorietà della motivazione della sentenza di primo grado o da un ampliamento della piattaforma valutativa. Nel caso di specie, la Corte di Appello si è limitata a risentire un teste già esaminato in primo grado, che ha riferito le medesime circostanze.
2.2 Con il secondo motivo, deduce ai sensi dell’art. 606, lett. b), cod. proc. pen., erronea applicazione della legge penale con riferimento all’art. 133 cod. pen.
Si duole che nella dosimetria della pena e nel diniego delle attenuanti generiche, la Corte d’Appello non abbia tenuto conto del tempo trascorso dai precedenti delittuosi dell’imputato e della sua attuale situazione lavorativa.
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Con requisitoria scritta del 2.7.2024, il Sostituto Procuratore generale ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso, rilevando che il ricorso sia genericamente prospettato, in quanto si limita a ribadire principi della giurisprudenza di legittimità, senza individuare in modo specifico i presunti vizi della sentenza. In ogni caso, il giudice di appello ha individuato, in modo adeguato e logico, la sussistenza del pericolo nonché l’insussistenza dei presupposti dell’esclusione di punibilità per tenuità del fatto, con motivazione approfondita e rafforzata, nel pieno confronto con le diverse valutazioni del giudice di primo grado.
In data 23.7.2024, il difensore dell’imputato ha trasmesso conclusioni scritte, con cui si è riportato ai motivi del ricorso. Con nota in data 4.9.204, inoltre, il difensore della parte civile costituita, Trenitalia s.p.a., ha comunicato che la sua assistita non avrebbe partecipato al giudizio di legittimità.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I motivi di ricorso sono manifestamente infondati.
Il primo motivo è generico, in quanto non si confronta specificamente con l’accurata ricostruzione del fatto e la connessa analisi dei dati probatori cui hanno proceduto i giudici di secondo grado, i quali hanno evidenziato, mediante coerenti passaggi argomentativi, le decisive differenze del percorso logico del loro discorso giustificativo rispetto a quello proposto dal giudice di primo grado e hanno svolto considerazioni peculiari anche in ordine ai concreti elementi integranti il pericolo concreto del reato di cui all’art. 432 cod. pen.
La Corte territoriale ha fornito, con motivazione adeguatamente rafforzata, una congrua giustificazione della valutazione di fatto compiuta, peraltro all’esito della rinnovazione dell’istruttoria ex art. 603, comma 3-bis, cod. proc. pen.
In questo modo, è stato fatto buon governo del principio secondo cui, in tema di giudizio di appello, la motivazione rafforzata, richiesta nel caso di riforma della sentenza assolutoria di primo grado, consiste nella compiuta indicazione delle ragioni per cui una determinata prova assume una valenza dimostrativa completamente diversa rispetto a quella ritenuta dal giudice di primo grado, nonché in un apparato giustificativo che dia conto degli specifici passaggi logici relativi alla disamina degli istituti di diritto sostanziale o processuale, in modo da conferire alla decisione una forza persuasiva superiore (Sez. 6 , n. 51898 dell’11/7/2019, Rv. 278056 – 01).
Di conseguenza, la motivazione così congegnata è da ritenersi incensurabile in sede di legittimità, a maggior ragione in presenza di un motivo di ricorso che, al di là del pedissequo richiamo a principi generali e a precedenti di legittimità in materia di motivazione rafforzata, non spiega affatto quali siano i vizi specifici della sentenza che impugna e si limita ad attaccarne genericamente la persuasività, senza la precisa prospettazione della ragioni di diritto o degli elementi di fatto da sottoporre eventualmente alla verifica di legittimità.
Anche il secondo motivo è manifestamente infondato, in quanto, al contrario di quanto sostenuto apoditticamente nel ricorso, la Corte d’Appello, nella determinazione del trattamento sanzionatorio, ha dato atto piuttosto della vicinanza temporale dei fatti precedenti.
In ogni caso, la doglianza relativa al diniego delle circostanze attenuanti generiche non si confronta con la motivazione, del tutto congrua della Corte d’Appello, che fa riferimento alla “personalità del reo quale risultante dai precedenti a suo carico” e comunque alla “assenza di qualsivoglia elemento positivo degno di valutazione”.
Giacché si tratta di elementi non contestati in fatto dal ricorrente, la motivazione è senza dubbio adeguata, tenuto conto che, ai fini del diniego della concessione delle attenuanti generiche, non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, essendo sufficiente il riferimento a quelli ritenuti decisivi comunque rilevanti (Sez. 3, n. 2233 del 17/6/2021, dep. 2022, Rv. 282693 – 01), e che il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche può essere legittimamente motivato dal giudice con l’assenza di elementi o circostanze di segno positivo, a maggior ragione dopo la riforma dell’art. 62-bis cod. pen (Sez. 4, n. 32872 dell’8/6/2022, Rv. 283489 – 01).
Quanto, poi, alla doglianza relativa alla misura della pena, il ricorso censura che non sia stata applicata nel minimo, così rivelando evidentemente la rinuncia a misurarsi con il tenore della decisione della Corte d’Appello di Napoli, la quale ha invece applicato il minimo edittale di un anno di reclusione per il reato più grave di cui al reato di cui all’art. 432 cod. pen., ha aumentato tale pena per la recidiva reiterata ed infraquinquennale nella misura “fissa” di due terzi prevista dall’art. 99, comma 4, cod. pen. e l’ha infine ulteriormente aumentata di un solo mese per la continuazione con il reato di cui all’art. 340 cod. pen. (in misura assai prossima al minimo edittale e sensibilmente inferiore alla media edittale).
Il motivo, dunque, è privo di critica specifica e, anzi, muove alla sentenza impugnata censure che non trovano riscontro negli atti processuali.
Alla luce di quanto fin qui osservato, pertanto, il ricorso deve esse dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente, ex art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso 1’11.9.2024