Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 23843 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 23843 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 15/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Brescia nel procedimento a carico di:
COGNOME NOME nato a LECCO il 16/02/1974
NOME nato a LECCO il 15/12/1975
avverso l’ordinanza del 7/3/2025 del Tribunale di Brescia, in funzione di giudice del riesame cautelare;
Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
sentite le conclusioni del Sostituto Procuratore Generale, NOME COGNOME che si è riportato alla memoria in atti e ha concluso per l’annullamento con rinvio del provvedimento impugnato;
sentito il difensore, l’avvocato NOME COGNOME che ha chiesto in via principale l’inammissibilità del ricorso per violazione del ne bis in idem e, in subordine, il suo rigetto.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 5/2/2025, il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Bergamo ha applicato a NOME NOME e NOME la custodia cautelare in carcere, sussistendo a loro carico gravi indizi di colpevolezza in
relazione a tre reati di furto d’auto aggravat i dall’uso di un mezzo fraudolento e dall’esposizione delle auto alla pubblica fede . Nei riguardi del Biava è stato ipotizzato anche il delitto di riciclaggio (la falsificazione del numero di telaio di un’auto oggetto di appropriazione indebita), sebbene quest’ultimo reato non costituisca titolo custodiale. Il Giudice per le indagini preliminari ha ritenuto vi fosse il rischio di ricaduta nel reato (basato sulla frequenza e professionalità delle azioni illecite, sui contatti con persone note per ricettazione e riciclaggio e sui precedenti penali), il pericolo di inquinamento probatorio (in ragione delle operazioni di occultamento dei profitti, dei contatti con una rete di traffico internazionale di veicoli rubati e del tentativo di disfarsi di oggetti e documenti ‘scomodi’, quali un telefonino ed un foglietto manoscritto lanciato dal finestrino d i un’ auto in corsa) e il pericolo di fuga (basato su un dialogo intercettato, in cui il Folino aveva prospettato al COGNOME l’ipotesi di andare all’estero).
Il Tribunale di Brescia, in funzione di giudice del riesame, con ordinanza del 7/3/2025 ha rilevato l’insussistenza del pericolo di inquinamento probatorio e del pericolo di fuga e, conseguentemente, ha dichiarato la nullità dell’ordinanza custodiale per il mancato espletamento del l’ interrogatorio preventivo, doveroso dopo la novella di cui alla legge 114/2024, revocando la misura cautelare.
Secondo il Tribunale i contatti e le azioni per occultare i profitti coincidevano con la natura dei reati e la prova era “pressoché cristallizzata”, mentre la conversazione intercettata del 24/4/2024 (in cui il Folino aveva prospettato al Biava l’ipotesi di andare all’estero per non rispondere dei reati in questione) non evidenziava una reale intenzione di fuggire, ma solo le preoccupazioni per le indagini in corso.
Avverso tale ordinanza, il Pubblico Ministero presso il Tribunale di Bergamo ha proposto ricorso per Cassazione, chiedendone l’annullamento per violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla sussistenza dell ‘ esigenza cautelare di cui alla lett. a) dell’art. 274 cod. proc. pen. , ovvero al pericolo di inquinamento probatorio.
Il Pubblico Ministero contesta che i contatti fra gli indagati e soggetti attivi nel riciclaggio di veicoli e le azioni volte ad occultare l’apprensione del profitto dei furti fossero coincidenti con i furti stessi: trattandosi, a suo dire, di condotte rappresentanti un quid pluris rispetto ai reati già consumati.
Anche l’affermazione circa la non attualità del pericolo di inquinamento probatorio -per essere il compendio probatorio “pressoché cristallizzato” -non teneva, in realtà, conto dell’orientamento della Cassazione, secondo cui, anche in
fase avanzata delle indagini, non è esclusa l’esigenza di salvaguardare la genuinità della prova.
Il Pubblico Ministero ricorrente ha rilevato, ancora, come il Giudice per le indagini preliminari avesse, a tal riguardo, correttamente valutato (e, nel contempo, il Tribunale collegiale ingiustamente sminuito), circa la sussistenza del pericolo di inquinamento probatorio, che giustificherebbe la misura, in assenza di interrogatorio preventivo:
-la manifestata volontà degli indagati di occultare i profitti dei reati;
-i loro contatti con una rete internazionale gerente veicoli rubati;
-le loro preoccupazioni durante le operazioni di perquisizione;
-le conversazioni intercettate sulla strategia difensiva da adottare e sull’opportunità di disfarsi di oggetti e documenti scomodi;
-quelle del 24/4/2024, da cui emergeva, a seguito delle perquisizioni, la preoccupazione del Biava per il sequestro dei telefoni e un riferimento a qualcosa che gli indagati avrebbero dovuto “far sparire”;
-la circostanza che il COGNOME fosse apparso ‘ sollevato ‘ nel sapere che le indagini riguardassero solo i furti, ciò che confermava l’esistenza di ulteriori condotte poste in essere per occultare il profitto;
-il tentativo di disfarsi di un manoscritto e di un telefono cellulare, utilizzato unicamente per attività criminose, lanciati dal finestrino di un’auto.
All’udienza di discussione, l’avvocato NOME COGNOME ha chiesto di depositare nuova documentazione attestante ‘l’irricevibilità’ del ricorso del Pubblico Ministero per violazione del ne bis in idem e, in particolare: l’ordinanza del Tribunale, in funzione di giudice del riesame, del 7/3/2025; la richiesta di custodia cautelare avanzata dal Pubblico Ministero in data 10/3/2025; il ricorso per Cassazione del Pubblico Ministero del 12/3/2025 avverso l’ordinanza del Tribunale del Riesame di Brescia del 7/3/202 5; l’ordinanza cautelare emessa dal Giudice per le indagini preliminari di Bergamo in data 20/3/2025 su richiesta della Procura della Repubblica del 10/3/2025.
Il Procuratore Generale si è opposto, rilevando che la valutazione del Collegio si debba incentrare sui documenti posti a base dell’ordinanza impugnata.
Le parti hanno poi concluso come in epigrafe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Preliminarmente, sulla richiesta di produzione documentale formulata all’udienza del 15/5/2025 da parte ricorrente, va ribadito il pacifico principio secondo cui, in tema di ricorso per cassazione contro i provvedimenti sulla libertà
personale, l’art. 311, comma 4, cod. proc. pen. consente in via eccezionale, prima dell’inizio della discussione, la presentazione di motivi nuovi riguardanti capi o punti della decisione già oggetto di impugnazione, ma non la produzione di documenti che, secondo le regole generali sul procedimento di legittimità ai sensi degli artt. 127 e 311, comma 5, cod. proc. pen., deve intervenire con una memoria depositata in cancelleria al più tardi cinque giorni prima dell’udienza (Sez. 3, n. 209 del 17/09/2020, dep. 2021, COGNOME, Rv. 281047-02; Sez. F, n. 34554 del 25/07/2003, Rv. 228393-01; Sez. 3, n. 12641 del 05/02/2013, Rv. 255118-01; Sez. 1, Sentenza n. 17313 del 31/5/2025).
Né, peraltro, è stata allegata l’impossibilità di una tempestiva produzione (confronta, al riguardo, Sez. 2, n. 42052 del 19/06/2019, COGNOME COGNOME, Rv. 277609-01) : trattandosi, per giunta, di atti risalenti a circa 2 mesi prima l’udienza dinanzi a questa Corte.
2. Nel merito, il ricorso è fondato.
Secondo quanto più volte affermato da questa Corte, in tema di misure cautelari personali, la valutazione del pericolo di inquinamento probatorio deve essere effettuata con riferimento sia alle prove da acquisire, sia alle fonti di prova già acquisite, a nulla rilevando lo stato avanzato delle indagini o la loro conclusione, in quanto l’esigenza di salvaguardare la genuinità della prova non si esaurisce all’atto della chiusura delle indagini preliminari, specie nel caso in cui il pericolo sia stato in concreto correlato alla protezione delle fonti dichiarative, in vista della loro assunzione dibattimentale (Sez. 2, n. 3135 del 09/12/2022, dep. 2023, Forte, Rv. 284052-01; Sez. 5, n. 6793 del 07/01/2015, Rv. 262687-01; Sez. U, n. 19 del 25/10/1994, Rv. 199396-01).
Sicché è certamente errata in diritto l’affermazione secondo cui neppure il lancio del manoscritto dal finestrino dell’autovettura, da parte degli indagati, concretizzerebbe il menzionato pericolo, in ragione ‘del tipo di reati’ in esame e del compendio probatorio ‘pressoché cristallizzato’.
Erronea in diritto e, per vero, anche manifestamente illogica è l’affermazione secondo cui: ‘I contatti tra gli indagati e soggetti attivi nell’ambito del riciclaggio di veicoli, nonché le azioni volte ad occultare l’apprensione del profitto non risultano conferenti, atteso che – di fatto – coincidono con la natura delle condotte contestate e la loro dimensione materiale’.
Il Tribunale collegiale, invero, confonde la consumazione dei furti (che si determina, come noto, con l’acquisizione sotto il dominio esclusivo dell’agente della res furtiva : Sez. 5, n. 33605 del 17/06/2022, Rv. 283544-01), con il successivo tentativo di occultare la provenienza delittuosa dei beni e, in tal modo,
da un lato, consolidare il profitto già conseguito, da parte degli agenti , dall’altro, evidentemente, rendere più difficile la prova dei fatti: laddove è palese che il tentativo di occultamento della refurtiva già appresa , all’evidenza, non p ossa esser confuso con il momento consumativo dei furti.
Tanto è stato ben chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte.
Invero, in tema di misure cautelari personali, ogni attività tesa ad occultare l’apprensione del profitto del reato – e dunque il suo concreto accertamento – rileva non solo sul piano del pericolo di reiterazione del reato, ma anche su quello del pericolo di inquinamento probatorio, sempre che i comportamenti selezionati a tale ultimo fine siano autonomi rispetto a quello che integra il reato per cui si procede nei confronti dell’indagato, poiché, altrimenti, nell’ipotesi del riciclaggio e dei reati similari, l’esigenza di cui all’art. 274 lett. a) cod. proc. pen. dovrebbe ritenersi sussistere sempre e per definizione, in palese contrasto con il disposto normativo che richiede la concretezza e attualità del pericolo (Sez. 2, n. 44922 del 03/11/2021, COGNOME, Rv. 282359-01): sennonché -si ripete -nella specie le contestazioni ineriscono furti aggravati, non certo ipotesi di riciclaggio.
Ed ancora, la motivazione risulta del tutto assente in relazione agli altri elementi indicati dal Pubblico Ministero ricorrente a sostegno del suo assunto: per quanto, per vero, solo alcuni di essi risultano espressamente menzionati nell’ordinanza genetica.
In ragione di quanto detto, l’ordinanza va, pertanto, annullata ed il giudice del rinvio dovrà operare una nuova valutazione dei fatti, considerate le menzionate coordinate in diritto e scevra dai citati vizi di motivazione.
P.Q.M.
Annulla il provvedimento impugnato, con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Brescia.
Così è deciso, 15/05/2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente NOME COGNOME
NOME COGNOME