Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 20028 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 20028 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 20/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOMECOGNOME nato a Lucca il 23/04/1969
avverso l’ordinanza del 04/12/2024 del Tribunale di Roma lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME il quale ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; inammissibile;
letta la memoria dell’Avv. NOME COGNOME e dell’Avv. NOME COGNOME difensori di COGNOME NOMECOGNOME i quali, nel replicare alle conclusioni del Pubblico Ministero, hanno insistito per l’annullamento dell’ordinanza impugnata;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 04/12/2024, il Tribunale di Roma, in accoglimento dell’appello che era stato proposto dal pubblico ministero contro l’ordinanza del 20/06/2024 del G.i.p. del Tribunale di Roma, disponeva l’applicazione, nei confronti di NOME COGNOME, della misura cautelare degli arresti domiciliari (con il cosiddetto “braccialetto elettronico” e con la prescrizione di non comunicare con persone diverse dai familiari conviventi e dal difensore), per essere egli gravemente indiziato dei reati di partecipazione a un’associazione per delinquere
aggravata dall’essere stata commessa per agevolare l’attività del clan camorristico “COGNOMERAGIONE_SOCIALECOGNOME” (operativo nel quartiere napoletano di San Giovanni a Teduccio) di cui al capo 1) dell’imputazione e di riciclaggio di cui ai capi 2), 5) e dell’imputazione, aggravati dall’essere stati commessi in più di cinque persone e sempre per agevolare l’attività dell’anzidetto clan “COGNOME–COGNOME” e in relazione al pericolo che potesse commettere delitti della stessa specie di quelli per i quali si stava procedendo.
2. Avverso tale ordinanza del 04/12/2024 del Tribunale di Roma, ha proposto ricorso per cassazione, per il tramite del proprio difensore avv. NOME COGNOME, NOME COGNOME affidato a un unico articolato motivo, con il quale deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., l’erronea applicazione degli artt. 274, comma 1, lett. c) , e 275 dello stesso codice, con riguardo all’attualità e concretezza del pericolo di reiterazione di reati della stess specie di quelli per i quali si stava procedendo, nonché, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. c) , cod. proc. pen., la nullità, a norma degli artt. 178, comma 1, lett. b) , e 179 dello stesso codice, «per avere il Tribunale assunto alla base della sua decisione un fatto diverso da quello contestato».
Il COGNOME contesta anzitutto le affermazioni del Tribunale di Roma secondo cui egli, insieme ad NOME COGNOME e a NOME COGNOME, sarebbe stato «la dorsale della centrale del riciclaggio» del clan “COGNOME–COGNOME” (pag. 3 dell’ordinanza impugnata) ed «era in grado di assicurare stabili guadagni mensili (dell’ordine di circa 20.000,00 euro)» (pag. 24 dell’ordinanza impugnata). Il ricorrente chiede retoricamente come sia possibile che, se fossero vere tali affermazioni, le contestazioni a lui mosse abbiano potuto riguardare il riciclaggio solo di una somma di poco superiore a € 50.000,00, e afferma che sarebbe quindi «evidente che le dichiarazioni (captate dalle intercettazioni o riferite da collaboratori di giustizia) che altri fanno sul conto di COGNOME non possono oggettivamente dirsi corrispondenti al vero».
Il ricorrente contesta poi che il Tribunale di Roma avrebbe «po come uno dei presupposti della misura il riciclaggio di euro 500.000,00, in assenza di una specifica contestazione operata dal Pubblico Ministero», ciò che costituirebbe motivo di nullità dell’ordinanza impugnata a norma degli artt. 178, comma 1, lett. b) , e 179 cod. proc. pen.
Il COGNOME deduce poi che, a parte la contestazione cosiddetta “aperta” del reato partecipazione a un’associazione per delinquere di cui al capo 1) dell’imputazione – rispetto alla quale obietta che «ggettivamente non è possibile affermare che la partecipazione all’associazione da parte di COGNOME sia “tuttora in atto”, non apparendo all’evidenza circostanza né credibile né tantomeno provata» -, dalla commissione dei tre reati di riciclaggio come contestati (capo 2:
«nel periodo novembre 2017 – gennaio 2019; capo 5: «in data prossima e antecedente al 30.1.2019»; capo 6: «in data antecedente e prossima al 4.2.2019»), erano «passati ormai cinque anni», con la conseguenza che, «non effettuando più operazioni di riciclaggio da diversi anni – come detto quasi cinque – quale sarebbe la sua funzione dal 2019 fino ad oggi?». Il ricorrente richiama in proposito alcune pronunce della Corte di cassazione sul requisito dell’attualità del pericolo di reiterazione del reato.
Il COGNOME contesta poi l’affermazione fatta dal Tribunale di Roma a pag. 26 dell’ordinanza impugnata secondo cui, sulla base degli elementi indicati dallo stesso Tribunale, sarebbe stato «verosimile che la “messa a disposizione” del COGNOME si fosse protratta anche negli anni successivi alla conclusione dell’attività di indagine», denunciando che, con la stessa affermazione, «il Tribunale rimane nel campo della mera eventualità».
Il ricorrente afferma infine che «non può nemmeno essere condivisa l’interpretazione fornita dal Tribunale in merito alla lettura di quanto emerso ad esito dell’attività di intercettazione e delle dichiarazioni dei collaboratori giustizia» in quanto sarebbero risultate «circostanze che fanno ritenere che l’indagato non fosse nemmeno ben visto dai coimputati con le intuitive conseguenze in merito all’ipotetica futura commissione di reati della stessa indole in tali contesti». Rappresenta in particolare al riguardo che: NOME COGNOME aveva dichiarato che COGNOME «si può dire sia costretto a lavorare con noi» e «aveva paura di noi»; NOME COGNOME «diffida della sua serietà ed esorta il COGNOME a prestare molta attenzione al fatto che lo stesso ex calciatore non possa prendere la deriva»; NOME COGNOME aveva dichiarato che «sta pieno di merda questo COGNOME»; NOME COGNOME aveva assicurato che il COGNOME «veniva continuamente minacciato»; lo stesso COGNOME e NOME COGNOME avevano commentato che il COGNOME era «terrorizzato di rapportarsi direttamente con i boss campani».
CONSIDERATO IN DIRITTO
L’unico motivo è manifestamente infondato e anche aspecifico.
2. Si deve rammentare che la Corte di cassazione ha chiarito che l’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza a norma dell’art. 273 cod. proc. pen. e delle esigenze cautelari di cui all’art. 274 dello stesso codice è rilevabile i cassazione soltanto se si traduce nella violazione di specifiche norme di legge o in mancanza o manifesta illogicità della motivazione, risultante dal testo del provvedimento impugnato (tra le tantissime: Sez. F, n. 47748 del 11/08/2014, COGNOME, Rv. 261400-01, la quale ha precisato che il controllo di legittimità non concerne né la ricostruzione dei fatti, né l’apprezzamento del giudice di merito
circa l’attendibilità delle fonti e la rilevanza e concludenza dei dati probatori, ond sono inammissibili quelle censure che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione di circostanze già esaminate dal giudice di merito).
Inoltre, secondo la prevalente e più recente giurisprudenza della Corte di cassazione, che è condivisa dal Collegio, il requisito dell’attualità del pericolo di reiterazione del reato sussiste a prescindere dalla positiva ricognizione di effettive e immediate opportunità di ricadute a portata di mano dell’indagato, essendo necessario e sufficiente formulare una valutazione prognostica sulla possibilità di condotte reiterative, alla stregua di un’analisi accurata della fattispecie concreta, che tenga conto delle modalità realizzative della condotta, della personalità del soggetto e del contesto socio-ambientale, la quale deve essere tanto più approfondita quanto maggiore sia la distanza temporale dai fatti, ma non anche la previsione di specifiche occasioni di recidivanza (Sez. 3, n. 9041 del 15/02/2022, COGNOME, Rv. 282891-01; Sez. 2, n. 6593 del 25/01/2022, COGNOME, Rv. 28276701; Sez. 5, n. 12869 del 20/01/2022, COGNOME, Rv. 282991-01; Sez. 5, n. 1154 del 11/11/2021, dep. 2022, COGNOME, Rv. 282769-01; Sez. 2, n. 5054 del 24/11/2020, Barletta, dep. 2021, Rv. 280566-01; Sez. 1, n. 14840 del 22/01/2020, COGNOME, Rv. 279122-01).
Richiamati tali principi, affermati dalla Corte di cassazione, si deve anzitutto affermare la manifesta infondatezza della censura con la quale il ricorrente contesta che il Tribunale di Roma avrebbe «po come uno dei presupposti della misura il riciclaggio di euro 500.000,00 in assenza di una specifica contestazione operata dal Pubblico Ministero».
Il Tribunale del riesame, dopo avere ampiamente ricostruito le vicende delittuose (pagg. 3-23 dell’ordinanza impugnata), pervenuto ad affrontare il tema del pericolo di reiterazione dei reati, ha fatto riferimento alla protrazione nel tempo della condotta delittuosa del Bresciani, desumendo la stessa protrazione da alcune intercettate affermazioni di NOME COGNOME (membro di spicco del clan “RAGIONE_SOCIALE“, del quale era divenuto reggente successivamente all’arresto di NOME COGNOME), il quale aveva ricordato al suo interlocutore che il COGNOME aveva già investito circa € 500.000,00 per conto del suddetto clan (pag. 24 dell’ordinanza impugnata).
Diversamente da quanto mostra di ritenere il ricorrente, tale considerazione, da parte del Tribunale di Roma, di fatti anche pregressi rispetto a quelli in contestazione non implica una non ammissibile modificazione della stessa contestazione ma costituisce un’argomentazione che poteva legittimamente essere utilizzata dal Tribunale al fine di dimostrare, nella prospettiva della valutazione della sussistenza delle esigenze cautelari, che il COGNOME aveva
collaborato anche da prima con il clan “COGNOMERAGIONE_SOCIALECOGNOME” e, quindi, la protrazione nel tempo di tale collaborazione.
Ciò posto, il Tribunale di Roma ha anzitutto sottolineato come dagli esposti elementi indiziari fosse emerso il ruolo centrale che era svolto dal COGNOME in seno all’associazione per delinquere (in particolare, in quello che, nel gergo degli indagati, era chiamato “il giro dell’IVA”), ruolo che consisteva nel tenere i rapporti con gli imprenditori che, come NOME COGNOME e NOME COGNOME, si prestavano a bonificare le somme di provenienza delittuosa che avevano previamente ricevuto in contanti, e che il COGNOME stesso ritirava a Napoli, e nel concorrere con NOME COGNOME nel gestire occultamente le società che venivano utilizzate per realizzare le condotte di riciclaggio (tali enti erano infatti formalmente amministrati da soggetti che altro non facevano che conformarsi alle indicazioni del COGNOME e del COGNOME con riguardo alle false fatture da emettere e ai bonifici da effettuare).
Il Tribunale di Roma ha altresì evidenziato come il COGNOME fosse ben noto agli esponenti del clan camorristico “COGNOME–COGNOME“, che egli aveva in più occasioni incontrato di persona, proprio in ragione delle abilità criminali che gli erano unanimemente riconosciute nel settore dei reati economici e tributari e della sua capacità di assicurare allo stesso clan stabili guadagni mensili.
Da ciò la conclusione, del tutto logica, di come il COGNOME si dovesse ritenere sistematicamente coinvolto nelle operazioni di riciclaggio e a disposizione del clan per il compimento delle stesse (come anche il COGNOME aveva del resto detto di essere, cioè «a disposizione», al cospetto di NOME COGNOME).
Il Tribunale di Roma ha altresì argomentato: a) da un lato, come la deferenza che il COGNOME aveva riservato agli esponenti del clan “COGNOME–COGNOME” e l’interesse che costoro avevano mostrato ad avvalersi dei meccanismi di riciclaggio del denaro che egli aveva orchestrato inducessero a ritenere che la sua messa a disposizione del clan si fosse protratta anche negli anni successivi alla conclusione delle indagini, considerazione, questa, che, diversamente da quanto mostra di ritenere il ricorrente, appare del tutto legittima e logica; b) dall’altro lato, come COGNOME non avesse arrestato le proprie condotte al 2019 (dopo, come si è detto, una già lunga antecedente protrazione di esse) ma, da una parte, come risultava da un’intercettata conversazione del 18/01/2020 tra NOME COGNOME e NOME COGNOME e NOME COGNOME, avesse avviato una proficua nuova “linea” di riciclaggio nel settore dell’intermediazione di manodopera e, dall’altra parte, come risultava dalla segnalazione di operazione sospetta del 02/12/2022, avesse continuato a intrattenere rapporti economici, oggetto di segnalazione evidentemente proprio per il fatto di evidenziare flussi finanziari anomali e non giustificati, con diver soggetti che erano indagati nello stesso procedimento penale, tra i quali gli imprenditori NOME COGNOME e NOME COGNOME cioè gli stessi imprenditori che
avevano concorso con il COGNOME nella commissione dei fatti di riciclaggio di cui ai capi, rispettivamente, 2) e 6) dell’imputazione, con la conseguenza, che si deve ritenere del tutto logicamente suffragata, dell’irrilevanza del lasso temporale che era decorso dalla commissione delle tre contestate condotte di riciclaggio.
Il Tribunale di Roma ha infine valorizzato anche i precedenti penali del COGNOME per reati della stessa indole (in particolare, tre per bancarotta fraudolenta) e le pendenze giudiziarie (condanna in primo grado per il delitto di cui all’art. 648-ter cod. pen.; rinvio a giudizio per il reato di truffa aggravata).
Come si può agevolmente constatare, tale motivazione, senza trincerarsi nella pur ricorrente presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari che è prevista dall’art. 275, comma 3, terzo periodo, cod. proc. pen. – pur avendola richiamata al fine di dare atto di come non fossero emersi elementi idonei a superarla -, dà ampiamente conto di come le esposte collaudate modalità professionali con le quali il COGNOME aveva continuato a dedicarsi nel tempo, non occasionalmente ma sistematicamente, ad attività di riciclaggio, comprovassero l’effettiva e attuale probabilità della commissione, da parte sua, di condotte reiterative di illeciti similari a quelli per i quali si stava procedendo.
Si tratta di una motivazione che non integra alcuna violazione di norme di legge, anche alla stregua dei ricordati principi affermati dalla Corte di cassazione nella materia, e che, in quanto priva di contraddizioni e di illogicità, tanto meno manifeste, si sottrae a censure in questa sede, incluse quelle che sono state avanzate dal ricorrente, le quali, senza per di più neppure confrontarsi compiutamente con la stessa motivazione, appaiono in realtà sostanzialmente dirette a sollecitare una diversa valutazione del significato da attribuire agli elementi a disposizione, per giungere a conclusioni semplicemente differenti in ordine alla prognosi di recidiva, il che non è possibile fare in sede di legittimità.
Ancorché nell’intestazione del motivo il COGNOME abbia indicato anche l’art. 275 cod. proc. pen., il ricorrente non ha poi sviluppato alcuna argomentazione né censura con riguardo alla scelta della misura degli arresti domiciliari.
Pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento, nonché, essendo ravvisabili profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento della somma di € 3.000,00 in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle
ammende. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 28 reg. esec.
cod. proc pen.
Così deciso il 20/03/2025.