Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 10300 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 10300 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 27/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a Torre Annunziata il 03/04/1966
avverso l’ordinanza del 04/12/2024 del Tribunale di Napoli
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore e=44^ NOME COGNOME il quale ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato
inammissibile;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 04/12/2024, il Tribunale di Napoli rigettava la richiesta di riesame che era stata proposta da NOME COGNOME avverso l’ordinanza del 20/11/2024 con la quale il G.i.p. del Tribunale di Torre Annunziata aveva disposto, nei confronti dello stesso Napoli, la misura della custodia cautelare in carcere per essere egli gravemente indiziato di plurimi reati di usura, di due reati di estorsione (commessi al fine di ottenere il pagamento di interessi usurari) e di un reato di detenzione di un’arma comune da sparo, e in relazione al pericolo che potesse commettere delitti della stessa specie di quelli per i quali si stava procedendo.
Avverso tale ordinanza del 04/12/2024 del Tribunale di Napoli, ha proposto ricorso per cassazione, per il tramite del proprio difensore avv. NOME COGNOME
NOME COGNOME affidato a un unico motivo, con il quale deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., l’inosservanza dell’art. 292, comma 2, lett. c), dello stesso codice, con riguardo all’«insussistenza della attualità del pericolo di reiterazione» dei reati.
2.1. Sotto un primo profilo, il Napoli lamenta la violazione dell’art. «247 lett. C) c.p.p. nella parte relativa alla sussistenza del requisito sia della concretezza che della attualità del pericolo di reiterazione della condotta criminosa».
Dopo avere esposto alcune considerazioni sul significato dei requisiti della concretezza e della attualità di tale pericolo, il ricorrente contesta che il giudiz del Tribunale di Napoli in ordine alla sussistenza di esso nella specie sarebbe basato «su una motivazione insufficiente e generica», atteso che lo stesso Tribunale non avrebbe «adeguatamente considerato le disposizioni del codice di procedura penale che richiedono una valutazione complessiva della pericolosità sociale dell’imputato e delle concrete possibilità di recidiva» e che la «sola affermazione che l’imputato potrebbe reiterare il reato non è di per sé sufficiente a giustificare la continuazione della misura restrittiva della libertà personale, senza che siano indicate altre circostanze concrete che giustifichino tale pericolo».
2.2. Sotto un secondo profilo, attinente alla scelta della misura della custodia cautelare in carcere, il Napoli lamenta che «la decisione di escludere gli arresti domiciliari fuori regione, limitandosi a fare riferimento al rischio di reiterazione de reato (usura) senza un’analisi concreta e dettagliata, rappresenta una motivazione insufficiente e generica».
Il ricorrente rammenta che, in sede di riesame, aveva richiesto che gli fosse applicata la meno afflittiva misura degli arresti domiciliari in Scalea, cioè in una regione diversa e in un luogo lontano da quello in cui si erano svolti i fatti (che avevano avuto luogo tra il Comune di Boscoreale e il Comune di Torre del Greco).
Ciò rammentato, il Napoli lamenta che il Tribunale di Napoli avrebbe «escluso tale possibilità senza fornire una motivazione adeguata che giustificasse il mantenimento della misura custodiale in carcere, avendo sposato acriticamente la tesi accusatoria, che in maniera superficiale ritiene il prevenuto dedito all’attivit criminosa per indole e per la sola considerazione dei precedenti penali, che si riferiscono ad attività sostanzialmente ben diversa da quella odiernamente contestata».
CONSIDERATO IN DIRITTO
L’unico motivo non è consentito ed è, comunque, manifestamente infondato, sotto entrambi i profili in cui è stato articolato.
Cominciando dal primo profilo, che attiene alla ritenuta sussistenza dell’esigenza cautelare del pericolo di commissione di delitti della stessa specie di
quelli per i quali si stava procedendo, il Tribunale di Napoli ha desunto il ritenuto pericolo di recidiva, più in generale, dalla gravità della condotta del Napoli – che lo stesso Tribunale ha compiutamente analizzato nonostante i motivi di riesame si riferissero esclusivamente alle esigenze cautelari e alla scelta della misura -, a proposito della quale va ribadito che l’ultimo periodo della lett. c) del comma 1 dell’art. 274 cod. proc. pen., periodo aggiunto dall’art. 2, comma 1, lett. c), della legge 16 aprile 2015, n. 47, impedisce di desumere il pericolo di reiterazione dalla sola gravità del «titolo di reato», astrattamente considerato, ma non già dalla valutazione della gravità del fatto nelle sue concrete manifestazioni, in quanto le modalità e le circostanze del fatto restano elementi imprescindibili di valutazione che, investendo l’analisi di comportamenti concreti, servono a comprendere se la condotta illecita sia occasionale o si collochi in un più ampio sistema dì vita, ovvero se la stessa sia sintomatica di un’incapacità del soggetto di autolimitarsi nella commissione di ulteriori condotte criminose (Sez. 5, n. 49038 del 14/06/2017, Rv. 271522-01, COGNOME; Sez. 1, n. 37839 del 02/03/2016, COGNOME, Rv. 267798-01; Sez. 1, n. 45659 del 13/11/2015, COGNOME, Rv. 265168-01).
Inoltre, secondo la prevalente e più recente giurisprudenza della Corte di cassazione, che è condivisa dal Collegio, il requisito dell’attualità del pericolo d reiterazione del reato – sul quale si appuntano, essenzialmente, le doglianze del ricorrente – sussiste a prescindere dalla positiva ricognizione di effettive e immediate opportunità di ricadute a portata di mano dell’indagato, essendo necessario e sufficiente formulare una valutazione prognostica sulla possibilità di condotte reiterative, alla stregua di un’analisi accurata della fattispecie concreta, che tenga conto delle modalità realizzative della condotta, della personalità del soggetto e del contesto socio-ambientale, la quale deve essere tanto più approfondita quanto maggiore sia la distanza temporale dai fatti, ma non anche la previsione di specifiche occasioni di recidivanza (Sez. 3, n. 9041 del 15/02/2022, COGNOME, Rv. 282891-01; Sez. 2, n. 6593 del 25/01/2022, COGNOME, Rv. 28276701; Sez. 5, n. 12869 del 20/01/2022, COGNOME, Rv. 282991-01; Sez. 5, n. 1154 del 11/11/2021, dep. 2022, COGNOME, Rv. 282769-01; Sez. 2, n. 5054 del 24/11/2020, Barletta, dep. 2021, Rv. 280566-01; Sez. 1, n. 14840 del 22/01/2020, COGNOME, Rv. 279122-01).
Nel caso in esame, il Tribunale di Napoli ha evidenziato: a) da un lato, come le modalità operative che venivano seguite dal Napoli – il quale aveva erogato dei prestiti usurari anche per archi temporali lunghissimi (in alcuni casi di 13 anni) e aveva dato prova di avere una disponibilità economica tale da consentirgli di proporsi come referente sul territorio per l’erogazione di denaro a usura a soggetti che versavano in stato di bisogno – fossero dimostrative dello svolgimento dell’attività usuraria in modo non solo seriale ma anche professionale, rendendo
la stessa attività una costante fonte reddituale; b) dall’altro lato, come lo stesso Napoli fosse gravato da numerosissimi precedenti penali per contrabbando attività mediante la quale si era verosimilmente procurato la provvista di denaro con la quale svolgere poi l’attività usuraria -, il che denotava la sua proclività delinquere e, di più, una vera e propria ponderata scelta di vita criminale rimasta stabile nel tempo, sulla quale nessuna funzione rieducativa avevano svolto le pene che gli erano state comminate, con la conseguente prognosi di reiterazione della stessa scelta.
Ciò posto, il profilo di doglianza in esame è, anzitutto, non consentito, atteso che il ricorrente ha omesso di confrontarsi con tale motivazione del Tribunale di Napoli.
Il ricorrente si è infatti limitato a lamentare che lo stesso Tribunale avrebbe basato il proprio giudizio in ordine alla sussistenza del pericolo di reiterazione dei reati «su una motivazione insufficiente e generica» – in quanto non avrebbe «adeguatamente considerato le disposizioni del codice di procedura penale che richiedono una valutazione complessiva della pericolosità sociale dell’imputato e delle concrete possibilità di recidiva» – e che la «sola affermazione che l’imputato potrebbe reiterare il reato non è di per sé sufficiente a giustificare la continuazione della misura restrittiva della libertà personale, senza che siano indicate altre circostanze concrete che giustifichino tale pericolo». In tale modo, però, il ricorrente si è in realtà sottratto a un effettivo confronto con i ricordati argomenti che il Napoli neppure considera, sulla base dei quali il Tribunale di Napoli ha basato il proprio giudizio di sussistenza dell’esigenza cautelare di cui alla lett. c) del comma 1 dell’art. 274 cod. proc. pen.
Il profilo di doglianza è, in ogni caso, manifestamente infondato, atteso che la motivazione del Tribunale di Napoli non integra alcuna inosservanza di norme di legge, alla luce anche dei ricordati principi affermati dalla Corte di cassazione nella materia, e risulta del tutto priva di contraddizioni e di illogicità, tanto me manifeste, sicché essa si sottrae a censure in questa sede di legittimità.
3. Passando al secondo profilo di doglianza, che attiene alla scelta della misura della custodia cautelare in carcere, si deve rammentare che, secondo la Corte di cassazione, nella scelta discrezionale delle misure cautelari personali, l’art. 275 cod. proc. pen. impone al giudice di valutare se la misura che intende adottare sia idonea a soddisfare le specifiche esigenze di cautela ravvisate nel caso concreto. La discrezionalità del giudice, ancorché ampia, non è assoluta e la formulazione del giudizio di adeguatezza e proporzionalità della misura alle esigenze che si intendono soddisfare è incensurabile in sede di legittimità solo se sorretta da adeguata motivazione, immune da vizi logici e giuridici (Sez. 6, n. 2995 del 20/07/1992, COGNOME, Rv. 192222-01).
A seguito delle modifiche che sono state apportate all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., dalla legge n. 47 del 2015, incombe sul giudice che emette o conferma, sia pure in sede di impugnazione, un’ordinanza applicativa della custodia cautelare in carcere il dovere di esplicitare specificamente le ragioni per le quali sono inadeguate le altre misure coercitive e interdittive (Sez. 3, n. 842 del 17/12/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 265964-01).
Inoltre, il giudizio del tribunale del riesame sull’inadeguatezza degli arresti domiciliari a contenere il pericolo della reiterazione criminosa, per la sua natura di valutazione assorbente e pregiudiziale, costituisce pronuncia implicita sull’inopportunità di impiego di uno degli strumenti elettronici di controllo a distanza previsti dall’art. 275-bis cod. proc. pen. (Sez. 2, n. 43402 del 25/09/2019, COGNOME, Rv. 277762-01, con la quale la Corte ha precisato che si deve ritenere assolto l’onere motivazionale sull’assoluta proporzionalità della misura carceraria quando si esclude in radice l’idoneità del regime cautelare fiduciario, ordinariamente caratterizzato dal controllo elettronico).
Nel caso in esame, il Tribunale di Napoli ha indicato gli elementi che l’hanno indotto a reputare l’inadeguatezza della misura degli arresti domiciliari pur se eseguita in Scalea, evidenziando non solo la considerevole capacità intimidatoria del Napoli – la quale trovava conferma nelle dichiarazioni di alcune delle sue vittime (in particolare, di NOME COGNOME e di NOME COGNOME), che avevano esternato il timore che nutrivano per la propria incolumità -, ma anche il fatto che lo stesso Napoli era risultato non operare da solo ma, come era emerso dalle medesime dichiarazioni, avvalendosi anche dell’ausilio del nipote, il quale, essendo ancora presente nel territorio in cui si erano svolti i fatti, si doveva ritenere d tutto verosimilmente pronto a eseguire gli eventuali futuri ordini che lo zio, qualora non fosse stato ristretto in carcere, sarebbe stato in grado di impartirgli ai fini del riscossione dei ratei di interessi ancora dovuti, tenuto anche conto della disponibilità delle vittime (che avevano denunciato i fatti soltanto dietro sollecitazione degli inquirenti) a pagarli per non perdere una potenziale futura linea di credito.
Ciò posto, il profilo di doglianza in esame è, anzitutto, non consentito, atteso che il ricorrente ha omesso di confrontarsi con tale motivazione del Tribunale di Napoli.
Il ricorrente si è infatti limitato a denunciare che il Tribunale di Napoli avrebbe escluso l’applicazione della misura degli arresti domiciliari in Scalea «limitandosi a fare riferimento al rischio di reiterazione del reato (usura) senza un’analisi concreta e dettagliata, rappresenta una motivazione insufficiente e generica» e «senza fornire una motivazione adeguata che giustificasse il mantenimento della misura custodiale in carcere, avendo sposato acriticamente la
tesi accusatoria, che in maniera superficiale ritiene il prevenuto dedito all’attivit criminosa per indole e per la sola considerazione dei precedenti penali, che si riferiscono ad attività sostanzialmente ben diversa da quella odiernamente contestata». In tale modo, però, il ricorrente si è in realtà sottratto a un effetti confronto con i ricordati argomenti, che il Napoli neppure considera, sulla base dei quali il Tribunale di Napoli ha basato il proprio giudizio di inadeguatezza della misura degli arresti domiciliari e di necessità della misura carceraria.
Il profilo di doglianza è, in ogni caso, manifestamente infondato, atteso che la motivazione del Tribunale di Napoli non integra alcuna inosservanza di norme di legge, alla luce anche dei ricordati principi affermati dalla Corte di cassazione nella materia, e risulta del tutto priva di contraddizioni e di illogicità, tanto me manifeste, sicché essa si sottrae a censure in questa sede di legittimità.
In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento, nonché, essendo ravvisabili profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento della somma di C 3.000,00 in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 27/02/2025.