Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 26760 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 26760 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 10/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a ROMA il 22/03/1978
avverso l’ordinanza del 17/12/2024 del TRIB. GLYPH 61-B-ERTkdi NAPOLI udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME
lette/sentite le conclusioni del PG NOME COGNOME
Il Proc. Gen. conclude per il rigetto come da requisitoria in atti.
udito il difensore
IN FATTO E IN DIRITTO
1. Con l’ordinanza di cui in premessa il tribunale di Napoli, in funzione di tribunale del riesame, adito ex art. 309, c.p.p., confermava l’ordinanza con cui il giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di S. Maria Capua Vetere, in data 25.11.2024, aveva disposto la misura cautelare degli arresti domiciliari nei confronti di COGNOME NOME, in relazione ai reati di bancarotta impropria societaria, bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione aggravata, di riciclaggio e di autoriciclaggio, ascrittigli nelle imputazioni provvisorie, riguardanti il fallimento delle società “RAGIONE_SOCIALE” e “RAGIONE_SOCIALE“.,
2. Avverso il menzionato provvedimento, di cui chiedono l’annullamento, ha proposto ricorso per cassazione l’indagato, lamentando: 1) violazione di legge, in relazione all’art. 274, co. 1, lett. c), c.p.p., in quanto il tribunale del riesame ha affermato la sussistenza dell’esigenza cautelare di tutela della collettività, utilizzando mere formule di stile, limitandosi a una valutazione di condotte già realizzate, calibrando sulla ritenuta gravità di fatti passati la sussistenza e l’entità del periculum libertatis, invece che riferirla, all’esito di un giudizio prognostico, sul rischio attuale e concreto che in un futuro imminente il ricorrente possa concretamente reiterare fatti analoghi a quelli per cui si procede.
Difetta, ad avviso del ricorrente, nell’impianto dell’ordinanza impugnata ogni reale motivazione sui profili dell’attualità e della concretezza del pericolo di reiterazione criminosa, la cui sussistenza viene affermata apoditticamente, facendo riferimento alla gravità indiziaria e alla presunta gravità dei fatti, valutando ipotesi accusatorie costruite intorno a fatti passati, valorizzando inammissibilmente la circostanza che l’indagato ha negato gli addebiti elevati nei suoi confronti e, con particolare riferimento al profilo dell’attualità, erroneamente indicando il 3.4.2023 come data del conferimento in favore della società “RAGIONE_SOCIALE” dei compendi immobiliari distratti in danno delle società fallite, attraverso la cedente “RAGIONE_SOCIALE“, a sua volta beneficiaria da “RAGIONE_SOCIALE” e “RAGIONE_SOCIALE“, conferimento in realtà avvenuto 1’8.3.2021; 2) manifesta illogicità e
contraddittorietà della motivazione, con riferimento sia alla ritenuta sussistenza delle esigenze cautelari, sia alla ritenuta proporzionalità e adeguatezza della misura cautelare applicata.
Con questo motivo vengono reiterate le medesime doglianze articolate nel primo motivo, sotto il profilo del vizio di motivazione, evidenziando, inoltre, la manifesta contraddittorietà della motivazione, laddove il tribunale del riesame è giunto ad una decisione più favorevole per il coindagato NOME COGNOME sostituendo la misura degli arresti domiciliari con altra meno afflittiva, sul presupposto che quest’ultimo è pervenuto a una transazione con la curatela fallimentare restituendo parte delle somme sottratte e recedendo dalla varie cariche rivestite, senza considerare, tuttavia, che il COGNOME non avrebbe mai potuto comportarsi nello stesso modo perché non ha mai percepito nessun compenso, né ha mai rivestito incarichi professionali nelle società con cui collaborava il NOME.
Allo stesso modo, ad avviso del ricorrente, si risolve in una mera formula di stile e in un’astratta petizione di principio la ritenuta sussistenza dei requisiti della proporzionalità e dell’adeguatezza della misura imposta.
Con requisitoria scritta del 22.3.2025, da valere come memoria, perché nelle more è stata richiesta la trattazione in forma orale della proposta impugnazione, il sostituto procuratore generale della Repubblica presso la Corte di cassazione, dott. NOME COGNOME chiede che il ricorso venga rigettato.
Con memoria di replica dell’1.4.2025, l’avv. COGNOME difensore di fiducia del COGNOME, insiste per l’accoglimento del ricorso, sottolineando il decorso di oltre quattro mesi di detenzione agli arresti domiciliari del proprio assistito.
Il ricorso va rigettato, perché sorretto da motivi, in parte infondati, in parte inammissiibili.
Come è noto in materia di provvedimenti de libertate, la Corte di Cassazione non ha alcun potere di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, ivi compreso lo spessore degli indizi, né di rivalutazione delle condizioni soggettive dell’indagato, in relazione alle
esigenze cautelari e all’adeguatezza delle misure, trattandosi di apprezzamenti di merito rientranti nel compito esclusivo e insindacabile del giudice che ha applicato la misura e del tribunale del riesame.
Il controllo di legittimità è quindi circoscritto all’esame del contenuto dell’atto impugnato per verificare, da un lato, le ragioni giuridiche che lo hanno determinato e, dall’altro, l’assenza di illogicità evidenti, ossia la congruità delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento (cfr, ex plurimis, Sez. 2, 2.2.2017, n. 9212, Rv. 269438; Sez. 4, 3.2.2011, n. 14726; Sez. 3, 21.10.2010, n. 40873, Rv. 248698; Sez. 4, 17.8.1996, n. 2050, Rv. 206104; Sez. 1, n. 6972 del 07.12.1999, Rv. 215331; Sez. 6, n. 49153 del 12.11.2015, Rv. 265244). 5.1. Principio altrettanto noto, condiviso dal Collegio, è che, in tema di misure cautelari, il pericolo di reiterazione del reato di cui all’art. 274, comma 1, lett. c), c.p.p., deve essere non solo concreto – fondato cioè su elementi reali e non ipotetici – ma anche attuale, nel senso che possa formularsi una prognosi in ordine alla continuità del periculum libertatis nella sua dimensione temporale, fondata sia sulla personalità dell’accusato, desumibile anche dalle modalità del fatto per cui si procede, sia sull’esame delle sue concrete condizioni di vita. Tale valutazione prognostica non richiede, tuttavia, la previsione di una “specifica occasione” per delinquere, che esula dalle facoltà del giudice.
L’attualità del pericolo, pertanto, non è equiparabile all’imminenza di specifiche opportunità di ricaduta nel delitto e richiede, invece, da parte del giudice della cautela, una valutazione prognostica sulla possibilità di condotte reiterative, alla stregua di un’analisi accurata della fattispecie concreta, che tenga conto delle modalità realizzative della condotta, della personalità del soggetto e del contesto socio-ambientale, la quale deve essere tanto più approfondita quanto maggiore sia la distanza temporale dai fatti, ma non anche la previsione di specifiche occasioni di recidivanza (cfr. Sez. 5, n. 33004 del 03/05/2017, Rv. 271216; Sez. 5, n. 11250 del 19/11/2018, Rv. 277242; Sez. 5, n. 1154 del 11/11/2021, Rv. 282769; Sez. 5, n. 12869 del 20/01/2022, Rv. 282991).
Secondo altro minoritario orientamento, recentemente riproposto da Sez. 6, n. 11728 del 20/12/2023, Rv. 286182, l’attualità del pericolo di reiterazione del reato, implica che, per poterlo ritenere configurabile, non sia più sufficiente ritenere altamente probabile che l’imputato torni a delinquere qualora se ne presenti l’occasione, ma è anche necessario prevedere che gli si presenti effettivamente un’occasione prossima per compiere ulteriori delitti della stessa specie.
A tale princìpi si è attenuta la motivazione del tribunale del riesame, che ha ancorato la sua valutazione sulla sussistenza del pericolo di reiterazione del reato in termini di concretezza e di attualità, proprio alla gravità dei fatti per cui si procede e alla personalità dell’indagato, messa in luce dalle modalità e dalle circostanze dell’azione criminosa, dettagliatamente ricostruita nel corpo dell’ordinanza impugnata.
Invero nel provvedimento oggetto di ricorso il giudice dell’impugnazione cautelare, ha evidenziato, con motivazione affatto lacunosa, manifestamente illogica o contraddittoria, da un lato, la particolare gravità dei fatti contestati al COGNOME, indicato come il principale responsabile della complessa attività di spoliazione e successiva dispersione del patrimonio aziendale delle fallite società cooperative nonché co-autore di plurime condotte di auto-riciclaggio.
Dall’altro, che, in relazione a una tale propensione a delinquere, sorretta da indubbie competenze tecniche e speciale tenacia nell’approfondire e portare a compimento le condotte illecite, non può ritenersi che la sola cautela reale, consistente nel sequestro dei beni di cui il ricorrente dispone, possa salvaguardare l’esigenza di cui all’art. 274 lett. c) c.p.p., essendo necessario porre il COGNOME nell’impossibilità di continuare in qualsiasi modo a porre in essere attività illegali concernenti la gestione, in via formale o di fatto, di società, imprese, stipula di contratti, ecc.
Del pari dotata intrinseca coerenza logica deve ritenersi l’affermazione del giudice di merito, secondo la quale la dismissione di ruoli formali nelle società interessate e la cancellazione dall’albo professionale non appaiono sufficienti a garantire che l’indagato non reiteri, avvalendosi di terzi prestanome, i propositi delittuosi.
La scelta del presidio cautelare domiciliare, pertanto, trova rigorosa e convincente motivazione nella necessità di prevenire i contatti con intermediari che possano coadiuvare l’indagato nella realizzazione o nel completamento dei propositi criminosi, limitando la libertà di movimento sul territorio nazionale del Leccisi, non essendo a tal fine adeguata, in considerazione dell’intensità delle spinte criminose che hanno orientato l’articolata condotta illecita del ricorrente, la scelta di una semplice misura interdittiva (cfr. pp. 8 e 9 dell’impugnata ordinanza).
Al riguardo, come correttamente rilevato dal sostituto procuratore generale nella richiamata memoria del 22.3.2025, non appare decisiva la erronea individuazione nel 2023 (invece che nel 2021) della data del conferimento del ramo di azienda alla “RAGIONE_SOCIALE“, in quanto tale diversa ed anteriore collocazione temporale, comunque recente, non vale ad escludere o attenuare il pericolo di reiterazione dell’attività criminosa mediante condotte analoghe a quelle per cui è processo, in quanto dimostrativa di un’attività illecita, protrattasi con sistematicità per un lungo periodo di tempo, che giustifica comunque la ritenuta sussistenza del pericolo di reiterazione del reato, per il quale, come si è detto, non si richiede previsione di specifiche occasioni di recidivanza.
Allo stesso modo l’affermazione con cui il tribunale del riesame valorizza negativamente l’atteggiamento non collaborativo dell’indagato, che ha negato gli addebiti, va correttamente inserita nel delineato contesto motivazionale, nel senso che la mancata ammissione delle contestazioni elevate nei suoi confronti, nel percorso argomentativo seguito dal giudice di merito, rileva non di per sé, ma quale sintomo di una convinzione sulla liceità della propria condotta, che autorizza un giudizio, certo non manifestamente illogico, sulla immutata “spinta” del COGNOME a continuare nella sua attività, utilizzando dei prestanome, non appena se ne presenti l’occasione.
Mentre appare inammissibile, perché versato in fatto e generico, l’argomento sul diverso trattamento cautelare riservato al co-indagato NOMECOGNOME
5.2. Anche il tema della proporzionalità e dell’adeguatezza della misura cautelare disposta a carico del COGNOME non risulta negletto dalla motivazione del tribunale del riesame.
Al riguardo si osserva che, come affermato dalla giurisprudenza di legittimità nella sua espressione più autorevole il principio di proporzionalità, al pari di quello di adeguatezza, opera come parametro di commisurazione delle misure cautelari alle specifiche esigenze ravvisabili nel caso concreto, tanto al momento della scelta e della adozione del provvedimento coercitivo, che per tutta la durata dello stesso, imponendo una costante verifica della perdurante idoneità della misura applicata a fronteggiare le esigenze che concretamente permangano o residuino, secondo il principio della minor compressione possibile della libertà personale (cfr. Sez. U, n. 16085 del 31/03/2011, Rv. 249324).
Sul punto il Supremo Consesso, richiamando il dictum della sentenza della Corte Costituzionale n. 265 del 2010, ha evidenziato l’avvenuto recepimento, all’interno del sistema delle cautele (art. 275, comma 2, cod. proc. pen.), del duplice e concorrente canone della adeguatezza, in forza del quale il giudice deve parametrare la specifica idoneità della misura a fronteggiare le esigenze cautelari che si ravvisano nel caso concreto, secondo il paradigma della gradualità, e del criterio di proporzionalità, per il quale ogni misura deve essere proporzionata all’entità del fatto e alla sanzione che sia stata o si ritiene possa essere i rrogata.
L’aspetto qualificante che caratterizza il sistema appena delineato e che lo rende conforme a Costituzione, è, dunque, quello di rifuggire da qualsiasi elemento che introduca al suo interno fattori che ne compromettano la flessibilità, attraverso automatismi o presunzioni, esigendo esso, piuttosto, che le condizioni e i presupposti per l’applicazione di una misura cautelare restrittiva della libertà personale siano apprezzati e motivati dal giudice sulla base della situazione concreta, alla stregua dei ricordati principi di adeguatezza, proporzionalità e minor sacrificio, così da realizzare una piana
individualizzazione della coercizione cautelare, sì da precludere tendenzialmente qualsiasi automatismo, che inibisca la verifica del caso
concreto.
A tali principi, come si è visto, si è attenuto il tribunale del riesame, che ha valutato l’adeguatezza e la proporzionalità della misura cautelare
imposta, al di fuori di ogni automatismo o presunzione, ma sulla base degli elementi di fatto che caratterizzano la fattispecie concreta portata
al suo esame, alla luce della gravità dei fatti e dell’intensità del dolo ascrivibile al COGNOME, nonché della natura del pericolo recidivante che con
essa si vuole contrastare (cfr., a tale ultimo proposito, Sez. 2, n. 797 del
03/12/2020, Rv. 280470).
5.3. Come si è detto, nella memoria dell’1.4.2025 il ricorrente denuncia
“che la misura in esecuzione è prossima alla scadenza dei termini di fase, trovandosi il procedimento ancora in fase di indagini ed essendo
decorsi oltre quattro mesi di detenzione agli arresti domiciliari, periodo nel quale l’applicazione della misura nei confronti di soggetto incensurato ha sicuramente già assolto alla funzione special-preventiva cui la sua adozione era preordinata”.
Si tratta di un rilievo inammissibile, perché implica una valutazione di merito, non consentita in questa sede di legittimità, ben potendo il tempo trascorso dall’applicazione o dall’esecuzione della misura in poi, essendo qualificabile, in presenza di ulteriori elementi, come fatto sopravvenuto da cui poter desumere il venir meno ovvero l’attenuazione delle originarie esigenze cautelari, fatto valere ai fini della revoca o della sostituzione della misura, ai sensi dell’art. 299, cod.proc.pen. (cfr. Sez. 2, n. 12807 del 19/02/2020, Rv. 278999).
Al rigetto del ricorso segue la condanna della ricorrente, ai sensi dell’art. 616, c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 10.4.2025.