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Pericolo di reiterazione: la Cassazione e la custodia

Un individuo, indagato per reati di droga risalenti a tre anni prima, ricorre in Cassazione contro l’ordinanza di custodia cautelare in carcere. Sostiene che il tempo trascorso abbia affievolito il pericolo di reiterazione. La Suprema Corte rigetta il ricorso, confermando la misura. La sentenza chiarisce che l’attualità del pericolo non significa imminenza, ma si basa su una valutazione complessiva della personalità dell’indagato, dei precedenti specifici e dei legami con ambienti criminali, elementi che in questo caso rendevano il rischio ancora concreto e attuale.

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Pubblicato il 21 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Pericolo di Reiterazione e Custodia Cautelare: Quando il Tempo Non Cancella il Rischio

La valutazione del pericolo di reiterazione è uno dei pilastri su cui si fonda l’applicazione delle misure cautelari nel nostro ordinamento. Ma cosa succede quando i fatti contestati sono datati? Può il semplice trascorrere del tempo neutralizzare quel rischio concreto e attuale che la legge richiede per giustificare la detenzione in carcere prima di una condanna? La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 21539 del 2024, offre una risposta chiara: non necessariamente. Analizziamo una decisione che approfondisce il concetto di ‘attualità’ del pericolo, legandolo non alla vicinanza temporale del reato, ma a una valutazione complessiva della personalità dell’indagato.

I Fatti del Caso

La vicenda riguarda un individuo sottoposto alla misura della custodia cautelare in carcere per reati legati al traffico di sostanze stupefacenti. I fatti contestati, tuttavia, risalivano a oltre tre anni prima dell’emissione del provvedimento restrittivo. Il Tribunale del Riesame aveva confermato la misura, ritenendo sussistenti sia i gravi indizi di colpevolezza sia, appunto, le esigenze cautelari legate a un concreto pericolo di reiterazione delle condotte illecite.

Il Ricorso in Cassazione: il Pericolo di Reiterazione è ancora ‘Attuale’?

La difesa dell’indagato ha proposto ricorso per cassazione, basando la propria argomentazione principale proprio sulla distanza temporale tra i fatti (fissati al luglio 2020) e l’applicazione della misura (ottobre 2023). Secondo il ricorrente, tale lasso di tempo avrebbe dovuto indebolire la presunzione di pericolosità, rendendo la misura carceraria sproporzionata. Inoltre, si contestava la logicità della motivazione del Tribunale, che aveva fatto riferimento a un precedente procedimento penale per fatti ancora più remoti (del 2018) per desumere la persistenza del rischio, nonostante per quel procedimento fosse già stata revocata una precedente misura cautelare.

La Decisione della Suprema Corte sul Pericolo di Reiterazione

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, ritenendolo infondato. I giudici di legittimità hanno validato l’impianto argomentativo del Tribunale del Riesame, offrendo importanti chiarimenti sul concetto di ‘attualità’ del pericolo di reiterazione previsto dall’art. 274, lett. c), del codice di procedura penale.

le motivazioni

Il cuore della pronuncia risiede nella distinzione tra ‘attualità’ e ‘imminenza’. La Corte spiega che l’attualità del pericolo non va intesa come la probabilità imminente di commettere un nuovo reato, ma come una ‘prognosi di commissione di delitti analoghi, fondata su elementi concreti’. Questa prognosi deve essere basata su un’analisi accurata di tre fattori principali:

1. Le modalità del fatto: La struttura e l’organizzazione dimostrate nel commettere i reati contestati.
2. La personalità del soggetto: Elemento cruciale nel caso di specie. L’indagato aveva un precedente specifico per reati di droga risalenti al 2018, per cui era stato condannato. Il fatto che avesse continuato a delinquere nel 2019 e 2020 è stato visto come un indicatore di una ‘peculiare propensione a delinquere’ e di un’attività criminale stabile e non occasionale.
3. Il contesto socio-ambientale: I giudici hanno valorizzato gli ‘stabili legami’ dell’indagato con noti soggetti pluripregiudicati e la sua totale assenza di un’attività lavorativa lecita, elementi che suggerivano come il traffico di droga fosse la sua principale fonte di sostentamento e che il suo contesto di riferimento fosse rimasto immutato.

La Corte ha inoltre ritenuto logico il ragionamento del Tribunale riguardo all’inadeguatezza di misure meno afflittive, come gli arresti domiciliari. Era emerso, infatti, che l’indagato si avvalesse della collaborazione di un complice, all’epoca dei fatti ristretto proprio agli arresti domiciliari, per smerciare la droga. Ciò dimostrava una totale indifferenza verso le prescrizioni dell’autorità giudiziaria e l’inidoneità di tale misura a contenere la sua pericolosità.

le conclusioni

La sentenza ribadisce un principio fondamentale: la valutazione sul pericolo di reiterazione non è un calcolo matematico basato sulla distanza temporale dai fatti, ma un giudizio prognostico complesso. Un passato criminale specifico e persistente, l’inserimento in contesti delinquenziali e la mancanza di alternative di vita lecite possono mantenere ‘attuale’ il rischio di ricaduta nel reato, anche a distanza di anni. Questa decisione serve da monito, sottolineando che una ‘carriera’ criminale consolidata pesa in modo significativo nella bilancia della giustizia cautelare, rendendo più difficile sostenere che il tempo, da solo, abbia estinto la pericolosità sociale del soggetto.

Il semplice passare del tempo è sufficiente a escludere il pericolo di reiterazione di un reato?
No. Secondo la sentenza, una maggiore distanza temporale dai fatti richiede una motivazione più approfondita da parte del giudice, ma non esclude automaticamente il pericolo. Quest’ultimo deve essere valutato sulla base di elementi concreti che indicano una continuità ed effettività del rischio, come la personalità del soggetto e il suo contesto di vita.

Quali elementi considera il giudice per valutare l’attualità del pericolo di reiterazione?
Il giudice compie una valutazione prognostica basata su: le modalità realizzative della condotta, la personalità del soggetto (inclusi i precedenti specifici e la propensione a delinquere) e il contesto socio-ambientale in cui vive (come legami con ambienti criminali e assenza di lavoro lecito).

Perché gli arresti domiciliari con braccialetto elettronico sono stati ritenuti inadeguati in questo caso?
Sono stati ritenuti inadeguati perché l’indagato, per le sue attività di spaccio, si avvaleva della collaborazione di un complice che si trovava già agli arresti domiciliari. Questo ha dimostrato la sua indifferenza verso le prescrizioni giudiziarie e la sua capacità di aggirare tale misura, rendendola inefficace a impedirgli di commettere nuovi reati.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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