Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 2395 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 2395 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 03/12/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOME, nato in Marocco il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza sentenza del 10/9/2024 del Tribunale del riesame di Brescia;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; sentita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procurato generale NOME AVV_NOTAIO, che ha chiesto dichiarare inammissibile il ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 10/9/2024, il Tribunale del riesame di Brescia, in riforma dell’ordinanza emessa il 12/7/2024 dal Tribunale di Bergamo, applicava ad NOME COGNOME la misura cautelare degli arresti domiciliari.
Propone ricorso per cassazione l’indagato, deducendo – con unico motivo la mancanza, la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione Tribunale avrebbe riscontrato il pericolo di reiterazione del reato sulla base di elementi del tutto neutri, quali un precedente penale risalente al 2009 e l’asse di una attività lavorativa; risulterebbe evidente, pertanto, la car
dell’argomento speso, insufficiente a riformare la precedente ordinanza che aveva applicato la più mite misura dell’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria.
Il 2/12/2024 il difensore ha depositato via pec una fotocopia della sentenza emessa dal Tribunale di Bergamo il 9/9/2024, relativa alla vicenda in oggetto, con annotazione di definitività.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso risulta manifestamente infondato.
L’argomento che sostiene l’impugnazione non trova effettivo riscontro nell’ordinanza impugnata, che ha riformato il provvedimento cautelare genetico con una motivazione del tutto adeguata, fondata su concreti elementi di indagine e priva dei vizi denunciati: non censurabile, dunque, nell’ottica del rafforzamento delle esigenze cautelari e del conseguente aggravamento della misura necessaria a farvi fronte.
Il giudice dell’appello ha innanzitutto sottolineato il significativo quantitativo di cocaina sequestrato al NOME, pari ad oltre 165 grammi, in parte già suddiviso in dose, in parte ancora a “sasso”, oltre a materiale per confezionamento e bilancini; da ciò, i gravi indizi di colpevolezza per il delitto di cui all’art. 73, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, peraltro estranei a contestazione in questa sede.
Di seguito, ed ancora in ottica cautelare, l’ordinanza ha richiamato il precedente penale a carico del soggetto che, seppur risalente nel tempo, è stato ritenuto espressione – insieme alla condotta qui in esame – di una personalità dedita ad attività illecite in materia di stupefacenti e “del tutto impermeabile alle esperienze giudiziarie vissute”. In questo contesto, è stata anche valorizzata l’assenza di un’attività lavorativa lecita, ritenuta elemento non secondario con riguardo al pericolo di reiterazione del reato; pericolo amplificato, peraltro, dalla posizione non marginale che il ricorrente ha dimostrato di avere nel mercato degli stupefacenti, come desumibile ancora dal considerevole quantitativo di cocaina che lo stesso deteneva.
6.1. In forza di queste considerazioni, che non risultano né carenti né illogiche, il Tribunale ha quindi ritenuto insufficiente la misura cautelare originariamente applicata (obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria) ed adeguata quella degli arresti domiciliari, come idonea ad impedire al ricorrente di mantenere contatti con ambienti illeciti e, dunque, reiterare il reato.
Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile. Giudizio confermato, peraltro, dalla produzione documentale già richiamata, che attesta l’avvenuto esaurimento della fase cautelare per quella esecutiva.
7.1. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 3 dicembre 2024
Il Consigliere estensore
Il Presidente