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Pericolo di reiterazione: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un indagato contro l’ordinanza di arresti domiciliari per spaccio di stupefacenti. La Suprema Corte ha confermato la validità della valutazione sul pericolo di reiterazione del reato, basata su elementi concreti come l’ingente quantitativo di droga, un precedente penale specifico e la mancanza di un’attività lavorativa lecita, ritenendoli indicatori di una personalità incline al crimine.

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Pubblicato il 10 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Pericolo di Reiterazione: Quando un Vecchio Precedente Conta Ancora

La valutazione del pericolo di reiterazione del reato è un pilastro del nostro sistema processuale penale, fondamentale per decidere se applicare o meno una misura cautelare come gli arresti domiciliari. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha ribadito come elementi quali precedenti penali datati, assenza di lavoro e la gravità del fatto possano, se letti congiuntamente, giustificare una misura restrittiva. Analizziamo la decisione per comprendere i criteri seguiti dai giudici.

I Fatti del Caso

Il Tribunale del riesame di Brescia, riformando una precedente decisione più mite del Tribunale di Bergamo (che aveva imposto solo l’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria), applicava la misura degli arresti domiciliari a un soggetto indagato per detenzione di stupefacenti. La base della decisione era il sequestro di un quantitativo significativo di cocaina, oltre 165 grammi, in parte già suddivisa in dosi, insieme a materiale per il confezionamento e bilancini.
L’indagato proponeva ricorso per cassazione, sostenendo che la motivazione fosse illogica e contraddittoria. A suo dire, il Tribunale aveva fondato il pericolo di reiterazione su due elementi deboli e neutri: un precedente penale risalente al 2009 e la mancanza di un’attività lavorativa stabile. Secondo la difesa, questi fattori non erano sufficienti a giustificare l’aggravamento della misura cautelare.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha respinto la tesi difensiva, dichiarando il ricorso manifestamente infondato e quindi inammissibile. I giudici hanno ritenuto la motivazione del Tribunale del riesame del tutto adeguata, logica e fondata su elementi concreti, priva dei vizi denunciati. La decisione di aggravare la misura è stata considerata una conseguenza corretta del rafforzamento delle esigenze cautelari emerse dal quadro indiziario.

Le Motivazioni: Analisi del Pericolo di Reiterazione

La Corte ha spiegato in dettaglio perché gli elementi considerati dal Tribunale non fossero affatto neutri.

1. Gravità del Fatto: Il primo elemento valorizzato è stato l’ingente quantitativo di cocaina sequestrata. Questo dato, di per sé, indica non solo gravi indizi di colpevolezza ma anche una posizione non marginale dell’indagato nel mercato degli stupefacenti.
2. Precedente Penale: Il precedente penale, sebbene datato, è stato ritenuto espressione di una ‘personalità dedita ad attività illecite in materia di stupefacenti’. La Corte ha sottolineato come questo, unito alla condotta attuale, dimostri un soggetto ‘del tutto impermeabile alle esperienze giudiziarie vissute’, evidenziando una spiccata tendenza a delinquere.
3. Assenza di Attività Lavorativa: In questo specifico contesto, anche l’assenza di un lavoro lecito è stata considerata un elemento non secondario. La mancanza di fonti di reddito legali, unita agli altri indizi, amplifica il rischio che l’indagato possa ricorrere ad attività illecite per mantenersi, rendendo concreto il pericolo di reiterazione.

In sintesi, la Corte ha stabilito che la combinazione di questi fattori disegna un quadro di pericolosità sociale tale da rendere insufficiente la misura più lieve dell’obbligo di firma e adeguata quella degli arresti domiciliari, poiché idonea a impedire contatti con ambienti criminali.

Le Conclusioni

La sentenza riafferma un principio cruciale: la valutazione del pericolo di reiterazione non si basa su singoli elementi isolati, ma su un’analisi complessiva della personalità dell’indagato e del contesto in cui opera. Un precedente penale, anche se non recente, può riacquistare rilevanza se letto insieme a nuovi e gravi indizi di reato. Allo stesso modo, la condizione di disoccupazione, pur non essendo di per sé un indizio di colpevolezza, diventa un fattore di rischio concreto quando si inserisce in un quadro di comprovata dedizione ad attività illecite. Questa decisione conferma che il giudice deve valutare tutti gli elementi a sua disposizione per calibrare la misura cautelare più adatta a neutralizzare la specifica pericolosità del soggetto.

Un precedente penale molto vecchio può giustificare una misura cautelare?
Sì, secondo la sentenza, un precedente penale, anche se risalente nel tempo, può essere un elemento rilevante se, considerato insieme alla condotta attuale, dimostra una personalità ‘dedita ad attività illecite’ e ‘impermeabile alle esperienze giudiziarie vissute’.

L’assenza di un lavoro è un elemento rilevante per valutare il pericolo di reiterazione del reato?
Sì, nel contesto specifico del caso, la Corte ha ritenuto l’assenza di un’attività lavorativa lecita un ‘elemento non secondario’. Se unita ad altri gravi indizi (come il possesso di ingenti quantità di droga e precedenti specifici), amplifica il pericolo che l’indagato possa commettere nuovi reati.

Perché il Tribunale ha ritenuto insufficiente la misura dell’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria?
Il Tribunale ha ritenuto tale misura insufficiente perché la combinazione di elementi (quantità di droga, precedenti, assenza di lavoro) delineava un quadro di pericolosità tale per cui solo una misura più afflittiva, come gli arresti domiciliari, poteva efficacemente impedire al ricorrente di mantenere contatti con ambienti illeciti e, di conseguenza, di reiterare il reato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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