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Pericolo di reiterazione: la Cassazione conferma il carcere

La Cassazione ha rigettato il ricorso di un imputato che chiedeva gli arresti domiciliari in comunità. La decisione si basa sul concreto pericolo di reiterazione, dimostrato da precedenti penali e dalla commissione di nuovi reati durante una misura cautelare, rendendo il carcere l’unica misura idonea.

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Pubblicato il 7 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Pericolo di Reiterazione: Quando il Carcere Resta l’Unica Misura Adeguata

La Corte di Cassazione, con una recente sentenza, ha affrontato un caso emblematico relativo alla valutazione del pericolo di reiterazione del reato, confermando come la condotta dell’imputato successiva all’applicazione di una misura cautelare possa essere decisiva per negare benefici come gli arresti domiciliari. La pronuncia ribadisce principi consolidati in materia di esigenze cautelari, chiarendo i limiti del controllo di legittimità e i criteri per valutare l’adeguatezza delle misure restrittive della libertà personale.

I Fatti del Caso: Il Diniego degli Arresti Domiciliari

Il caso ha origine dal ricorso presentato da un imputato contro l’ordinanza del Tribunale della Libertà di Bologna. Quest’ultimo aveva respinto la richiesta di sostituire la misura della custodia cautelare in carcere con quella degli arresti domiciliari da scontare presso una comunità terapeutica. L’imputato lamentava una motivazione carente riguardo sia all’effettiva sussistenza dell’esigenza cautelare, sia all’inadeguatezza della misura meno afflittiva richiesta, sottolineando che gli arresti in comunità non costituivano una semplice misura autocustodiale.

La Valutazione sul Pericolo di Reiterazione da parte dei Giudici

I giudici di merito, sia in primo grado che in appello, avevano fondato la loro decisione su elementi concreti e allarmanti. L’imputato, infatti, era gravato da numerosi precedenti penali. L’elemento decisivo, tuttavia, è stato il suo comportamento successivo all’arresto: dopo essere stato sottoposto a misura cautelare l’11 ottobre 2023, si era reso responsabile di altri due reati in date successive (28 ottobre e 16 novembre 2023). Questa condotta ha inevitabilmente rafforzato la prognosi negativa sul pericolo di reiterazione, dimostrando una spiccata tendenza a delinquere non frenata nemmeno dallo stato di detenzione.

La Decisione della Corte di Cassazione e il Controllo di Legittimità

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso infondato, allineandosi pienamente con le decisioni dei giudici di merito. In primo luogo, ha ricordato che il suo compito, nel cosiddetto ‘controllo di legittimità’, non è rivalutare i fatti, ma verificare che la decisione impugnata sia giuridicamente corretta e logicamente motivata. La valutazione del pericolo di reiterazione, come specificato dalla giurisprudenza, deve basarsi sulle modalità del fatto, sulla personalità dell’imputato e può tenere conto anche dei procedimenti penali pendenti, specialmente se relativi a reati simili.

Le Motivazioni

La Corte ha ritenuto la motivazione dell’ordinanza impugnata del tutto congrua e logica. I giudici di merito avevano correttamente evidenziato come la commissione di nuovi reati dopo l’arresto originario fosse un elemento schiacciante a sostegno della prognosi negativa. Questa circostanza dimostrava, al di là di ogni ragionevole dubbio, la persistenza di un concreto e attuale pericolo che l’imputato potesse commettere altri delitti. Inoltre, la Corte ha condiviso la valutazione sull’inadeguatezza degli arresti in comunità. I giudici avevano osservato, in modo logico, che l’assistenza fornita dagli operatori della struttura non può spingersi fino a trattenere fisicamente un soggetto che decida di allontanarsi, rendendo la misura inefficace a contenere la sua pericolosità sociale. Il ricorso dell’imputato, secondo la Corte, non è riuscito a scalfire queste solide argomentazioni.

Le Conclusioni

In conclusione, la sentenza conferma un principio fondamentale del sistema cautelare: la valutazione del pericolo di reiterazione deve essere ancorata a elementi concreti e attuali, tra cui spicca la condotta dell’imputato. La commissione di nuovi reati mentre si è già sottoposti a una misura restrittiva è la prova più evidente dell’inadeguatezza di misure meno afflittive del carcere. La decisione rigetta il ricorso, condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali e confermando la custodia cautelare in carcere come unica misura idonea a fronteggiare la sua pericolosità.

Quando si può negare la sostituzione del carcere con una misura meno afflittiva come gli arresti in comunità?
La sostituzione può essere negata quando esiste un concreto e attuale pericolo di reiterazione del reato, dimostrato da elementi come i precedenti penali e, soprattutto, la commissione di nuovi delitti da parte dell’imputato mentre era già sottoposto a misura cautelare.

Quali elementi possono essere usati per valutare il pericolo di reiterazione di un reato?
La valutazione si basa sulle modalità e circostanze del fatto, sulla personalità dell’imputato, sui precedenti penali risultanti dal certificato penale e anche sui procedimenti pendenti a suo carico, specialmente se riguardano reati della stessa specie o simili.

Perché gli arresti domiciliari presso una comunità sono stati ritenuti inefficaci in questo caso?
Sono stati ritenuti inefficaci perché l’assistenza fornita dagli operatori della comunità non può includere la coercizione fisica. Pertanto, la struttura non può impedire all’imputato di allontanarsi volontariamente, rendendo la misura inadeguata a contenere un soggetto con un’elevata e comprovata pericolosità sociale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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