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Pericolo di reiterazione: la Cassazione conferma il carcere

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un indagato contro la custodia cautelare in carcere per spaccio. La Corte ha confermato la sussistenza del pericolo di reiterazione, ritenendo insufficiente un contratto di lavoro senza prove concrete e valorizzando i precedenti penali e i legami con ambienti criminali per giustificare la misura più restrittiva.

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Pubblicato il 21 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Pericolo di reiterazione: quando il carcere è l’unica misura idonea

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 21540/2024, è tornata a pronunciarsi su un tema cruciale della procedura penale: la valutazione del pericolo di reiterazione ai fini dell’applicazione della custodia cautelare in carcere. Questa decisione offre importanti chiarimenti su come bilanciare la libertà personale dell’indagato con l’esigenza di prevenire la commissione di nuovi reati, anche a distanza di anni dai fatti contestati.

I Fatti del Caso

Il caso riguarda un individuo indagato per reati legati al traffico di sostanze stupefacenti. Il Tribunale del Riesame aveva confermato per lui la misura della custodia cautelare in carcere, ritenendo sussistenti sia i gravi indizi di colpevolezza sia un concreto e attuale pericolo di recidiva.

La difesa dell’indagato ha presentato ricorso in Cassazione, basandosi su due motivi principali:
1. L’insussistenza del pericolo di reiterazione: secondo la difesa, erano passati quattro anni dai fatti contestati e la situazione personale dell’indagato era radicalmente cambiata, come dimostrato da un contratto di lavoro stipulato di recente. La difesa lamentava che il Tribunale avesse ignorato questa prova senza una motivazione adeguata.
2. L’inadeguatezza della misura: la difesa sosteneva che la custodia in carcere fosse sproporzionata e che misure meno afflittive, come gli arresti domiciliari, sarebbero state sufficienti, dato che all’indagato era contestato un ruolo di fornitore e non di spacciatore al dettaglio.

La Valutazione del pericolo di reiterazione da parte della Cassazione

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, ritenendolo infondato. La sentenza ribadisce principi consolidati e offre spunti di riflessione sulla valutazione delle esigenze cautelari.

L’attualità del pericolo di reiterazione

Il punto centrale della decisione riguarda il concetto di “attualità” del pericolo. La Corte chiarisce che “attuale” non significa “imminente”. Non è necessario che ci sia un’occasione specifica e imminente per commettere un nuovo reato. L’attualità va intesa come una prognosi, basata su elementi concreti, sulla probabilità che l’indagato torni a delinquere.

Nel caso specifico, la Corte ha ritenuto logica e ben motivata la decisione del Tribunale del Riesame. I giudici di merito avevano considerato diversi elementi:
* La personalità dell’indagato: gravato da precedenti specifici, tra cui una condanna per spaccio successiva ai fatti per cui si stava procedendo. In particolare, un arresto in flagranza con il ritrovamento di 2,8 kg di hashish e un macchinario per il confezionamento.
* I legami con l’ambiente criminale: erano emersi contatti stabili e collaborazioni con soggetti pluripregiudicati.
* L’insufficienza delle prove contrarie: il contratto di lavoro prodotto era una semplice copia, senza alcun riscontro concreto (come buste paga o comunicazioni agli enti preposti) che ne provasse la genuinità e l’effettivo svolgimento dell’attività lavorativa.

Questi elementi, nel loro insieme, hanno portato la Corte a concludere che la propensione a delinquere dell’indagato fosse ancora presente e concreta, rendendo attuale il rischio di recidiva.

L’inadeguatezza delle misure alternative

Anche riguardo al secondo motivo di ricorso, la Cassazione ha confermato la decisione del Tribunale. L’inserimento dell’indagato in un circuito criminale consolidato rendeva la custodia in carcere l’unica misura in grado di interrompere efficacemente i contatti con quell’ambiente.

La Corte ha specificato che misure come gli arresti domiciliari, anche con braccialetto elettronico, sarebbero state inadeguate. La decisione di escludere in radice l’idoneità del regime domiciliare implica, secondo la Corte, anche un giudizio di inutilità degli strumenti di controllo a distanza, assolvendo così l’onere di motivare la scelta della misura più grave.

le motivazioni della Corte si fondano sull’analisi complessiva della personalità dell’indagato e del contesto in cui operava. La sentenza sottolinea che la valutazione del pericolo di reiterazione non può basarsi su singoli elementi isolati, come un contratto di lavoro, ma deve scaturire da un’analisi approfondita di tutti i fattori concreti che possono indicare una persistente inclinazione al crimine. La decisione evidenzia come i precedenti penali e i legami stabili con ambienti delinquenziali siano indicatori potenti di questo rischio, capaci di superare la distanza temporale dai fatti contestati e di giustificare la misura cautelare più severa.

le conclusioni che si possono trarre da questa pronuncia sono chiare. Per contrastare efficacemente il pericolo di reiterazione, non è sufficiente allegare un presunto cambiamento di vita, ma è necessario fornirne prova concreta e inequivocabile. La semplice produzione di un contratto di lavoro, senza ulteriori riscontri, non è in grado di scalfire una valutazione prognostica negativa fondata su una solida storia criminale e su persistenti legami con il mondo del crimine. La custodia in carcere rimane, in questi casi, lo strumento ritenuto indispensabile per proteggere la collettività.

Un contratto di lavoro è sufficiente a dimostrare che non c’è più pericolo di reiterazione del reato?
No. Secondo la Corte, la sola produzione di una copia di un contratto di lavoro, senza ulteriori prove concrete come buste paga o comunicazioni agli enti competenti, è insufficiente a dimostrare un reale cambiamento di vita e a superare una prognosi negativa basata su altri elementi.

Come valuta la Corte il pericolo di reiterazione quando è passato molto tempo dai fatti contestati?
La Corte chiarisce che la distanza temporale è un fattore da considerare, ma non è decisiva. Il pericolo è considerato “attuale” non in senso di imminenza, ma come una prognosi concreta sulla probabilità di commettere nuovi reati. Questa prognosi si basa su elementi come la personalità dell’indagato, i suoi precedenti e i legami con ambienti criminali, che possono dimostrare una continuità nella propensione a delinquere anche dopo anni.

Perché la custodia in carcere è stata ritenuta l’unica misura adeguata in questo caso?
La custodia in carcere è stata considerata l’unica misura idonea perché l’indagato era inserito in un circuito criminale stabile e consolidato. Secondo la Corte, solo la detenzione in carcere poteva interrompere efficacemente i contatti con i suoi complici e prevenire la commissione di nuovi reati, mentre gli arresti domiciliari, anche con braccialetto elettronico, sarebbero stati inefficaci.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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