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Pericolo di reiterazione: la Cassazione chiarisce

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un imputato contro l’ordinanza di custodia cautelare in carcere per manipolazione del mercato. La sentenza chiarisce i criteri per valutare il pericolo di fuga, anche in caso di trasferimento all’estero, e definisce in modo estensivo il concetto di “delitti della stessa specie” ai fini del pericolo di reiterazione. Secondo i giudici, per valutare tale rischio, non è necessaria l’identità del bene giuridico leso, ma è sufficiente un’uguaglianza di natura tra i reati in relazione al bene tutelato e alle modalità esecutive. La cessazione di cariche sociali non è stata ritenuta sufficiente a escludere il rischio.

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Pubblicato il 4 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Pericolo di Reiterazione e Custodia Cautelare: L’Analisi della Cassazione

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 8932 del 2024, offre un’importante analisi sui presupposti per l’applicazione della custodia cautelare in carcere, soffermandosi in particolare sulla valutazione del pericolo di reiterazione di reati della stessa specie. La decisione esamina il caso di un imputato accusato di manipolazione del mercato, il cui ricorso contro la misura detentiva è stato rigettato. Attraverso questa pronuncia, la Suprema Corte consolida un orientamento giurisprudenziale estensivo sul concetto di ‘reati della stessa specie’, fondamentale per bilanciare le esigenze di tutela della collettività con il diritto alla libertà personale.

I Fatti di Causa

La vicenda processuale ha origine da un’operazione finanziaria complessa, inquadrata come manipolazione del mercato ai sensi dell’art. 185 del D.Lgs. 58/1998. Secondo l’accusa, l’imputato, attraverso una società da lui amministrata, aveva sottoscritto due prestiti obbligazionari emessi da una società quotata e dalla sua controllante. Tale operazione sarebbe avvenuta nonostante la società sottoscrittrice non avesse la necessaria provvista finanziaria. A garanzia dei prestiti, milioni di azioni della società emittente avrebbero dovuto essere depositate su un conto specifico, ma in realtà furono collocate su un conto riconducibile all’imputato e successivamente utilizzate per aggressive negoziazioni sul mercato, per poi essere in parte restituite e in parte alienate.

A seguito di un appello del Pubblico Ministero, veniva disposta la misura della custodia in carcere, mai eseguita. L’imputato proponeva quindi ricorso in Cassazione avverso l’ordinanza del Tribunale del riesame che aveva confermato la misura.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

La difesa dell’imputato ha basato il ricorso su diversi motivi, tra cui:

1. Vizi procedurali: Si lamentava la tardiva trasmissione al Tribunale del riesame del decreto di latitanza, che sarebbe stato utilizzato per motivare il pericolo di fuga senza dare alla difesa il tempo necessario per controdedurre.
2. Insussistenza del pericolo di fuga: La difesa sosteneva che la residenza all’estero dell’imputato (prima nel Regno Unito e poi negli Emirati Arabi Uniti) non implicava una volontà di sottrarsi alla giustizia, avendo egli manifestato la disponibilità a un procedimento di estradizione.
3. Insussistenza del pericolo di reiterazione: Questo era il punto centrale del ricorso. Si contestava la valutazione del rischio che l’imputato potesse commettere altri reati ‘della stessa specie’. La difesa evidenziava elementi nuovi, come la cessazione di ogni carica sociale, l’assunzione di un lavoro dipendente all’estero e l’assoluzione in altri procedimenti penali. Inoltre, si criticava l’interpretazione estensiva del concetto di ‘stessa specie’, sostenendo una lettura più restrittiva, legata all’identità del bene giuridico protetto.

La Decisione della Corte di Cassazione e il Pericolo di Reiterazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso infondato, confermando la misura cautelare. La sentenza affronta in modo dettagliato ogni doglianza, fornendo chiarimenti cruciali sulle esigenze cautelari.

Sul Pericolo di Fuga

I giudici hanno ritenuto che il trasferimento dell’imputato dal Regno Unito agli Emirati Arabi Uniti, ‘un luogo in cui i rapporti di collaborazione con l’A.G. italiana sono notoriamente più complessi’, fosse un dato di per sé indicativo del pericolo di fuga. La Corte ha precisato che la valutazione è di merito e non manifestamente illogica, e non è scalfita dalla possibilità di avere interessi economici in vari Paesi. La disponibilità a difendersi in un procedimento estradizionale, secondo la Corte, equivale a dichiarare di non voler rientrare in Italia, confermando la ‘volontaria sottrazione’.

L’Interpretazione del Pericolo di Reiterazione

La parte più significativa della sentenza riguarda la disamina del pericolo di reiterazione. La Corte ha ribadito che, per giustificare una misura cautelare, il rischio di commissione di ‘delitti della stessa specie’ non richiede una perfetta coincidenza con il reato per cui si procede.

Le Motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano su un consolidato orientamento giurisprudenziale. Il concetto di ‘stessa specie’, previsto dall’art. 274, comma 1, lett. c), c.p.p., va interpretato in senso ampio. Non è limitato ai reati che violano la medesima norma di legge, né a quelli che ledono lo stesso bene giuridico. È sufficiente che i reati presentino una ‘uguaglianza di natura’ in relazione al bene tutelato e alle modalità esecutive.

Nel caso specifico, la Corte ha osservato che i reati di maltrattamenti e atti persecutori, pur tutelando beni giuridici diversi (assistenza familiare e libertà morale), sono considerati ‘della stessa specie’ perché le condotte sono assimilabili per modalità esecutive e tipologia lesiva. Questo approccio, esteso al caso in esame, implica che un soggetto accusato di un complesso reato finanziario può essere considerato a rischio di commettere altri illeciti che, pur non essendo formalmente identici, condividono le medesime logiche speculative e manipolatorie, sfruttando veicoli societari e competenze specifiche.

La Corte ha ritenuto irrilevanti la cessazione delle cariche sociali e l’assunzione di un lavoro dipendente, poiché la pericolosità del soggetto può manifestarsi anche al di fuori di ruoli formali, attraverso la capacità di creare e utilizzare nuove strutture societarie per fini illeciti. La motivazione del Tribunale del riesame, che aveva giudicato la pericolosità ‘generica ed indimostrata’, è stata quindi superata da questa analisi più approfondita.

Le Conclusioni

La sentenza n. 8932/2024 della Cassazione ribadisce principi fondamentali in materia di misure cautelari. In primo luogo, la valutazione del pericolo di fuga è un giudizio di fatto che tiene conto di tutte le circostanze, inclusa la scelta di risiedere in Paesi con cui la cooperazione giudiziaria è complessa. In secondo luogo, e più importante, viene consolidata un’interpretazione ampia del pericolo di reiterazione. Il concetto di ‘stessa specie’ non è un vincolo formale, ma uno strumento per una valutazione concreta della pericolosità sociale dell’imputato, basata sulla natura e sulle modalità operative dei reati. Questa pronuncia conferma che la giustizia penale, nella fase cautelare, mira a prevenire la commissione di reati che, pur diversi nella forma, sono espressione di una medesima attitudine criminale.

Come si valuta il pericolo di fuga di un imputato che si trasferisce all’estero?
La Corte valuta il trasferimento in modo non illogico come un dato di per sé significativo del pericolo di fuga, specialmente se avviene verso un Paese i cui rapporti di collaborazione giudiziaria con l’Italia sono più complessi. La dichiarata disponibilità a un procedimento di estradizione viene interpretata come una volontà di non rientrare in Italia, confermando la volontaria sottrazione alla giustizia.

Cosa significa “delitti della stessa specie” ai fini della custodia cautelare?
Significa che il pericolo di reiterazione non riguarda solo reati identici a quello contestato. Il concetto include anche fattispecie criminose che, pur non previste dalla stessa norma, presentano una “uguaglianza di natura” in relazione al bene tutelato e alle modalità esecutive. La valutazione si basa su un collegamento sostanziale e non su una mera identità formale del reato.

La cessazione delle cariche sociali è sufficiente a escludere il pericolo di reiterazione?
No. Secondo la Corte, la cessazione di cariche ufficiali non è di per sé un elemento decisivo per escludere il pericolo di recidiva. Il rischio può persistere se le condotte illecite sono state commesse anche quando l’imputato aveva già dismesso la propria carica, o se si ritiene che possa agire all’ombra di altre società o strutture, sfruttando le sue competenze per commettere illeciti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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