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Pericolo di reiterazione: il tempo non lo cancella

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un individuo accusato di essere a capo di un’associazione per il narcotraffico, che chiedeva la revoca della custodia cautelare. La difesa sosteneva che il pericolo di reiterazione fosse venuto meno a causa del tempo trascorso dai fatti (risalenti al 2019) e della disarticolazione del gruppo. La Corte ha stabilito che, per reati di tale gravità, né il tempo trascorso né la fine del sodalizio sono sufficienti a superare la presunzione di pericolosità, data la personalità dell’indagato e il suo persistente interesse per le attività criminali anche durante la detenzione.

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Pubblicato il 18 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Pericolo di Reiterazione: Perché il Tempo non Basta a Revocare la Custodia Cautelare

La recente sentenza della Corte di Cassazione affronta un tema cruciale nel diritto processuale penale: la valutazione del pericolo di reiterazione del reato ai fini del mantenimento della custodia cautelare in carcere. In particolare, la Corte si è pronunciata sul caso di un soggetto accusato di essere al vertice di un’associazione dedita al narcotraffico, chiarendo come il semplice trascorrere del tempo e la presunta disarticolazione del gruppo criminale non siano elementi sufficienti a far venir meno le esigenze cautelari.

I Fatti del Caso: Narcotraffico e Detenzione

Il ricorrente era sottoposto a custodia cautelare in carcere con l’accusa di aver promosso, organizzato e diretto un’associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti. Dopo un periodo di irreperibilità, era stato rintracciato in Spagna ed estradato in Italia. La difesa aveva richiesto la revoca o la sostituzione della misura detentiva, sostenendo che i fatti contestati risalivano al 2019 e che, pertanto, il pericolo di reiterazione non fosse più attuale. Inoltre, si affermava che il sodalizio criminale fosse ormai stato smantellato.

Il Tribunale di Roma aveva respinto l’appello, evidenziando come l’indagato, anche durante precedenti periodi di detenzione minorile e arresti domiciliari, avesse continuato a manifestare un concreto interesse per le attività di spaccio, cercando informazioni e proseguendo le attività illecite dalla propria abitazione.

La Valutazione del Pericolo di Reiterazione da parte della Cassazione

La Suprema Corte ha confermato la decisione del Tribunale, rigettando il ricorso e fornendo importanti chiarimenti sui criteri di valutazione del pericolo di reiterazione, specialmente in relazione a reati gravi come l’associazione per delinquere finalizzata al narcotraffico.

La Presunzione di Pericolosità e il ‘Tempo Silente’

Per i reati di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., come quello in esame, opera una presunzione relativa di adeguatezza della custodia in carcere. La Corte ha ribadito un principio consolidato: il cosiddetto ‘tempo silente’, ovvero il lasso temporale trascorso dalla commissione del reato, non è un fattore rilevante per la revoca di una misura cautelare già oggetto di ‘giudicato cautelare’. L’unico tempo che conta è quello trascorso dall’applicazione della misura stessa, e solo se accompagnato da nuovi elementi che dimostrino un’attenuazione delle esigenze cautelari.

La Personalità dell’Indagato e la Persistenza del Pericolo di Reiterazione

La decisione sottolinea come la prognosi sulla pericolosità non debba limitarsi a verificare l’operatività attuale del gruppo criminale. Al contrario, essa deve avere ad oggetto la possibile commissione di nuovi reati che esprimano la stessa professionalità criminale e lo stesso inserimento nei circuiti illeciti. La disarticolazione di uno specifico sodalizio non è di per sé sufficiente a escludere che l’individuo possa riorganizzarsi o commettere reati analoghi. Nel caso di specie, il ruolo di organizzatore e il comportamento tenuto dall’indagato anche in stato di restrizione sono stati considerati elementi fondanti di una prognosi negativa sulla sua capacità di autocontenimento.

Le Motivazioni della Sentenza

Le motivazioni della Corte si fondano su una valutazione complessiva che va oltre il singolo fatto storico. Il giudizio prognostico sulla pericolosità del soggetto deve tenere conto della sua personalità, del suo ruolo all’interno del sodalizio e delle modalità con cui ha agito. Il fatto che l’indagato abbia continuato a gestire attività illecite dalla propria abitazione durante gli arresti domiciliari ha dimostrato l’inadeguatezza di misure meno afflittive del carcere. Il braccialetto elettronico, utile a prevenire la fuga, è stato ritenuto inidoneo a recidere i legami con l’ambiente criminale, poiché non impedisce contatti con terzi all’interno del domicilio, che nel caso specifico era una vera e propria base logistica.

Le Conclusioni

La sentenza riafferma con forza che, in materia di reati associativi e di narcotraffico, la valutazione del pericolo di reiterazione richiede un’analisi approfondita e non formalistica. Il tempo che passa non cancella automaticamente la pericolosità sociale, soprattutto quando la personalità e la storia criminale del soggetto indicano una spiccata propensione a delinquere. La custodia cautelare in carcere si conferma come l’unica misura idonea a fronteggiare tale pericolo, quando altre misure meno gravose si rivelano inadeguate a interrompere i collegamenti con i circuiti criminali.

Il semplice trascorrere del tempo è sufficiente a far venir meno il pericolo di reiterazione?
No, la Corte di Cassazione ha specificato che il cosiddetto ‘tempo silente’ trascorso dalla commissione dei reati non è di per sé un elemento valutabile per la revoca di una misura cautelare, soprattutto in presenza di reati gravi per cui opera una presunzione di pericolosità.

La disarticolazione del gruppo criminale di appartenenza esclude la pericolosità del singolo?
No, la prognosi di pericolosità non si limita a valutare l’operatività del gruppo, ma si estende alla professionalità criminale del singolo e al suo inserimento in circuiti illeciti. Anche se il gruppo specifico è stato smantellato, il pericolo può persistere se l’individuo ha le capacità e i contatti per commettere reati analoghi.

Perché gli arresti domiciliari con braccialetto elettronico sono stati ritenuti inidonei in questo caso?
Sono stati ritenuti inidonei perché il domicilio dell’indagato era stato utilizzato come base logistica per l’associazione criminale. Il braccialetto elettronico previene il rischio di fuga ma non impedisce i contatti con terze persone all’interno dell’abitazione, risultando quindi inefficace a recidere i legami con l’ambiente criminale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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