Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 35135 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2   Num. 35135  Anno 2025
Presidente: COGNOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 10/10/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME nata a CETRARO il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza bel 08/05/2025 del TRIBUNALE RIESAME di CATANZARO
visti gli atti, letto il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; sentite le conclusioni del Sostituto P.G. NOME COGNOME, il quale ha concluso per l’inammissibilità.
uditi i difensori
Gli Avvocati COGNOME NOME e COGNOME NOME insistono per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
NOME, a mezzo dei rispettivi difensori di fiducia, ricorre per cassazione avverso l’ordinanza del Tribunale di Catanzaro dell’08/05/2025, con cui è stata rigettata la richiesta di riesame avverso l’ordinanza del Gip del Tribunale di Paola che ha applicato alla ricorrente la misura della custodia cautelare in carcere, in ordine ai delitti di usura ed estorsione aggravati.
La difesa affida il ricorso a due motivi (il secondo si sviluppa a sua volta in quattro ulteriori profili) con i  quali deduce:
2.1. Erronea applicazione dell’art. 273, comma 1, cod. proc. pen. e vizio di motivazione in ordine alla gravità indiziaria.
In particolare, si censura la motivazione dell’ordinanza impugnata laddove aveva posto sullo stesso piano la condotta della ricorrente rispetto a quella del marito (che aveva avuto inizio nel 1998), nonostante la stessa persona offesa avesse precisato che ella fosse intervenuta (ossia avrebbe svolto attività di recupero somme) allorquando quest’ultimo era ristretto in carcere nell’appena decorso 2024. Errata, dunque, era l’affermazione che attribuiva alla ricorrente “modalità del fatto spregiudicate ed allarmanti”, nonché una “proclività a delinquere”. Inoltre, tale giudizio si poneva in contrasto con gli esiti cautelari che avevano riguardato coloro che, al pari della ricorrente, erano stati indicati come “recupera somme” (NOME e NOME), neppure attinti da alcuna misura. Sebbene la difesa avesse sollevato sul punto specifica doglianza, nessuna motivazione era stata resa dal Tribunale.
Inoltre, altri profili di contraddittorietà erano ravvisabili nella parte in cui giudice della cautela, nello scrutinare le dichiarazioni della p.o., aveva allo stesso tempo ritenuto compatibile che la ricorrente da un lato fosse additata quale latore di pesanti intimidazioni di carattere larvato e dall’altro fosse invece descritta come “irremovibile”. Analogamente laddove per un verso si afferma che la ricorrente, unitamente al NOME e all’COGNOME, fossero intervenuti a riscuotere allorché il COGNOME era in carcere e, per altro verso, si ritiene credibile che costui, in costanza di detenzione domiciliare, si sia personalmente attivato al fine di pretendere il pagamento di quanto ritenuto dovuto.
Apparente era la motivazione resa nel disattendere, in punto di credibilità della persona offesa, la censura difensiva che faceva leva sulla sottoposizione della medesima “ad accertamento fiscale della G.d.F. a cui sarebbe sfuggite le movimentazioni per 1,5 milioni di euro”.
Errata era, altresì, la motivazione con cui il Tribunale del riesame, ai fini della valutazione della gravità indiziaria, aveva escluso rilievo agli esiti del procedimento n. 986/2021, conclusosi favorevolmente alla ricorrente, sostenendo che doveva
aversi riguardo soltanto alle emergenze investigative del presente procedimento.
Infine, in punto di attendibilità delle dichiarazioni della p.o., si evidenziano: la contraddizione della motivazione laddove era stata ritenuta forzatamente in stato di bisogno e, prima, imprenditore di successo che si era rivolto al credito usurario solamente poiché tardavano i pagamenti maturati dagli enti pubblici; la genericità del “resoconto” dei capitali di volta in volta chiesti in prestito al COGNOME; si trattav di indicazione generica e poco credibile se si considerava la somma iniziale pari a 10 milioni di lire “per diventare addirittura 45.000 euro per arrivare ad un valore di capitale prestato di C 100.000 che, per soli prestiti usurari raggiungerebbe 1.4 milioni di euro”;
2.2. Erronea applicazione dell’art. 274, comma 1, lett. c) cod. proc. pen. e vizio di motivazione con riferimento all’omessa valutazione delle eccezioni difensive in punto di insussistenza del pericolo di reiterazione del reato.
Si lamenta che il Tribunale abbia fatto mal governo della locuzione “delitti della stessa specie”, individuando il pericolo di reiterazione in un rischio di generica ricaduta nel reato, anziché nella concreta aggressione al patrimonio quale conseguenza delle fattispecie di usura ed estorsione contestate alla ricorrente.
Inoltre, illogico, stante l’assenza di alcun nesso, era aver fatto riferimento a motivo della maggiore spregiudicatezza che avrebbe caratterizzato la condotta dell’indagata, alla circostanza che aveva perpetrato i suoi propositi criminosi allorquando il marito si trovava sottoposto alla detenzione domiciliare.
La motivazione resa sulle esigenze cautelari era priva dell’indicazione di specifici elementi che dessero conto della concretezza ed attualità di dette esigenze, essendo ricorso il Tribunale a formule di stile o apodittiche, prive di personalizzazione, di adeguata base fattuale e financo contraddittorie, in violazione dei principi dettati in materia dalla giurisprudenza di legittimità che il ricorso si premura di indicare.
Censurabile poi era l’ordinanza impugnata con riguardo “alla personalità dell’indagata e alla inidoneità di misura gradata”. Si lamenta che il giudizio prognostico volto a verificare la sussistenza del pericolo di reiterazione sia stato condotto facendo esclusivo riferimento al parametro oggettivo (specifiche modalità e circostanze del fatto) posto dall’art. 274 lett. c) cod. proc. pen., tralasciando l’ulteriore requisito, congiunto ma di carattere autonomo, costituito dal giudizio sulla “personalità della persona sottoposta alle indagini o dell’imputato”.
Peraltro, la valutazione di pericolosità dell’indagata era del tutto generica, non risultando indicate le specifiche condotte che avrebbe posto in essere al punto da giustificare la misura di maggior rigore. Né al riguardo poteva ritenersi confacente il richiamo alle “circostanze del fatto”, ritenute gravi ed allarmanti, formula che nulla aveva a che vedere con la posizione della ricorrente. Si era invece omesso
di apprezzare gli indici positivi costituiti dall’assenza di precedenti condanne (annoverando la ricorrente un unico e risalente precedente per violazione delle norme del codice postale).
Priva di motivazione era, infine, l’ordinanza impugnata riguardo alle specifiche ragioni per cui il Tribunale aveva ritenuto inidonea la misura degli arresti domiciliari – richiesta dalla difesa – financo con le procedure di controllo di cui all’art. 275-bis, comma 1, cod. proc. pen.
CONSIDERATO IN DIRITTO
 Ritiene il Collegio che il ricorso vada rigettato.
Quanto ai motivi inerenti alla gravità indiziaria, dalla lettura dell’ordinanza impugnata risulta che l’accusa di concorso in usura aggravata ed estorsione mossa alla ricorrente si fonda sulle dichiarazioni della persona offesa la quale, nel ricostruire il rapporto usurario che da tempo la legava al marito della ricorrente (COGNOME), ha precisato come ella sia “scesa in campo” allorché il coniuge fu ristretto agli arresti domiciliari. In perfetta simmetria con la condotta anche minacciosa tenuta dal marito, si legge che la ricorrente, in quel periodo, si fa latore della prosecuzione delle richieste di adempimento del debito usurario contratto dalla p.o., rivolte anche con minaccia e prospettando l’interesse di terze persone con cui la p.o. si sarebbe trovata a fare i conti se non avesse adempiuto.
Le dichiarazioni della persona offesa risultano, poi, riscontrate dalla registrazione delle conversazioni che la p.o. ha intrattenuto sia con l’indagata che col marito, il cui contenuto, per come riportato nell’ordinanza impugnata, risulta coerente con gli esiti indiziari a cui è pervenuto il giudice del riesame, nonché dal documento riepilogativo delle cifre relative al debito usurario, scritte di pugno dal COGNOME, fotografato dalla stessa p.o. presso il salotto di casa del primo.
Il giudice di merito ha, quindi, dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagata, essendo la valutazione degli elementi indizianti stata condotta nel rispetto dei canoni della logica e dei principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie con riguardo alla fase cautelare, non essendo consentite in questa sede censure che riguardano la ricostruzione dei fatti, o che si risolvono in una diversa valutazione degli elementi esaminati dal giudice di merito (ex multis, Sez. 2, n. 31553 del 17/05/2017, Pavignani, Rv. 270628 – 01).
Né si rivelano decisive ai fini della tenuta della motivazione le censure difensive svolte con riguardo al rilievo che avrebbe dovuto assegnarsi, in punto di attendibilità della p.o., alla circostanza che l’COGNOME era stato sottoposto a un controllo fiscale della G.dRAGIONE_SOCIALE. cui sarebbero sfuggite le movimentazioni per 1,5
milioni di euro ovvero agli esiti del procedimento n. 968/21 RGNR. Quanto al primo aspetto, l’ordinanza impugnata risulta corredata di motivazione, precisandosi che la contestazione difensiva parte dall’erronea convinzione che l’importo sopra indicato (che dovrebbe corrispondere ai prelevamenti effettuati dalla p.o. per far fronte ai pagamenti del debito usurario) sarebbe stato movimentato nel periodo di imposta monitorato dalla G.d.F. (2021-2024), laddove invece si riferisce agli importi versati nel corso di tutto il rapporto usurario. Tale precisazione non risulta specificamente confutata coi motivi di ricorso. Quanto al secondo profilo, la censura è del tutto generica, in quanto nel ricorso non si precisa l’oggetto e l’esito del diverso procedimento che dovrebbe assumere rilievo in ordine al presente.
Parimenti non affatto illogico è ravvisare nella carenza di liquidità in cui la p.o. si sarebbe trovata la ragione per cui fu costretta a rivolgersi al canale del credito usurario, essendo fatto notorio che anche imprese di “successo” a fronte della reiterata mancanza di pagamento dovuti dagli enti pubblici per i lavori effettuati vengano a trovarsi in situazioni di crisi finanziaria.
Infine, nessuna contraddittorietà si ravvisa nell’avere il Tribunale, per un verso, additato la ricorrente di essere autrice di minacce larvate e, per altro, attribuitole un ruolo di fermezza. Il primo riferimento attiene, infatti, alla condotta contestata, mentre il secondo riguarda lo spazio di autonomia decisionale che alla medesima il giudice del merito attribuisce a fronte delle richieste di dilazione della p.o. Si tratta di due aspetti differenti che operano anche su piani diversi (uno oggettivo e l’altro soggettivo).
Infondati sono anche i motivi relativi alle esigenze cautelari e all’adeguatezza della misura applicata.
Anzitutto va ribadito che ai fini della configurabilità dell’esigenza cautelare del pericolo di reiterazione dei reati, prevista dall’art. 274, lett. c), cod. proc. pen., il parametro valutativo costituito dalla personalità dell’indagato va desunto da comportamenti o atti concreti ovvero, in via disgiuntiva, dai suoi precedenti penali, nel senso che gli elementi per una valutazione di pericolosità possono trarsi anche solo da comportamenti o atti concreti – non necessariamente aventi natura processuale – in difetto di precedenti penali, poiché, diversamente opinando, l’incensurato che tenesse un comportamento processuale corretto si porrebbe automaticamente al di fuori di una diagnosi di pericolosità, benché, ai fini di tale previsione, l’analisi di quel comportamento sarebbe, se non inidonea, comunque del tutto insufficiente (Sez. 5, n. 5644 del 25/09/2014, dep. 2015, Iov., Rv. 264212 – 01. Conformi, da ultimo, Sez. 6, n. 26575 dell’08/07/2025, COGNOME, non mass.; Sez. 2, n. 22559 del 24/04/2025, COGNOME, non mass.; Sez. 1, n. 38634 del 05/09/2024, COGNOME, non mass.).
Nella specie, il Tribunale ha tratto dalle specifiche modalità e circostanze del
fatto elementi dimostrativi della personalità pericolosa della ricorrente che venivano quindi ad elidere, rendendoli recessivi, quelli indicati dalla difesa. In particolare, confacenti si rivelano gli argomenti che fanno leva sul comportamento irremovibile tenuto dal l’indagata alle richieste di dilazione avanzate dalla p.o., in quanto espressivo dell’intensità del dolo che sorregge i reati contestati e del ruolo preminente che i giudici di merito le attribuiscono, emergendo nel perpetrare i propositi criminosi del marito una certa autonomia.
Quanto, poi, al giudizio relativo all’idoneità della misura di maggior rigore applicata, la circostanza, valorizzata dall’ordinanza impugnata, che l’indagata si sia prestata a commettere i reati anche quando il marito era impossibilitato poiché ristretto in detenzione domiciliare, non è ininfluente ai fini del giudizio cautelare, in quanto riverbera sia sulla valutazione negativa della personalità dell’indagata sia sull’inidoneità di misure gradate alternative al carcere. Non è affatto manifestamente illogico ritenere, sotto il profilo prognostico, che un soggetto che si è prestato a commettere un reato in vece di altro che si trova in detenzione domiciliare non avverta l’effetto deterrente che a quella misura custodiale debba riconoscersi. Allo stesso modo, da tale comportamento è ragionevole ricavare una maggiore propensione a delinquere, in quanto al disvalore insito nei reati contestati, si aggiunge anche quello di avere assicurato continuità all’azione criminosa di chi, in forza di tale restrizione, era impedito a realizzare. Il giudice del merito ha indicato, con motivazione congrua e scevra da vizi logici, una pluralità di elementi dai quali emerge un alto pericolo di recidiva che rendono corretto il giudizio di inadeguatezza di una misura gradata, il cui rispetto sarebbe rimesso alla volontà della ricorrente, nei confronti della quale, proprio in considerazione dei comportamenti da costui tenuti, è ragionevole ritenere che non si atterrà alle prescrizioni imposte. In tema di misure cautelari personali, l’inadeguatezza degli arresti domiciliari in relazione alle esigenze di prevenzione di cui all’art. 274, lett. c) cod. proc. pen., può essere ritenuta quando, alla stregua di un giudizio prognostico fondato su elementi specifici inerenti al fatto, alle motivazioni di esso ed alla personalità dell’indagato, sia possibile prevedere che lo stesso si sottrarrà all’osservanza dell’obbligo di non allontanarsi dal domicilio (Sez. 6, n. 53026 del 6/11/2017, Rv. 271686; Sez. 1, n. 30561 del 15/07/2010, Rv. 248322). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Né tale valutazione risulta inficiata dai diversi esiti richiamati dalla difesa a proposito degli altri soggetti (NOME e NOME) che sarebbero intervenuti, al pari della ricorrente, ad esigere quanto dovuto al COGNOME nel corso della sua restrizione. In tema di esigenze cautelari va, infatti, ribadito il principio secondo cui la posizione processuale di ciascun coindagato o coimputato è autonoma, in quanto la valutazione da esprimere ex art. 274 cod. proc. pen., con particolare
riguardo al pericolo di recidivanza, si fonda, oltre che sulla diversa entità del contributo materiale e/o morale assicurato da ognuno dei concorrenti alla realizzazione dell’illecito, anche su profili strettamente attinenti alla personalità del singolo, sicché può risultare giustificata l’adozione di regimi difformi, pur a fronte della contestazione di un medesimo fatto di reato (ex multis, Sez. 4, n. 13404 del 14/02/2024, Nisi, Rv. 286363 – 01).
Da quanto osservato discende il rigetto del ricorso. Consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Non conseguendo dall’adozione del presente provvedimento la rimessione in libertà dell’indagata, deve provvedersi ai sensi dell’art. 94, comma 1 ter, disp. att. cod. proc. pen.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1 -ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso, li 10 ottobre 2025.