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Pericolo di recidivanza: quando il tempo lo annulla

La Corte di Cassazione ha annullato un’ordinanza di custodia cautelare per un ex sindaco accusato di scambio elettorale politico-mafioso. La Corte ha stabilito che i giudici di merito non hanno adeguatamente motivato la persistenza del pericolo di recidivanza, considerando il notevole tempo trascorso dai reati (commessi nel 2015 e 2020) e le dimissioni dalla carica pubblica, elementi che possono indebolire la presunzione di pericolosità.

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Pubblicato il 24 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Pericolo di recidivanza: il tempo e le dimissioni possono annullare la custodia cautelare

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 38141/2024, ha offerto un’importante lezione sull’applicazione delle misure cautelari, sottolineando che il pericolo di recidivanza deve essere sempre concreto e attuale. Anche di fronte a reati gravi come lo scambio elettorale politico-mafioso, la presunzione di pericolosità non è assoluta e può essere vinta da elementi specifici, come il notevole lasso di tempo trascorso dai fatti e le mutate condizioni di vita dell’indagato.

I Fatti del Caso

Il caso riguarda un ex sindaco sottoposto a custodia cautelare in carcere per gravi reati, tra cui scambio elettorale politico-mafioso, corruzione e istigazione alla corruzione. I fatti principali risalivano al 2015, con episodi successivi nel 2020. Il Tribunale del riesame aveva confermato la misura, ritenendo persistenti le esigenze cautelari sulla base della presunzione legale prevista dall’art. 275, comma 3, del codice di procedura penale.
La difesa dell’indagato aveva presentato ricorso in Cassazione, sollevando due questioni cruciali:
1. Il notevole tempo trascorso dalla consumazione dei reati.
2. Le dimissioni dalla carica di sindaco, avvenute dopo l’applicazione della misura.
Secondo i difensori, queste circostanze erano idonee a dimostrare il venir meno di un attuale e concreto pericolo di reiterazione dei reati, superando così la presunzione di legge.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha accolto il ricorso, annullando l’ordinanza del Tribunale del riesame con rinvio per un nuovo giudizio. Il punto centrale della decisione è il vizio di motivazione del provvedimento impugnato. I giudici di legittimità hanno ritenuto che il Tribunale avesse fornito una motivazione solo “apparente”, senza confrontarsi in modo effettivo con gli argomenti difensivi.

Le motivazioni e l’analisi del pericolo di recidivanza

La Corte ha ribadito un principio fondamentale: la valutazione del pericolo di recidivanza deve basarsi su un’analisi accurata e approfondita della fattispecie concreta. Questo significa considerare la personalità del soggetto, le modalità della condotta e il contesto socio-ambientale. Tale analisi deve essere tanto più rigorosa quanto maggiore è la distanza temporale dai fatti contestati.
Nel caso specifico, il reato più grave (scambio elettorale) era stato commesso nel 2015, quasi un decennio prima. Anche gli altri reati di corruzione risalivano a quattro anni prima dell’applicazione della misura. Di fronte a un arco temporale così significativo, il giudice non può limitarsi a riaffermare la presunzione di pericolosità. Ha invece l’onere di spiegare, con elementi concreti, perché tale pericolo sia ancora attuale, nonostante il tempo trascorso.

L’impatto delle dimissioni sul pericolo di recidivanza

Allo stesso modo, la Cassazione ha criticato la svalutazione delle dimissioni dell’indagato dalla carica di sindaco. Il Tribunale del riesame le aveva considerate irrilevanti perché successive all’arresto e non indicative di un reale ‘ravvedimento’.
La Suprema Corte ha corretto questa impostazione, affermando che le dimissioni non possono essere liquidate con una motivazione così astratta. La cessazione dalla carica che ha consentito la commissione dei reati è un fatto oggettivo che modifica il contesto in cui l’indagato opera. Il giudice deve quindi valutare l’incidenza concreta di questo cambiamento sulla possibilità effettiva di reiterare condotte criminali analoghe. Ignorare questo elemento, o ritenerlo irrilevante a priori, costituisce un difetto di motivazione.

Le Conclusioni

La sentenza rappresenta un importante monito per i giudici della cautela. Le presunzioni legali, anche quelle previste per i reati più gravi, non esimono il giudice da un rigoroso onere di motivazione. Il tempo che passa e i mutamenti nelle condizioni di vita dell’indagato sono elementi fattuali che devono essere attentamente ponderati. Una motivazione che si limiti a eludere questi aspetti, riproponendo in modo apodittico la pericolosità presunta dalla legge, è solo apparente e, come tale, illegittima. La libertà personale, anche in fase cautelare, richiede una valutazione individualizzata, concreta e sempre ancorata all’attualità del pericolo che si intende prevenire.

Il tempo trascorso dalla commissione di un reato può far venir meno la necessità di una misura cautelare?
Sì. La Corte di Cassazione ha stabilito che un notevole arco temporale trascorso dai fatti contestati è un elemento rilevante che il giudice deve considerare. Una maggiore distanza temporale impone al giudice un onere di motivazione più stringente per dimostrare che il pericolo di recidivanza è ancora concreto e attuale, non potendo basarsi solo sulla presunzione di legge.

Le dimissioni da una carica pubblica sono rilevanti per valutare il pericolo di recidivanza?
Sì, sono molto rilevanti. Secondo la Corte, le dimissioni da una carica (come quella di sindaco) rappresentano un mutamento oggettivo del contesto in cui operava l’indagato. Il giudice non può considerarle irrilevanti solo perché successive all’arresto, ma deve valutare specificamente se questa circostanza riduca o elimini l’effettiva possibilità che l’indagato commetta nuovi reati dello stesso tipo.

Cosa si intende per ‘motivazione apparente’ in un’ordinanza cautelare?
Si ha una ‘motivazione apparente’ quando il giudice non si confronta in modo specifico con gli argomenti concreti presentati dalla difesa (come il tempo trascorso o le dimissioni), ma si limita a riaffermare la presunzione di pericolosità prevista dalla legge o utilizza formule generiche e astratte. Tale motivazione non soddisfa l’obbligo di spiegare le ragioni concrete della decisione e rende il provvedimento illegittimo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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