Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 38141 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 38141 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 08/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a CATANIA il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 06/05/2024 del TRIB. LIBERTA di CATANIA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
uditi per l’imputato l’AVV_NOTAIO e l’AVV_NOTAIO, che hanno concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
Corte di Cassazione – copia non ufficiale
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza impugnata il Tribunale di Catania, in funzione di giudice del riesame, ha confermato il provvedimento con il quale il G.i.p. del Tribunale di Catania ha applicato a COGNOME la custodia cautelare in carcere per i reati di scambio elettorale politico-mafioso, corruzione propria ed impropria ed istigazione alla corruzione, commessi dall’indagato nella sua qualità di sindaco del Comune di Tremestieri Etneo fino al 2020; con lo stesso provvedimento il Tribunale ha invece annullato l’ordinanza genetica con riguardo ad un episodio di istigazione alla corruzione per il quale pure era stata applicata la misura cautelare.
Avverso l’ordinanza ricorre l’indagato deducendo vizi di motivazione in merito alla configurabilità delle esigenze cautelari ritenute dai giudici del riesame sulla base della presunzione di cui all’art. 275 comma 3 c.p.p., nonché alla sussistenza ed all’attualità del pericolo di recidivanza. In tal senso il ricorrente rileva come, al fine di vincere suddetta presunzione operante esclusivamente in riferimento al reato di cui all’art. 416-ter c.p., la difesa avesse in sede di riesame prospettato il rilevante tempo trascorso dalla sua consumazione nel 2015 e la sussistenza in atti di evidenze idonee a dimostrare che i sodalizi mafiosi non avessero appoggiato l’indagato in occasione della sua rielezione a sindaco nel 2021, nonché il fatto che il COGNOME, dopo l’esecuzione della misura cautelare, si fosse comunque dimesso dalla carica. Circostanze queste in grado di evidenziare il venir meno di ogni esigenza cautelare e comunque di superare la citata presunzione in merito all’adeguatezza esclusiva della misura inframuraria applicata. In maniera manifestamente illogica il Tribunale, senza confutare specificamente gli elementi addotti dalla difesa, avrebbe invece aggirato i rilievi sollevati, fondando la valutazione relativa alla persistente pericolosità del COGNOME sull’accorpamento del reato commesso al 2015 agli episodi di corruzione del 2020. Secondo il ricorrente sarebbe questa una evidente forzatura, atteso che la presunzione dell’art. 275 c.p.p. riguarda esclusivamente il reato di scambio elettorale politicomafioso ed era dunque dovere del giudice del riesame motivare sulla ritenuta incapacità delle deduzioni difensive a dimostrare l’insussistenza dell’esigenza cautelare. Ulteriore profilo di illogicità del provvedimento impugnato viene ravvisato nel fatto che il Tribunale ha escluso la rilevanza delle intervenute dimissioni dell’indagato in quanto sopravvenute al suo arresto e dunque non indicative della sua resipiscenza, mentre nell’ordinanza genetica proprio l’attualità della carica era stata ritenuta elemento sintomatico della concretezza ed attualità del pericolo di recidivanza. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Il difensore dell’indagato ha depositato motivi nuovi con i quali ha argomentato ulteriormente le doglianze articolate con il ricorso principale. Con il primo ribadisce l’illogica svalutazione del tempo trascorso dalla consumazione del reato di cui all’art. 416-ter c.p., evidenziando come alcun rilievo assuma in relazione allo specifico pericolo di recidivanza del medesimo l’eventuale accertamento della consumazione da parte dell’indagato di reati contro la pubblica amministrazione, ‘peraltro in ogni caso risalenti a quattro anni prima dell’applicazione della misura. Con il secondo lamenta invece la sostanziale inversione dell’onere probatorio effettuato dal Tribunale nel ritenere non provato che dopo l’esaurimento delle indagini a carico del NOME nel 2021 questi si sia astenuto dal delinquere ulteriormente. Infine il ricorrente ribadisce l’illogicità della motivazione con la quale il giudice del riesame ha ritenuto irrilevanti dimissioni dalla carica di sindaco presentate dall’indagato, omettendo dunque di valutare il concreto contesto alla luce del quale deve essere valutata l’effettiva persistenza delle esigenze cautelari.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato.
Va anzitutto ribadito come, dopo alcune incertezze iniziali successivamente alle modifiche apportate dalla I. n. 47/2015, l’orientamento oramai consolidatosi nella giurisprudenza di legittimità – ed al quale il Collegio intende aderisce – è nel senso per cui il requisito dell’attualità del pericolo previsto dall’art. 274, comma 1, lett. c) c. non è equiparabile all’imminenza di specifiche opportunità di ricaduta nel delitto e richiede, invece, da parte del giudice della cautela, una valutazione prognostica sulla possibilità di condotte reiterative, alla stregua di un’analisi accurata della fattispeci concreta, che tenga conto delle modalità realizzative della condotta, della personalità del soggetto e del contesto socio-ambientale, la quale deve essere tanto più approfondita quanto maggiore sia la distanza temporale dai fatti, ma non anche la previsione di specifiche occasioni di recidivanza, che esula dalle facoltà del giudice (ex multis tra le più recenti Sez. 5, n. 11250 del 19/11/2018, dep. 2019, Avolio, Rv. 277242; Sez. 1, n. 14840 del 22/01/2020, COGNOME, Rv. 279122; Sez. 5, n. 1154 del 11/11/2021, dep. 2022, COGNOME, Rv. 282769; Sez. 3, n. 9041 del 15/02/2022, COGNOME, Rv. 282891; Sez. 5, n. 12869 del 20/01/2022, COGNOME, Rv. 282991). In altri termini, il requisito dell’attualità del pericolo di reiterazione del reato non equiparato all’imminenza del pericolo di commissione di un ulteriore reato, ma indica, invece, la continuità del periculum libertatis nella sua dimensione temporale, che va apprezzata sulla base della vicinanza ai fatti in cui si è manifestata la potenzialità
criminale dell’indagato, ovvero della presenza di elementi indicativi recenti, idonei a dar conto della effettività del pericolo di concretizzazione dei rischi che la misura cautelare è chiamata a realizzare (Sez. 2, Sentenza n. 5054 del 24/11/2020, dep. 2021, Barletta, Rv. 280566).
In tal senso risultano infondate, dunque, le critiche avanzate dal ricorrente all’ordinanza impugnata nella parte in cui ha condotto la valutazione del pericolo di recidivanza del reato di scambio elettorale politico-mafioso anche in riferimento ai reati contro la pubblica amministrazione contestati all’indagato, peraltro consumati proprio strumentalizzando la carica che il suddetto scambio gli ha consentito di conseguire. Infatti anche l’analisi della condotta successiva – tanto più se estrinsecatasi nella commissione di illeciti penali non eccentrici alla commissione del primo reato – può essere legittimamente considerata dal giudice della cautela al fine di delineare la personalità del prevenuto al fine di valutare la sussistenza e l’attualità del suddetto pericolo. E ciò a tacere del fatto che la misura è stata applicata al COGNOME anche in riferimento ai reati diversi ed ulteriori rispetto a quello previsto dall’art. 4 ter c.p., con conseguente possibilità di mantenerla anche in relazione soltanto a questi ultimi, laddove dagli stessi e, per l’appunto, dalla complessiva personalità dell’indagato siano ritraibili elementi in grado di evidenziare il concreto ed attuale pericolo di una loro reiterazione.
Sgombrato pertanto il campo dalla prima censura proposta dal ricorrente, devono invece ritenersi fondate le altre doglianze articolate con il ricorso principale e con motivi nuovi.
3.1 Non è dubbio che in relazione al reato di scambio elettorale politico-mafioso opera la doppia presunzione, configurata nella seconda parte dell’art. 275 comma 3 c.p.p., di sussistenza delle esigenze cautelari e di adeguatezza della misura custodiale. Ma, come ricordato dal ricorrente, è altrettanto indubbio che entrambe le presunzioni menzionate assumono carattere relativo, imponendo al giudicante di valutare gli eventuali elementi – emergenti dagli atti originariamente acquisiti ovvero allegati dalla difesa – che possono escludere la sussistenza delle suddette esigenze ovvero consentono di fronteggiarle attraverso l’applicazione di misure meno afflittive.
3.2 Fermo restando il principio AVV_NOTAIO per cui il riferimento in ordine al “tempo trascorso dalla commissione del reato” di cui all’art. 292, comma secondo, lett. c) c.p.p., impone al giudice di motivare sotto il profilo della valutazione della pericolosit del soggetto in proporzione diretta al tempo intercorrente tra tale momento e la decisione sulla misura cautelare, giacché ad una maggiore distanza temporale dai fatti corrisponde un affievolimento delle esigenze cautelari (Sez. U, n. 40538 del
24/09/2009, Lattanzi, Rv. 244377), il Collegio condivide l’orientamento – certamente non incontrastato nella giurisprudenza di legittimità – secondo cui anche per i reati di cui all’art. 275, comma 3, c.p.p., pur operando, come ricordato, una presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari, il tempo trascorso dai fatti contestati, alla luce della riforma di cui alla legge 16 aprile 2015, n. 47 e di una esegesi costituzionalmente orientata della stessa presunzione, deve essere espressamente considerato dal giudice, ove si tratti di un rilevante arco temporale privo di ulterior condotte dell’indagato sintomatiche di perdurante pericolosità, che può rientrare tra gli “elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari”, cui si riferisce l stesso art. 275, comma 3, cit. (ex multis Sez. 1, n. 13044 del 16/12/2020, dep. 2021, Siani, Rv. 280983; Sez. 6, n. 11735 del 25/01/2024, Tavella, Rv. 286202).
3.3 Nel caso di specie il reato qualificante cui è ancorata la doppia presunzione evocata dai giudici del riesame è stato commesso nel 2015 e dunque risulta assai risalente rispetto al momento dell’intervento cautelare. Come detto, il Tribunale non illegittimamente ha evocato a sostegno della ritenuta irrilevanza del tempo trascorso il fatto che nel corso del suo mandato il COGNOME ha commesso una serie di reati contro la pubblica amministrazione, ma non ha considerato come anche questi ultimi risalgano, a tutto concedere, a ben quattro anni prima dell’applicazione della misura cautelare, ritenendo implicitamente ed apoditticamente ininfluente tale discrasia temporale e finendo dunque per motivare in maniera solo apparente sulla sua irrilevanza, senza individuare elementi idonei a comprovarla. Né in tal senso vale l’osservazione del Tribunale per cui non sono state accertati fatti ulteriori successivi in quanto l’informativa posta a fondamento dell’accusa risalirebbe al 2021. È infatti ovvio che l’argomento nasconde l’altrettanto implicita ed apodittica convinzione dei giudici del riesame che l’indagato abbia continuato a delinquere, senza evidenziare gli elementi idonei a suffragarla. In altri termini, se il tempo trascorso dalla consumazione dei reati per cui si procede risulta astrattamente idoneo a vincere entrambe le presunzioni poste dall’art. 275 comma 3 c.p.p., il giudice della cautela non può contrastare il dato riproponendo di fatto le medesime presunzioni, ma deve evidenziare le concrete ragioni della sua irrilevanza. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Fondate sono anche le critiche mosse dal ricorrente alla svalutazione dell’altro elemento allegato dalla difesa per vincere le presunzioni di sussistenza ed attualità del pericolo di recidivanza e dell’esclusiva adeguatezza della misura custodiale applicata all’indagato, ossia il fatto che il COGNOME abbia rassegnato le proprie dimissioni da sindaco del Comune di Tremestieri Etneo.
4.1 II pericolo di recidivanza non può essere escluso in assoluto per il solo fatto dell’avvenuta disnnissione della carica ricoperta al momento della consumazione dei reati per cui si procede, a prescindere cioè dalla sintomaticità degli elementi ritraibil dalla personalità evidenziata dall’indagato e dalle concrete circostanze che caratterizzano dei fatti addebitatigli, che possono di per sé risultare espressive della sua pericolosità. E ciò in quanto il testo dell’art. 274, comma 1, lett. c) c.p.p., se n consente di desumere il pericolo di recidiva esclusivamente dalla gravità del titolo di reato per il quale si procede, non osta alla considerazione, ai fini cautelari, dell concreta condotta perpetrata e delle circostanze che la connotano, in quanto la modalità della condotta e le circostanze di fatto in presenza delle quali essa si è svolta restano concreti elementi di valutazione imprescindibili per effettuare una prognosi di probabile ricaduta del soggetto nella commissione di ulteriori reati (ex multis Sez. 5, n. 49038 del 14/06/2017, Silvestrin, Rv. 271522).
Infatti eventuali mutamenti del contesto o delle condizioni in cui l’indagato ha operato al momento della consumazione del reato (a maggior ragione se tale contesto e tali condizioni caratterizzano fortemente quest’ultimo, come nel caso di specie) se, come detto, non sono necessariamente espressivi della inattualità del pericolo desunto dagli indici evocati in precedenza, devono però essere valutati dal giudice al fine di verificare la loro eventuale concreta incidenza sulla permanenza del suddetto pericolo, mentre la loro ritenuta irrilevanza deve costituire oggetto di specifica motivazione.
In tal senso, con specifico riguardo ai reati contro la pubblica amministrazione, si è quindi precisato che l’attualità del pericolo di reiterazione di reati della stessa speci può ritenersi sussistente anche nel caso in cui il pubblico agente risulti sospeso o dimesso dal servizio, purché il giudice fornisca adeguata e logica motivazione in merito alla mancata rilevanza della sopravvenuta sospensione o cessazione del rapporto, con riferimento alle circostanze di fatto che concorrono a evidenziare la probabile rinnovazione di analoghe condotte criminose da parte dell’imputato nella mutata veste di soggetto estraneo all’amministrazione (Sez. 6, n. 55113 del 08/11/2018, Lupelli, Rv. 274648).
4.2 In tal senso la motivazione articolata dal giudice del riesame per svalutare le dimissioni dell’indagato risulta di nuovo meramente apparente. L’eventualità che queste siano state rassegnate all’indomani dell’applicazione della misura è infatti circostanza priva di rilevanza dirimente, dovendosi valutare, nell’ottica della persistenza delle esigenze cautelari, al fatto oggettivo che l’indagato ha dismesso la carica per il cui conseguimento è stato commesso il primo reato e alla quale sono connessi quelli consumati successivamente e, dunque, all’effettiva possibilità che, una volta estraniatosi dal contesto amministrativo di riferimento, egli possa ancora
delinquere nei termini contestatigli. In altri termini ciò che deve valutarsi è se il fa nella sua oggettività abbia o meno fatto venire meno il pericolo di recidivanza o consenta di ritenerlo affievolito al punto tale da permettere di sostituire la misura applicata con altra meno afflittiva. Valutazione che deve essere condotta, come detto, sulla base degli elementi di valutazione disponibili, delle circostanze che caratterizzano l’attività illecita contestata e la personalità del prevenuto. In definitiva, nel conte dato, le dimissioni non costituiscono una circostanza dirimente per escludere l’operatività della presunzione di cui all’art. 275 comma 3 c.p.p., ma nemmeno poteva essere giudicata sostanzialmente irrilevante solo perché non ritenuta sintomo di una formale e astratta resipiscienza dell’indagato.
Alla luce dei vizi motivazionali riscontrati l’ordinanza impugnata deve pertanto essere annullata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Catania.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale del riesame di Catania.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 8/10/2024