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Pericolo di recidiva: quando il tempo non basta

Un soggetto ricorre in Cassazione contro l’ordinanza di custodia cautelare per finanziamento al narcotraffico, sostenendo la mancanza del pericolo di recidiva a causa del tempo trascorso dai fatti. La Corte Suprema ha rigettato il ricorso, affermando che la gravità dei reati, lo spessore criminale dell’indagato e la persistenza dei legami con un’organizzazione criminale, dimostrata da contatti successivi ai fatti, rendono il pericolo di reiterazione ancora attuale e concreto, giustificando la detenzione in carcere.

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Pubblicato il 12 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Pericolo di Recidiva: Quando il Tempo Passato Non Cancella il Rischio

L’applicazione di una misura cautelare, specialmente la custodia in carcere, si fonda su esigenze precise, tra cui il pericolo di recidiva, ovvero il rischio concreto e attuale che l’indagato torni a delinquere. Ma cosa succede quando tra il momento del reato e l’applicazione della misura trascorrono diversi anni? Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha offerto chiarimenti cruciali, stabilendo che il decorso del tempo non è un fattore che, da solo, può neutralizzare tale pericolo, soprattutto in contesti di criminalità organizzata.

I Fatti del Caso: Finanziamento al Narcotraffico

Il caso esaminato riguarda un soggetto accusato di aver concorso in detenzione di sostanze stupefacenti a fini di spaccio. In particolare, gli veniva contestato di aver finanziato, nel corso del 2020, due imponenti operazioni di narcotraffico gestite da un noto gruppo criminale. La prima operazione riguardava l’acquisto di trenta chili di cocaina dalla Colombia, mentre la seconda concerneva centinaia di chili di hashish dalla Spagna. Per ciascuna operazione, l’indagato avrebbe fornito la somma di 200.000 euro.

Nonostante i fatti risalissero al 2020, la misura della custodia cautelare in carcere veniva applicata solo nel 2024. L’indagato, quindi, impugnava l’ordinanza, prima davanti al Tribunale del Riesame e poi in Cassazione.

Il Ricorso in Cassazione e il Pericolo di Recidiva

La difesa del ricorrente si basava principalmente su due argomenti:
1. Mancanza di attualità del pericolo di recidiva: Secondo il ricorrente, i quattro anni trascorsi dai fatti contestati, uniti all’assenza di ulteriori condotte criminose nel frattempo, avrebbero dovuto far ritenere il rischio di reiterazione del reato ormai superato.
2. Inadeguatezza della misura: In subordine, si sosteneva che, anche qualora un’esigenza cautelare fosse stata ritenuta esistente, gli arresti domiciliari sarebbero stati una misura sufficiente a contenerla.

Il ricorrente evidenziava come le sue precedenti condanne fossero datate e non specifiche, e che il suo presunto inserimento in un contesto criminale fosse stato affermato in modo assertivo e smentito da alcune dichiarazioni agli atti.

Le Motivazioni della Cassazione

La Corte di Cassazione ha respinto integralmente il ricorso, ritenendo la decisione del Tribunale del Riesame immune da vizi logici o giuridici. I giudici hanno sottolineato come la valutazione sul pericolo di recidiva non possa basarsi sul solo dato cronologico.

Per la Corte, la pericolosità sociale dell’indagato era ancora attuale e concreta per diverse ragioni:
* Gravità dei fatti: L’entità del finanziamento (400.000 euro) e la natura delle operazioni (narcotraffico internazionale) denotavano uno spessore criminale di non poco momento.
* Profilo criminale: L’indagato non era incensurato, ma aveva precedenti per reati gravi come associazione per delinquere, truffa, falso e riciclaggio, indicativi di una persistente propensione al crimine.
* Rapporti con il gruppo criminale: L’indagato aveva rapporti diretti con il capo e altri membri di un pericoloso sodalizio, dai quali era considerato una figura di riferimento (“quello che conta”).

L’elemento decisivo, tuttavia, è stato il comportamento tenuto dall’indagato dopo i fatti del 2020. Dagli atti emergeva che, nel corso del 2021, egli aveva continuato a rapportarsi con il gruppo criminale nel tentativo di recuperare il proprio investimento. Questo dimostrava, secondo la Corte, che i legami criminali non si erano affatto interrotti con il passare del tempo, ma erano rimasti pienamente operativi. Di conseguenza, il pericolo che potesse commettere altri reati era ancora concreto.

Infine, la Corte ha confermato la correttezza della custodia in carcere, spiegando che gli arresti domiciliari non sarebbero stati sufficienti a neutralizzare il rischio, poiché l’attività di finanziatore poteva essere agevolmente gestita anche da casa, mantenendo i contatti con l’esterno.

Conclusioni

La sentenza ribadisce un principio fondamentale in materia di misure cautelari: la valutazione sull’attualità del pericolo di recidiva deve essere condotta caso per caso, attraverso un’analisi approfondita e complessiva. Il semplice decorso del tempo non è una garanzia di affievolimento della pericolosità sociale, specialmente quando la gravità dei fatti, il profilo dell’indagato e la persistenza documentata dei legami con ambienti criminali dimostrano il contrario. La decisione conferma che, per interrompere operatività e connessioni radicate, la misura più afflittiva può essere considerata l’unica realmente efficace.

Il semplice passare del tempo tra il reato e la misura cautelare esclude automaticamente il pericolo di recidiva?
No, la Corte ha chiarito che il decorso del tempo non ha un effetto “neutralizzante” automatico. La valutazione deve essere complessiva e considerare la gravità dei fatti, la personalità dell’indagato e la persistenza dei legami criminali.

Quali elementi ha considerato la Corte per ritenere ancora attuale il pericolo di reato?
La Corte ha valorizzato la gravità dei fatti (finanziamento di un imponente traffico di droga), lo spessore criminale dell’indagato (precedenti per associazione a delinquere), e soprattutto i contatti mantenuti con il gruppo criminale anche dopo i fatti del 2020, nel tentativo di recuperare l’investimento, dimostrando la persistenza del legame.

Perché gli arresti domiciliari non sono stati ritenuti una misura adeguata in questo caso?
Perché l’attività contestata (finanziatore) poteva essere svolta agevolmente anche dal proprio domicilio, senza necessità di spostamenti fisici. Pertanto, solo la custodia in carcere è stata considerata idonea a interrompere i rapporti con l’ambiente criminale e prevenire la reiterazione del reato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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