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Pericolo di recidiva: no a misure alternative

La Corte di Cassazione ha confermato la decisione del Tribunale di Sorveglianza di negare le misure alternative (detenzione domiciliare e affidamento in prova) a un condannato per truffa. La decisione si fonda sull’elevato pericolo di recidiva, desunto non solo dai precedenti penali, ma soprattutto dalle numerose segnalazioni per reati analoghi commessi telematicamente anche dopo i fatti per cui era stato condannato. Secondo la Corte, il comportamento successivo al reato è un elemento cruciale per valutare la possibilità di reinserimento sociale del condannato.

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Pubblicato il 15 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Pericolo di Recidiva: Quando il Comportamento Post-Reato Nega le Misure Alternative

La concessione di misure alternative alla detenzione, come l’affidamento in prova o la detenzione domiciliare, non è un automatismo. Una recente sentenza della Corte di Cassazione chiarisce come la valutazione del pericolo di recidiva sia centrale e come il comportamento tenuto dal condannato dopo la commissione del reato possa essere decisivo per negare tali benefici. Il caso analizzato riguarda un soggetto condannato per truffa, la cui persistente inclinazione a delinquere ha precluso ogni percorso esterno al carcere.

I fatti del caso: una serie ininterrotta di illeciti

Un uomo, condannato per reati di truffa commessi tra il 2017 e il 2018, presentava istanza al Tribunale di Sorveglianza per ottenere una misura alternativa alla detenzione. A suo sfavore, però, non pesavano solo i precedenti specifici per truffa e falsità, ma soprattutto una lunga serie di segnalazioni per condotte analoghe, perpetrate tra il 2018 e il 2023. Si trattava di circa venti episodi di truffa e sostituzione di persona, realizzati prevalentemente con strumenti telematici.

Nonostante il condannato avesse intrapreso azioni riparatorie risarcendo alcune delle vittime e avesse documentato di avere una possibilità lavorativa presso un call center, il Tribunale ha respinto la sua richiesta. La ragione? Un elevato e specifico pericolo di recidiva.

La valutazione del pericolo di recidiva e la sua concretezza

Il Tribunale di Sorveglianza ha basato la sua decisione su un’analisi concreta della personalità del soggetto. Ha ritenuto che le modalità telematiche con cui i reati venivano commessi fossero facilmente replicabili anche in regime di detenzione domiciliare o durante un’attività lavorativa in un call center. Anzi, tali contesti avrebbero potuto offrire nuove occasioni per delinquere.

Le condotte riparatorie e le condizioni di salute del condannato e di un suo familiare, pur considerate, non sono state giudicate sufficienti a controbilanciare il rischio di reiterazione dei reati. Il Tribunale ha sottolineato che la serialità e la costanza delle condotte illecite successive alla condanna dimostravano una personalità non orientata al rispetto della legge.

Il comportamento successivo al reato come termometro della pericolosità

Il difensore del condannato ha presentato ricorso in Cassazione, lamentando una valutazione errata della pericolosità e una svalutazione degli sforzi riparatori. Tuttavia, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso, confermando in toto l’impostazione del Tribunale di Sorveglianza.

I giudici hanno ribadito un principio fondamentale: ai fini della concessione delle misure alternative, è indispensabile valutare il comportamento del condannato successivo ai fatti per i quali è stata pronunciata la condanna. Questo serve a verificare se vi sia stata una “positiva evoluzione della sua personalità” tale da rendere possibile un percorso di reinserimento sociale. Nel caso di specie, le numerose segnalazioni recenti dimostravano esattamente il contrario.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Cassazione ha ritenuto il ragionamento del Tribunale di Sorveglianza logico, coerente e immune da vizi. Ha evidenziato che non basta l’assenza di indicatori negativi, ma occorrono elementi positivi concreti che supportino un giudizio prognostico favorevole. La lunga scia di illeciti commessi dopo la condanna ha rappresentato un ostacolo insormontabile. La Corte ha inoltre specificato che le contestazioni del ricorrente riguardo alla veridicità delle segnalazioni a suo carico erano generiche e non supportate da elementi concreti che ne dimostrassero la falsità. Infine, gli elementi nuovi portati dalla difesa (come l’aggravamento delle condizioni di salute) potranno essere oggetto di una nuova istanza, ma non invalidano la correttezza della decisione impugnata.

Le conclusioni

Questa sentenza riafferma con forza che l’accesso alle misure alternative è subordinato a una valutazione rigorosa e complessiva della personalità del condannato. Il pericolo di recidiva non è un concetto astratto, ma deve essere ancorato a fatti concreti, primo tra tutti il comportamento tenuto dopo la condanna. La persistenza in attività criminali analoghe a quelle per cui si è stati condannati chiude la porta a percorsi di recupero esterni al carcere, poiché dimostra l’inefficacia dissuasiva della sanzione e l’assenza di una reale revisione critica del proprio passato.

Il comportamento di una persona dopo aver commesso un reato è importante per ottenere misure alternative?
Sì, è fondamentale. La Corte di Cassazione ha confermato che la valutazione del comportamento del condannato successivo ai fatti per cui è stato condannato è necessaria per verificare una positiva evoluzione della sua personalità e concedere misure alternative.

Avere numerosi carichi pendenti per reati simili può impedire la concessione della detenzione domiciliare?
Sì. Nel caso specifico, le numerose e recenti segnalazioni per fatti analoghi a quelli per cui il soggetto era stato condannato (truffe telematiche) sono state considerate un indicatore di un elevato e specifico pericolo di recidiva, giustificando il diniego della misura.

Le condotte riparatorie, come il risarcimento delle vittime, garantiscono l’accesso alle misure alternative?
No, non lo garantiscono. Sebbene siano un elemento positivo, le condotte riparatorie vengono valutate nel contesto generale. In questo caso, il risarcimento a un numero limitato di vittime non è stato ritenuto sufficiente a controbilanciare l’altissimo pericolo di reiterazione dei reati.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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