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Pericolo di recidiva: la detenzione non lo esclude

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato contro l’ordinanza che confermava la sua custodia cautelare in carcere per furto aggravato. La Corte ha stabilito che il pericolo di recidiva rimane attuale e concreto anche se l’imputato è già detenuto per un’altra pena e nonostante il tempo trascorso in stato di restrizione. La decisione si fonda sulla gravità del fatto e sulla caratura criminale del soggetto, ritenuti prevalenti.

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Pubblicato il 25 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Pericolo di Recidiva: La Detenzione per Altra Causa Non Annulla le Esigenze Cautelari

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 22575 del 2024, ha affrontato una questione cruciale in materia di misure cautelari: la valutazione del pericolo di recidiva per un soggetto già detenuto. Questa pronuncia chiarisce che lo stato di detenzione per un’altra condanna non esclude automaticamente la sussistenza e l’attualità delle esigenze cautelari. Analizziamo insieme la decisione e le sue implicazioni.

I Fatti del Caso

Il caso riguarda un individuo sottoposto alla misura della custodia cautelare in carcere per un delitto di furto aggravato, per il quale era stato condannato in primo e secondo grado. La difesa aveva richiesto la revoca o la sostituzione della misura, ma sia la Corte d’Appello che, in seguito, il Tribunale del Riesame avevano rigettato l’istanza. Di conseguenza, l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, basando le sue argomentazioni su due punti principali.

I Motivi del Ricorso

Il ricorrente, tramite il suo difensore, ha contestato la decisione del Tribunale del Riesame sostenendo che:
1. Non era stata considerata la circostanza che egli fosse già detenuto in esecuzione di un’altra pena, per la quale avrebbe dovuto scontare ancora un anno e dieci mesi. Secondo la difesa, questa situazione di reclusione avrebbe dovuto neutralizzare il pericolo di reiterazione del reato.
2. Il lungo lasso di tempo trascorso in stato di custodia cautelare (circa dieci mesi) avrebbe dovuto far venire meno l’attualità del pericolo stesso.

L’analisi della Corte sul pericolo di recidiva

La Corte di Cassazione ha ritenuto entrambi i motivi manifestamente infondati, dichiarando il ricorso inammissibile. Riguardo al primo punto, i giudici hanno ribadito un principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità: lo stato di detenzione per altra causa non elimina di per sé il pericolo di recidiva. La Corte ha spiegato che l’ordinamento penitenziario vigente prevede diverse possibilità per un detenuto di riacquistare, anche solo temporaneamente, la libertà (permessi, misure alternative, ecc.). Pertanto, la carcerazione non rappresenta una barriera assoluta e invalicabile alla commissione di nuovi reati. La valutazione del pericolo deve quindi essere condotta in modo concreto, senza potersi arrestare alla semplice constatazione dello stato detentivo.

Irrilevanza del Tempo Trascorso e Attualità del Pericolo

Anche il secondo motivo è stato giudicato inammissibile. La Corte ha sottolineato che il Tribunale del Riesame aveva correttamente motivato la sua decisione, ritenendo che il tempo trascorso fosse un elemento recessivo rispetto ad altri fattori ben più significativi, quali la gravità del fatto e la “caratura criminale” dell’imputato. Questi elementi, secondo i giudici, indicavano che non vi era stata una rescissione dei legami con le dinamiche criminali. La Suprema Corte ha colto l’occasione per chiarire un concetto fondamentale: l’attualità del pericolo di recidiva non deve essere confusa con l’attualità delle condotte criminose. Il pericolo può essere legittimamente desunto anche da condotte risalenti nel tempo, quando le modalità del reato e la personalità dell’autore, valutate secondo i criteri dell’art. 133 del codice penale, indicano una persistente inclinazione a delinquere.

Le Motivazioni della Decisione

La decisione della Corte si fonda su una rigorosa interpretazione del concetto di esigenze cautelari, come delineato dall’art. 274 del codice di procedura penale. La motivazione principale risiede nella necessità di effettuare una valutazione prognostica concreta e individualizzata del pericolo di reiterazione dei reati. I giudici hanno stabilito che né lo stato di detenzione né il mero decorso del tempo possono, da soli, essere considerati elementi risolutivi. Al contrario, il giudizio deve basarsi su un’analisi complessiva della gravità dei fatti, della personalità dell’imputato e delle modalità della condotta, elementi che possono rivelare una pericolosità sociale ancora attuale e concreta. La Corte ha quindi confermato la validità del ragionamento del Tribunale del Riesame, che aveva dato prevalenza a tali aspetti rispetto alle circostanze dedotte dalla difesa.

Conclusioni

La sentenza in esame offre un importante spunto di riflessione per gli operatori del diritto. Essa ribadisce che la valutazione del pericolo di recidiva è un’operazione complessa che non può essere ancorata a schemi automatici. Essere già in carcere non costituisce una “patente di non pericolosità” ai fini dell’applicazione di un’ulteriore misura cautelare. La decisione del giudice deve sempre fondarsi su un’analisi approfondita e motivata della specifica situazione, bilanciando la tutela della collettività con i diritti di libertà dell’individuo. Di conseguenza, il semplice stato detentivo o il tempo trascorso non sono sufficienti a superare una prognosi negativa basata sulla gravità del reato e sulla personalità dell’imputato.

Essere già detenuto per un’altra condanna esclude il pericolo di commettere nuovi reati?
No, secondo la Corte di Cassazione lo stato di detenzione per altra causa non è di per sé in contrasto con la sussistenza di esigenze cautelari, poiché l’ordinamento penitenziario non esclude in modo assoluto la possibilità per il detenuto di riacquistare, anche per brevi periodi, la libertà.

Il tempo trascorso in custodia cautelare diminuisce automaticamente l’attualità del pericolo di recidiva?
No. La Corte ha stabilito che il tempo trascorso è un elemento che può essere considerato recessivo rispetto alla gravità del fatto e alla caratura criminale dell’imputato. L’attualità del pericolo non va confusa con l’attualità delle condotte criminose e può essere desunta dalle modalità del reato, anche se risalente nel tempo.

Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso in Cassazione?
La legge prevede che alla dichiarazione di inammissibilità segua la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che in questo caso specifico è stata fissata in 3.000 euro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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