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Pericolo di recidiva: la Cassazione sulla custodia

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un indagato contro la custodia in carcere per associazione a delinquere e furti. La Corte ha ritenuto concreto e attuale il pericolo di recidiva, basandosi sulla personalità dell’indagato e la prosecuzione dell’attività illecita, giustificando la misura più grave come l’unica idonea a prevenire nuovi reati.

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Pubblicato il 30 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Pericolo di Recidiva: Quando la Custodia in Carcere è Inevitabile

La valutazione del pericolo di recidiva è uno dei pilastri su cui si fonda l’applicazione delle misure cautelari nel nostro ordinamento. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 5143/2024) offre un’analisi chiara dei criteri che giustificano la scelta della misura più afflittiva, la custodia in carcere, sottolineando come la personalità dell’indagato e la sua condotta successiva all’avvio delle indagini siano elementi decisivi. Questo caso dimostra come la prosecuzione dell’attività criminale, nonostante i controlli delle forze dell’ordine, possa rendere inadeguata qualsiasi misura meno grave.

I Fatti di Causa

Il caso ha origine da un’ordinanza del Tribunale di Napoli che, in funzione di giudice del riesame, confermava la misura della custodia in carcere per un soggetto indagato per associazione a delinquere finalizzata alla commissione di una serie di furti pluriaggravati e falsi. Secondo l’accusa, l’indagato faceva parte di un gruppo organizzato che operava su tutto il territorio nazionale, utilizzando furgoni per trasportare la merce rubata, depositi per lo stoccaggio e utenze intestate a stranieri per eludere i controlli.

Il Tribunale del riesame aveva rigettato l’istanza di attenuazione della misura, evidenziando come l’indagato avesse fatto dell’attività illecita la propria stabile fonte di sostentamento. Un elemento cruciale era la circostanza che egli avesse continuato a delinquere anche dopo essere stato individuato dagli investigatori e dopo il sequestro di merce e l’arresto di alcuni complici. Per questo motivo, la custodia in carcere era stata ritenuta l’unica misura in grado di recidere i legami con il contesto criminale e di impedirne la reiterazione, data l’assenza di capacità di autocontrollo dell’indagato.

I Motivi del Ricorso e il Pericolo di Recidiva

La difesa ha presentato ricorso in Cassazione lamentando, in sintesi, tre vizi principali:

1. Mancanza di motivazione: Asserita illogicità della motivazione riguardo alle esigenze cautelari, in particolare sul pericolo di recidiva.
2. Erronea applicazione della legge: Violazione delle norme che regolano la scelta delle misure cautelari, con particolare riferimento alla presunzione di adeguatezza della custodia in carcere.
3. Contraddittorietà: La difesa ha evidenziato una presunta contraddizione nel fatto che un co-indagato, dopo l’interrogatorio, era stato scarcerato e sottoposto a una misura meno grave (obbligo di dimora), nonostante le accuse a suo carico.

L’argomento centrale del ricorso era che il Tribunale si fosse basato su elementi congetturali e non concreti per definire il pericolo di reiterazione del reato, senza una valutazione specifica e individuale della posizione del ricorrente.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, ritenendolo infondato. I giudici hanno chiarito alcuni principi fondamentali in materia di misure cautelari e pericolo di recidiva.

In primo luogo, la Corte ha ribadito che il requisito dell’attualità del pericolo non significa ‘imminenza’ di una nuova occasione di reato, ma la probabilità di condotte future basata su elementi concreti: le modalità del fatto, la personalità dell’agente e il contesto socio-ambientale. Il Tribunale del riesame, secondo la Cassazione, ha correttamente desunto il concreto e attuale rischio di recidiva da elementi specifici: le capacità organizzative del gruppo, la spregiudicatezza dell’indagato, la sua totale assenza di resipiscenza e, soprattutto, la prosecuzione delle attività criminali anche dopo l’intervento degli investigatori. Questo comportamento dimostra una radicata incapacità di autolimitarsi, rendendo il rischio di nuovi reati non solo ipotetico, ma altamente probabile.

In secondo luogo, la Corte ha smontato l’argomento della presunta contraddizione con la posizione del co-indagato. La valutazione delle esigenze cautelari e la scelta della misura sono strettamente individuali e devono basarsi esclusivamente sulla posizione del singolo indagato. Le doglianze basate sulla presunta ‘ingiustizia’ di un trattamento non ‘parificato’ a quello di altri sono, pertanto, manifestamente infondate.

Infine, riguardo alla scelta della custodia in carcere, la Cassazione ha ritenuto la motivazione del Tribunale del tutto coerente. Di fronte a un soggetto che, pur consapevole di essere sotto indagine, continua a delinquere, l’applicazione di misure meno afflittive come gli arresti domiciliari (anche con braccialetto elettronico) è stata logicamente ritenuta inidonea a interrompere i contatti con l’ambiente criminale e a impedire la pianificazione di nuovi reati. La totale assenza di capacità di autocontrollo ha reso la misura carceraria l’unica opzione percorribile.

Conclusioni

La sentenza in esame rafforza un principio cardine del sistema cautelare: la valutazione del pericolo di recidiva deve essere ancorata a elementi concreti e attuali, che riflettano la specifica personalità dell’indagato e la sua condotta. La Corte di Cassazione chiarisce che la persistenza nel commettere reati, anche dopo essere stati scoperti, è un indicatore potentissimo di un elevato rischio di reiterazione e di una totale inaffidabilità del soggetto. In tali circostanze, la scelta della custodia in carcere non è un automatismo, ma il risultato di una motivazione logica che esclude, con argomenti specifici, l’adeguatezza di ogni altra misura meno restrittiva.

Come valuta il giudice il pericolo di recidiva ‘concreto e attuale’?
Il giudice valuta la probabilità che l’indagato commetta nuovi reati basandosi su elementi specifici e non astratti. Questi includono le modalità concrete della condotta, la personalità dell’agente (come la spregiudicatezza e l’assenza di autocontrollo), il contesto in cui opera e, in particolare, la sua reazione alle indagini, come la prosecuzione dell’attività illecita nonostante i controlli.

La decisione sulla misura cautelare di un indagato può essere contestata confrontandola con quella di un complice?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che la valutazione delle esigenze cautelari e la scelta della misura da applicare devono essere compiute esclusivamente sulla posizione del singolo indagato. Non è possibile contestare una misura sostenendo che sia ingiusta perché un co-indagato ha ricevuto un trattamento meno severo.

In quali casi la custodia in carcere è considerata l’unica misura adeguata?
La custodia in carcere è considerata l’unica misura adeguata quando, sulla base di una valutazione concreta, tutte le altre misure meno afflittive (come gli arresti domiciliari, anche con braccialetto elettronico) risultano inidonee a prevenire il pericolo di recidiva. Nel caso specifico, la totale assenza di capacità di autocontrollo dell’indagato, dimostrata dalla sua persistenza nel delinquere, ha reso la detenzione l’unica opzione per interrompere i suoi legami con il contesto criminale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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