Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 2392 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 2392 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 03/12/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME COGNOME nato ad Acireale (Ct) il 5/11/1991
avverso l’ordinanza del 2/8/2024 del Tribunale del riesame di Catania; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; sentita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto dichiarare inammissibile il ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 2/8/2024, il Tribunale del riesame di Catania confermava l’ordinanza emessa il 19/7/2024 dal Giudice per le indagini preliminari del locale Tribunale, con la quale NOME COGNOME era stato sottoposto alla misura cautelare della custodia in carcere con riguardo al delitto di cui all’art. 73, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309.
Propone ricorso per cassazione l’indagato, deducendo i seguenti motivi: – violazione e/o erronea applicazione degli artt. 274, comma 1, 275 cod. proc. pen. Il Tribunale avrebbe tratto il pericolo di recidiva soltanto dal carattere
asseritamente professionale dell’attività delittuosa, senza alcun esame della personalità dell’indagato, soggetto incensurato e con regolare attività lavorativa;
gli stessi vizi riguarderebbero l’omessa valutazione degli arresti domiciliari quale misura idonea a soddisfare le esigenze cautelari; l’ordinanza, in particolare, non avrebbe considerato che il ricorrente avrebbe proposto un nuovo domicilio, diverso e distante da quello in cui era stato rinvenuto lo stupefacente.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso – che non coinvolge i gravi indizi di colpevolezza – risulta manifestamente infondato.
Il Tribunale ha confermato il provvedimento genetico con una motivazione del tutto adeguata, basata su oggettive e non contestate risultanze investigative e priva di illogicità manifesta; come tale, dunque, non censurabile.
4.1. In particolare, l’ordinanza ha innanzitutto valorizzato il quantitativo e la varietà di sostanza sequestrata allo Spinella, pari ad oltre 5 chili di marijuana e a circa 60 grammi di cocaina; nell’abitazione del ricorrente, poi, erano stati trovati molti materiali per la pesatura e per il confezionamento delle dosi, oltre a sostanza da taglio per la cocaina.
4.2. Muovendo da questi elementi, il Tribunale ha quindi escluso che l’attività illecita potesse esser qualificata come occasionale ed episodica, risultando, per contro, espressione di una sicura professionalità nello spaccio di sostanze, peraltro di differente natura. Ancora, e rilevato che la gran parte dello stupefacente, oltre ai prodotti per preparare le dosi, era stata rinvenuta nell’abitazione del ricorrente, l’ordinanza ha evidenziato che la misura degli arresti domiciliari non poteva ritenersi adeguata a fronteggiare il pericolo – concreto ed attuale – di reiterazione del reato, neppure se rafforzata con il presidio di controllo elettronico; ancora con affermazione priva di vizi, infatti, è stato sottolineato che il rilevante quantitativ sequestrato e la differente tipologia di droga dovevano ritenersi manifestazione di un mercato illecito piuttosto vasto, di una “fitta rete di clienti” che lo Spinell potrebbe comunque continuare a rifornire anche da un domicilio coatto, non assumendo rilievo, pertanto, una diversa ubicazione o l’eventuale distanza dalla precedente.
Ne risulta, dunque, una motivazione logica e sostenuta da un più che adeguato argomento, con la quale – contrariamente a quanto si afferma nel ricorso – anche la personalità dell’indagato è stata verificata, riscontrandovi di fatto un serio profilo di pericolosità sociale, desunto dalla non modesta posizione ricoperta nel mercato dello spaccio di stupefacenti.
6. Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso in Roma, il 3 dicembre 2024
Il Consigliere estensore
Il Presidente