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Pericolo di recidiva: la Cassazione e lo spaccio

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso contro la custodia in carcere per un indagato di spaccio. La detenzione è confermata sulla base dell’ingente quantitativo di droga, indice di un elevato pericolo di recidiva e di professionalità criminale che rende inadeguati gli arresti domiciliari.

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Pubblicato il 10 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Pericolo di recidiva: quando la quantità di droga giustifica il carcere

La valutazione del pericolo di recidiva è un elemento cruciale nel decidere se applicare o meno una misura cautelare come la custodia in carcere. Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 2392 del 2025, offre un chiaro esempio di come l’ingente quantitativo di sostanze stupefacenti e le modalità dell’attività illecita possano essere determinanti per giustificare la misura più afflittiva, anche in presenza di un soggetto incensurato. Analizziamo insieme il caso e le motivazioni della Suprema Corte.

I Fatti del Caso

Il Tribunale del riesame di Catania confermava un’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di un individuo indagato per il reato di spaccio di sostanze stupefacenti, previsto dall’art. 73 del d.P.R. 309/1990. Durante le indagini, erano state sequestrate quantità significative di droga: oltre 5 chilogrammi di marijuana e circa 60 grammi di cocaina. Inoltre, nell’abitazione dell’indagato erano stati rinvenuti materiali per la pesatura, il confezionamento delle dosi e sostanze da taglio, elementi che suggerivano un’attività ben organizzata.

I Motivi del Ricorso e la valutazione del pericolo di recidiva

La difesa dell’indagato ha presentato ricorso in Cassazione, contestando la valutazione del pericolo di recidiva. Secondo il ricorrente, i giudici non avrebbero adeguatamente considerato la sua personalità, trattandosi di un soggetto incensurato e con una regolare attività lavorativa. L’attività delittuosa, a suo dire, non poteva essere definita ‘professionale’.

Inoltre, la difesa lamentava l’omessa valutazione di una misura meno grave, come gli arresti domiciliari. A sostegno di questa tesi, era stata proposta la disponibilità di un nuovo domicilio, diverso e distante da quello in cui era stata rinvenuta la droga, che avrebbe dovuto, secondo la difesa, mitigare le esigenze cautelari.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato e, quindi, inammissibile. I giudici hanno ritenuto la motivazione del Tribunale del riesame del tutto adeguata, logica e basata su elementi oggettivi non contestati.

Il punto centrale della decisione risiede nell’interpretazione degli elementi raccolti. La Corte ha stabilito che l’enorme quantitativo e la varietà delle sostanze (marijuana e cocaina) non potevano essere considerati come un episodio occasionale. Al contrario, questi fattori, uniti al ritrovamento di materiale per il confezionamento e il taglio, erano chiara espressione di una ‘sicura professionalità nello spaccio’.

Di conseguenza, il pericolo di recidiva è stato qualificato come concreto ed attuale. La Corte ha sottolineato che una così vasta operazione illecita presuppone una ‘fitta rete di clienti’ che l’indagato avrebbe potuto continuare a rifornire anche dagli arresti domiciliari. La proposta di un nuovo domicilio è stata giudicata irrilevante, poiché non avrebbe impedito la prosecuzione dell’attività criminale.

La Corte ha specificato che, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa, la personalità dell’indagato è stata attentamente vagliata. I giudici hanno riscontrato un ‘serio profilo di pericolosità sociale’, desunto non da precedenti penali (che erano assenti), ma dalla posizione di rilievo ricoperta nel mercato dello spaccio, come dimostrato dalla scala dell’attività.

Conclusioni

Questa sentenza ribadisce un principio fondamentale: nella valutazione del pericolo di recidiva per reati di spaccio, gli elementi oggettivi come la quantità, la varietà della droga e gli strumenti utilizzati possono essere decisivi. Essere incensurati o avere un lavoro non costituisce una garanzia sufficiente a escludere la pericolosità sociale, se le modalità del fatto indicano una spiccata professionalità criminale e un profondo inserimento nel mercato illegale. La decisione sottolinea che, di fronte a un’attività di spaccio strutturata e su larga scala, la custodia in carcere può essere ritenuta l’unica misura idonea a interrompere l’attività criminale e a proteggere la collettività.

La grande quantità di droga è sufficiente a dimostrare un concreto pericolo di recidiva?
Sì, secondo la Corte, l’ingente quantitativo e la varietà delle sostanze stupefacenti, insieme ai materiali per il confezionamento, sono elementi che dimostrano una sicura professionalità nello spaccio e, di conseguenza, un pericolo di recidiva concreto e attuale.

Perché gli arresti domiciliari sono stati ritenuti una misura inadeguata in questo caso?
Gli arresti domiciliari sono stati considerati inadeguati perché, data la vasta rete di clienti che l’attività illecita presupponeva, l’indagato avrebbe potuto continuare a spacciare anche da un domicilio coatto, rendendo irrilevante persino un cambio di residenza.

Essere incensurato e avere un lavoro esclude automaticamente la necessità della custodia in carcere?
No. La sentenza chiarisce che, anche in assenza di precedenti penali, la pericolosità sociale può essere desunta dalle modalità concrete del reato. Se queste indicano un ruolo significativo nel mercato dello spaccio, la custodia in carcere può essere ritenuta necessaria per contenere il pericolo di recidiva.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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