Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 23747 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 23747 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 17/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOMECOGNOME nato a Locri il 21/06/1993, avverso l’ordinanza in data 11/02/2025 del Tribunale di Roma, Sezione per il riesame;
letti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni scritte con cui il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME ha chiesto il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza in data 11/02/2025, il Tribunale di Roma, Sezione per il riesame, in accoglimento dell’appello proposto dal pubblico ministero presso la locale Procura della Repubblica avverso l’ordinanza con cui il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma, il precedente 24/04/2024, aveva rigettato l’istanza cautelare, ha disposto, nei confronti di COGNOME NOME, la misura della custodia in carcere in relazione al delitto di illecita cessione di sostanza stupefacente di ingente quantità (indicato al capo 32), ritenendo sussistenti gravi indizi di colpevolezza ed esigenze cautelari.
Avverso l’ordinanza hanno proposto ricorso per cassazione i difensori del COGNOME avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME che hanno articolato un unico motivo di ricorso, di seguito sintetizzato conformemente al disposto dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con tale motivo di ricorso lamentano, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., l’inosservanza delle norme processuali di cui agli artt. 274 e 310, comma 1, cod. proc. pen.
Sostengono, in particolare, che, con la decisione impugnata, il Tribunale distrettuale, nell’accogliere l’impugnativa del pubblico ministero, non si sarebbe confrontato con l’ordito argomentativo a corredo della decisione reiettiva del giudice di prime cure, fondato sulla ritenuta insussistenza di esigenze cautelari e, in special modo, del pericolo di reiterazione, per l’avvenuta disarticolazione del sodalizio e per lo iato temporale esistente tra l’epoca di commissione dei fatti e il momento della formulazione dell’istanza cautelare, limitandosi a inferire la ricorrenza dell’indicato pericolo dalla sola presunzione di sussistenza delle esigenze di cautela, sancita dal disposto dell’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., senza tener conto degli argomenti in precedenza spesi per superarla e del fatto che il pericolo di condotte recidivanti deve necessariamente caratterizzarsi per concretezza e attualità.
Il procedimento è stato trattato in udienza camerale con le forme e con le modalità di cui all’art. 23, commi 8 e 9, del d.l. n. 137/2020, convertito dalla legge n. 176 del 2020, i cui effetti sono stati prorogati dall’art. 5 -duodecies del d.l. n. 162 del 2022, convertito, con modificazioni, nella legge n. 199 del 2022 e, da ultimo, dall’art. 17 del d.l. n. 75 del 2023, convertito, con modificazioni, nella legge n. 112 del 2023.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso presentato nell’interesse di COGNOME NOME è manifestamente infondato per le ragioni che, di seguito, si espongono.
Destituito di fondamento è l’unico motivo di ricorso, con cui si lamenta l’inosservanza delle norme processuali di cui agli artt. 274 e 310, comma 1, cod. proc. pen., sostenendo che il Tribunale distrettuale, nell’accogliere l’impugnativa, non si sarebbe confrontato con la motivazione a corredo della decisione reiettiva del primo giudice, basata sulla ritenuta insussistenza del pericolo di reiterazione, in ragione dell’avvenuta disarticolazione del sodalizio e del tempo trascorso tra la commissione dei fatti e il momento della formulazione dell’istanza cautelare, ma
si sarebbe limitato a inferire la ricorrenza di detto pericolo dalla presunzione di sussistenza delle esigenze di cautela, sancita dal disposto dell’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., senza tener conto degli argomenti spesi per superarla e del fatto che il pericolo di recidivanza deve necessariamente caratterizzarsi per concretezza e attualità.
Ritiene in proposito il Collegio che la decisione del Tribunale distrettuale, diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente, non sia affatto inficiata dall’inosservanza delle evocate norme processuali, riscontrandosi nel corpo del provvedimento un accurato scrutinio tanto del profilo indiziario – che il giudice per le indagini preliminari aveva, invero, omesso del tutto di valutare – quanto di quello cautelare, operazione in esito alla quale si è, poi, concluso nel senso di ritenere sussistenti, nei confronti dell’indagato, un’indubbia gravità indiziaria quanto al delitto-fine oggetto di contestazione e, in contrario avviso a quanto opinato dal primo giudice, pregnanti esigenze di cautela, correlate al concreto e attuale pericolo di condotte recidivanti.
In particolare, con precipuo riguardo al profilo preventivo, i giudici dell’appello hanno ribaltato la decisione gravata e confutato il percorso argomentativo che, in funzione della reiezione della richiesta della pubblica accusa, aveva valorizzato la non attualità delle esigenze di cautela, puntualmente rilievando che l’indagato era soggetto gravato da recenti e specifici precedenti penali e da recentissimi, gravi ed egualmente specifici precedenti giudiziari, all’evidenza indicativi dell’esistenza, nei suoi confronti, d un pericolo di recidivanza quantomai concreto e attuale.
D’altro canto, la decisione risulta conforme al prevalente orientamento della giurisprudenza di legittimità che, nella subiecta materia, ha avuto modo di chiarire che «In tema di misure caute/ari personali, il requisito dell’attualità del pericolo previsto dall’art. 274, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. non è equiparabile all’imminenza di specifiche opportunità di ricaduta nel delitto e richiede, invece, da parte del giudice della cautela, una valutazione prognostica sulla possibilità di condotte reiterative, alla stregua di un’analisi accurata della fattispecie concreta, che tenga conto delle modalità realizzative della condotta, della personalità del soggetto e del contesto socio-ambientale e che deve essere tanto più approfondita quanto maggiore sia la distanza temporale dai fatti, ma che non deve altresì contemplare la previsione di specifiche occasioni di recidivanza» (così, ex multis, Sez. 5, n. 12869 del 20/01/2022, COGNOME, Rv. 282991-01).
Per converso, è a dirsi che correttamente, nella decisione del Tribunale distrettuale, non si è attribuito alcun rilievo alla duplice presunzione – di sussistenza delle esigenze cautelari e di adeguatezza al loro contenimento del
solo presidio intramurario – sancita dal disposto di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., non afferendo essa al delitto-fine di cui si era ritenuta
sussistente, a carico dell’indagato, la gravità indiziaria.
3. Alla stregua delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente di sostenere, ai
sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., le spese del procedimento.
Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13
giugno 2000 e considerato che non v’è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza
«versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità»,
si dispone che il ricorrente versi, in favore della Cassa delle ammende, la somma, determinata in via equitativa, di euro tremila.
P.Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 28 reg. esec. cod. proc. pen.
Così deciso il 17/06/2025