Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 14442 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 14442 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 04/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a NOME COGNOME il 05/12/1965
avverso l’ordinanza del 12/11/2024 del TRIBUNALE di CATANZARO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del PG NOME COGNOME che ha chiesto rigettarsi il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza depositata in data 12/11/2024 il Tribunale del riesame di Catanzaro ha rigettato l’appello GLYPH proposto da NOME COGNOME avverso l’ordinanza con cui la Corte d’appello di Catanzaro, il 26/6/2024, aveva respinto l’istanza di revoca della misura dell’obbligo di presentazione alla PG cui il predetto era sottoposto.
Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del difensore di fiducia, COGNOME che, con unico motivo, denuncia la violazione di legge sostanziale, la contraddittorietà della motivazione e la violazione dell’art. 275 cod. proc. pen. Si contesta, in particolare, la validità dell’argomento, fondante il rigetto, secondo cui il decorso del tempo dall’applicazione della misura, anche in casi quali quello di COGNOME, che da quattro anni si trova sottoposto a misure
cautelari e aveva sempre osservato le prescrizioni lui imposte, è inidoneo a imporre il riesame dei presupposti ex art. 274 cod. proc. pen. Si riporta, quindi, copiosa giurisprudenza, anche a Sezioni Unite, che, richiamando i principi di proporzionalità e adeguatezza quali parametro di commisurazione delle misure cautelari, valorizza, ai fini della valutazione in ordine al mantenimento delle misure cautelari, il tempo decorso dall’applicazione della misura e l’osservanza delle prescrizioni qualora assurgano a indici del recupero sociale del cautelato.
CONSIDERAZIONI IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile risultando le censure aspecifiche.
Il provvedimento impugnato, infatti, fonda l’attualità del pericolo di recidiva su un’analisi accurata della fattispecie concreta, sottolineando che la condanna in primo grado era intervenuta per il reato di cui all’art. 74 d.P.R. 309/90 e che vi era prova del “radicato inserimento nel contestato delinquenziale dedito al narcotraffico” dell’imputato “acuito dal ruolo di referente per lo spaccio nel proprio territorio” ricoperto.
Nella motivazione del Tribunale, quindi, la pericolosità del ricorrente è ancorata non soltanto al reato associativo ma anche al rischio di commissione, da parte di NOME, di reati costituenti espressione della Professionalità e del grado di inserimento nei circuiti criminali che gli avevano permesso di divenire il “referente dello spaccio” nel territorio di riferimento, così recependo il consolidato orientamento di legittimità formatosi in materia (Sez. 3, n. 16357 del 12/01/2021, COGNOME, Rv. 281293 – 01; conf. Sez. 4, n. 3966 del 12/01/2021, COGNOME, Rv. 280243 – 01).
Venendo in rilievo un reato per il quale opera la presunzione relativa della pericolosità sociale di cui all’art. 275 comma 3 cod. proc. pen, dai giudici di merito collegata anche al ruolo centrale svolto dall’imputato nel contesto delinquenziale in cui si muoveva, il ragionamento secondo il quale sarebbe stato necessario introdurre fatti nuovi in grado di dimostrare la rescissione dei collegamenti con il crimine organizzato e l’epifania di un percorso virtuoso finalizzato al reinserimento sociale risulta in grado di resistere alle generiche censure difensive, che reiterano quelle sollevate con l’appello, senza confrontarsi con i caratteri della partecipazione al sodalizio valorizzati nel provvedimento impugnato e con il giudizio relativo all’ “allarmante personalità” di NOME subito dopo formulato.
A fronte di una motivazione coerente e priva di cesure logiche, l’allegazione difensiva si esaurisce nella prospettazione di elementi generici omettendo persino di precisare l’arco temporale delle misure non custodiali e di quella degli arresti
GLYPH
a
domiciliari cui NOME è stato sottoposto e di fornire elementi sintomatici di un allontanamento del predetto dagli ambienti del crimine organizzato nei quali,
secondo il Tribunale, era divenuto una figura di riferimento.
3. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’articolo
616 cod. proc. pen., la condanna della parte privata che lo ha proposto al pagamento delle spese del procedimento, nonché, ravvisandosi profili di colpa
nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento a favore della
Cassa delle ammende di una somma che, alla luce del dictum della Corte costituzionale nella sentenza n. 186 del 2000, si stima equo determinare, avuto
riguardo per i profili di illegittimità, in euro tremila.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso il 4/3/2025