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Pericolo di recidiva: la Cassazione e la droga

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un individuo accusato di associazione per delinquere finalizzata al narcotraffico. La sentenza chiarisce che per reati così gravi, il pericolo di recidiva è presunto e non può essere escluso solo sulla base del tempo trascorso o di un precedente periodo di arresti domiciliari rispettato, specialmente se l’organizzazione criminale risulta ancora attiva.

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Pubblicato il 19 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Pericolo di Recidiva: Quando il Tempo Non Basta a Escludere la Pericolosità

La recente sentenza della Corte di Cassazione Penale, n. 20786 del 2024, offre un’importante lezione sul concetto di pericolo di recidiva nei reati di narcotraffico. La pronuncia conferma come, per crimini di particolare allarme sociale, la presunzione di pericolosità dell’indagato sia difficile da superare, anche di fronte al passare del tempo. L’analisi della Suprema Corte ribadisce principi consolidati in materia di misure cautelari, fornendo una guida chiara sulla valutazione dei requisiti per la loro applicazione e mantenimento.

I Fatti del Caso

La vicenda giudiziaria ha origine da un’ampia indagine su una ramificata associazione a delinquere dedita al traffico di stupefacenti nell’area sud-est di Bari. Un individuo, ritenuto gravemente indiziato di far parte del sodalizio e di aver compiuto plurimi episodi di spaccio, veniva sottoposto alla misura degli arresti domiciliari. La decisione del GIP veniva confermata anche dal Tribunale del Riesame, adito dalla difesa dell’indagato. Secondo l’accusa, basata su intercettazioni e dichiarazioni di collaboratori di giustizia, l’uomo era stabilmente inserito nel contesto criminale, venendo rifornito regolarmente di cocaina per la successiva vendita.

I Motivi del Ricorso e il Pericolo di Recidiva

La difesa ha presentato ricorso in Cassazione lamentando un’illogicità nella motivazione del Tribunale. Secondo il ricorrente, i giudici non avrebbero considerato elementi cruciali a suo favore, tra cui:

* Un precedente periodo di arresti domiciliari, per fatti analoghi, durante il quale aveva rispettato tutte le prescrizioni.
* L’interruzione di ogni contatto con gli altri coindagati.
* Le sue condizioni socio-ambientali, caratterizzate da un’attività lavorativa stabile.
* Il notevole tempo trascorso dai fatti contestati, che si sarebbero fermati a ottobre 2020.

Il fulcro del ricorso verteva quindi sulla presunta assenza di attualità e concretezza del pericolo di recidiva, requisito fondamentale per l’applicazione di qualsiasi misura cautelare.

La Presunzione Legale nei Reati Associativi

La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, ritenendolo infondato. Il ragionamento dei giudici si è basato su un pilastro del nostro sistema processuale penale: la cosiddetta “doppia presunzione” prevista dall’articolo 275, comma 3, del codice di procedura penale. Per reati di eccezionale gravità, come l’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, la legge presume che sussistano le esigenze cautelari e che la misura più adeguata sia quella della custodia in carcere. Spetta all’indagato fornire elementi concreti per vincere tale presunzione e dimostrare che esigenze meno afflittive, come gli arresti domiciliari, siano sufficienti.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte ha stabilito che la motivazione del Tribunale del Riesame era immune da censure. I giudici di merito avevano correttamente valutato gli elementi a disposizione, ritenendo sussistente un concreto e attuale pericolo di recidiva. Questa valutazione si fondava sulla reiterazione delle condotte e sulla stretta vicinanza dell’indagato ad ambienti dediti al narcotraffico.

In particolare, la Cassazione ha affrontato due punti chiave sollevati dalla difesa:

1. Il fattore tempo: Gli Ermellini hanno ribadito un principio giurisprudenziale consolidato. Per i reati coperti dalla presunzione dell’art. 275, comma 3, il mero decorso del tempo è un fattore neutro, non sufficiente da solo a far venir meno la pericolosità. Nel caso specifico, l’associazione criminale era risultata operativa fino al 2023, rendendo ancora attuale la contiguità del ricorrente con essa.

2. Il precedente periodo di detenzione domiciliare: Anche questo elemento è stato considerato neutro e non decisivo per dimostrare una cessazione della pericolosità, a fronte di un quadro indiziario che delineava un inserimento stabile e non occasionale nel contesto criminale.

Conclusioni

La sentenza in esame riafferma con forza la rigidità con cui l’ordinamento giuridico tratta i reati di criminalità organizzata legati al narcotraffico. La presunzione di pericolosità sociale non è una mera finzione, ma un criterio guida che richiede prove concrete e significative per essere superato. Il semplice trascorrere del tempo o un periodo di buona condotta non sono, di per sé, sufficienti a convincere il giudice che il pericolo di recidiva sia venuto meno. La decisione del Tribunale di applicare gli arresti domiciliari, anziché il carcere, è stata quindi ritenuta una misura già gradata e proporzionata alla luce della gravità dei fatti e della pericolosità ritenuta ancora esistente.

Il solo trascorrere del tempo è sufficiente a escludere il pericolo di recidiva per reati di narcotraffico associativo?
No, secondo la Corte il mero decorso del tempo non è di per sé sufficiente a escludere l’attualità e la concretezza del pericolo di recidiva, specialmente per i reati gravi per cui vige una presunzione legale in tal senso, come l’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti.

Perché un precedente periodo di arresti domiciliari rispettato non è stato considerato a favore dell’indagato?
La Corte ha ritenuto tale elemento “del tutto neutro”, in quanto non sufficiente a superare la valutazione di pericolosità basata sulla reiterazione delle condotte e sulla contiguità dell’indagato con un’associazione criminale che risultava operativa fino a tempi molto recenti.

Quale principio giuridico si applica per le misure cautelari nei reati di associazione a delinquere finalizzata al traffico di droga?
Si applica la cosiddetta “doppia presunzione” prevista dall’art. 275, comma 3, del codice di procedura penale. Per questi reati, si presume che sussistano le esigenze cautelari e che la misura adeguata sia la custodia in carcere, a meno che non vengano forniti elementi specifici che dimostrino l’assenza di tali esigenze o la sufficienza di una misura meno afflittiva.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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