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Pericolo di recidiva: la Cassazione e la custodia cautelare

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un’imputata per tentato omicidio, confermando la custodia cautelare in carcere. La Corte ha stabilito che un elevato pericolo di recidiva, desunto dalla gravità e violenza del gesto, prevale sull’assenza di precedenti penali e su una confessione tardiva. Il breve lasso temporale di due mesi tra il fatto e la misura non è stato ritenuto sufficiente a ridurre tale rischio.

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Pubblicato il 26 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Pericolo di recidiva: quando la gravità del reato supera l’assenza di precedenti

L’applicazione di una misura cautelare come la custodia in carcere si basa su una valutazione complessa, in cui il giudice deve bilanciare la libertà dell’individuo con le esigenze di sicurezza della collettività. Uno degli elementi chiave in questa valutazione è il pericolo di recidiva, ovvero il rischio che la persona possa commettere altri reati. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha chiarito come questo rischio possa essere considerato attuale e concreto anche in presenza di una fedina penale pulita e di una confessione, se la condotta è di eccezionale gravità.

I Fatti del Caso: un gesto sproporzionato

Il caso esaminato riguarda una persona accusata di tentato omicidio nei confronti del proprio compagno. A seguito di un banale litigio scaturito da motivi di gelosia, l’imputata lo aveva accoltellato con un’arma di notevoli dimensioni (una lama di circa trenta centimetri), potenzialmente letale. Il Giudice per le indagini preliminari aveva disposto la misura della custodia in carcere, confermata anche dal Tribunale del riesame.

La difesa ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo che il pericolo di recidiva non fosse più ‘attuale’. Le argomentazioni principali si basavano su tre punti: il lasso di tempo di circa due mesi trascorso tra il fatto e l’applicazione della misura, l’assenza di precedenti penali (incensuratezza) dell’imputata e l’ampia confessione resa durante l’interrogatorio.

La valutazione del pericolo di recidiva secondo la Cassazione

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, ritenendolo inammissibile. Secondo i giudici, il Tribunale del riesame aveva correttamente valutato la sussistenza di un concreto e intenso pericolo di recidiva. La decisione si fonda su un’analisi approfondita della personalità dell’imputata, desunta non dal suo passato, ma dalla natura stessa del reato commesso.

I giudici hanno sottolineato come la reazione violenta e sproporzionata a un motivo futile come la gelosia riveli una totale mancanza di controllo degli impulsi e una pericolosità sociale significativa. L’assenza di precedenti penali, in questo contesto, diventa un dato secondario rispetto alla manifesta capacità di compiere atti di estrema violenza.

Le motivazioni della Corte

Le motivazioni della Corte Suprema sono state chiare e puntuali. In primo luogo, il periodo di due mesi tra il reato e la misura è stato giudicato ‘assolutamente contenuto’ e insufficiente a far scemare le esigenze cautelari.

In secondo luogo, la confessione non è stata considerata un elemento a favore dell’imputata. La Corte ha notato che l’ammissione di colpevolezza è avvenuta solo dopo che l’imputata aveva appreso della presenza di testimoni e su consiglio della madre della vittima. Questo comportamento è stato interpretato come un tentativo tardivo e strategico, più vicino a logiche ‘omertose’ che a un reale pentimento, indicativo di una personalità incline alla delinquenza.

Infine, la sentenza ribadisce un principio fondamentale: il pericolo di recidiva è ‘attuale’ quando è possibile formulare una prognosi di ricaduta nel delitto. Questo non significa prevedere una specifica e imminente occasione per delinquere, ma valutare la probabilità di future devianze sulla base di elementi concreti, come le modalità del reato commesso. La manifestata incapacità di dominare le proprie pulsioni è stata considerata un indice inequivocabile di tale probabilità.

Le conclusioni

Questa pronuncia conferma un orientamento consolidato: nella valutazione del pericolo di recidiva, la gravità intrinseca e le modalità di esecuzione di un singolo reato possono avere un peso preponderante rispetto all’assenza di precedenti penali. Un atto di violenza estrema, sproporzionato rispetto alla causa scatenante, è sintomatico di una pericolosità sociale che giustifica l’applicazione della più severa misura cautelare. La decisione insegna che la valutazione cautelare non guarda solo al passato dell’individuo, ma soprattutto alla sua personalità così come emerge dal fatto per cui si procede.

Un breve lasso di tempo tra il reato e l’arresto può escludere il pericolo di recidiva?
No. Secondo la Corte di Cassazione, un periodo di appena due mesi è ‘assolutamente contenuto’ e non è sufficiente a ridurre o eliminare un’esigenza cautelare basata su un elevato pericolo di recidiva.

La confessione e l’assenza di precedenti penali sono sufficienti a evitare la custodia in carcere?
Non necessariamente. La Corte ha stabilito che questi elementi possono essere superati dalla manifesta e intensa pericolosità sociale che emerge dalle gravi modalità della condotta. Una confessione tardiva e strategica, inoltre, può essere valutata negativamente.

Come valuta la Cassazione l’attualità del pericolo di recidiva?
La Corte la definisce come una valutazione prognostica sulla probabilità che l’imputato possa commettere altri reati in futuro. Non è richiesta la previsione di una specifica occasione per delinquere, ma una valutazione fondata su elementi concreti, come l’incapacità di controllare gli impulsi violenti emersa dal reato stesso.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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