Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 15087 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 15087 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 11/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a VIBO VALENTIA il 08/12/1987
avverso l’ordinanza del 12/12/2024 del TRIB. di REGGIO CALABRIA, in funzione di giudice dell’appello cautelare;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del PG COGNOME nel senso del rigetto del ricorso; lette le conclusioni della difesa, nel senso dell’accoglimento del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di Reggio Calabria, con il provvedimento indicato in epigrafe, ha rigettato l’appello proposto, nell’interesse di NOME COGNOME avverso il rigetto della Corte d’appello di Reggio Calabria dell’istanza di sostituzione della custodia cautelare in carcere con gli arresti domiciliari, con sistemi elettronici di controllo, depositata dopo la sentenza di secondo grado di conferma della responsabilità dell’imputato per la fattispecie di cui all’art. 74 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 e per diversi reati fine.
Avverso l’ordinanza d’appello l’indagato, tramite il difensore, ha proposto ricorso articolando un motivo, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione (ex art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.).
Si deduce la violazione dell’art. 274 cod. proc. pen. per essersi il Tribunale limitato a riportare il contenuto dei fatti di reato contestati all’imputat ritenendoli idonei a confermare il giudizio di attualità delle esigenze cautelari e di adeguatezza e proporzionalità della misura in atto, con conseguente mancato superamento del doppio regime presuntivo di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen.
Sarebbe stata quindi omessa la motivazione circa gli effetti del decorso del tempo, tanto dalla commissione dei fatti (2021) quanto dall’esecuzione della misura cautelare (circa tre anni e sei mesi), in considerazione dell’intervenuta assoluzione, in grado d’appello, dalla fattispecie di cui all’art. 416-bis cod. proc. pen. Alla detta assoluzione sarebbe difatti conseguita la riduzione del trattamento sanzionatorio ad anni undici e mesi quattro di reclusione per le residue imputazioni, integranti anch’esse contestazioni cautelari, e, in particolare, per la partecipazione all’associazione punita dall’art. 74 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, con esclusione delle aggravanti di cui ai commi 3 e 4 del medesimo articolo, oltre che per plurimi reati fine. Il pericolo di recidiva, i sostanza, non sarebbe stato argomentato in forza di significativi elementi fattuali, anche circa la persistenza e l’attualità dell’operatività del sodalizio. Tribunale, in definitiva, avrebbe fatto malgoverno del principio sancito dalla giurisprudenza di legittimità per cui, quanto al pericolo di recidiva, sarebbe necessario formulare una valutazione prognostica sulla possibilità di condotte reiterative alla stregua di un’analisi accurata della fattispecie concreta che tenga conto delle modalità della condotta, della personalità del soggetto e del contesto socio-ambientale, tanto più approfondita quanto maggiore sia la distanza temporale dai fatti pur non dovendo necessariamente contemplare la previsione di specifiche occasioni di recidivanza (in merito in ricorso vi sono plurimi
riferimenti giurisprudenziali, tra cui, ex plurimis: Sez. 5, n. 12869 del 20/01/2022, COGNOME, Rv. 282991 – 01).
Le parti hanno concluso nei termini di cui in epigrafe.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il ricorso è infondato.
La difesa censura la ritenuta persistenza delle esigenze cautelari e l’adeguatezza e proporzionalità della custodia cautelare in atto in ragione del tempo decorso, dell’assoluzione per taluno dei reati sottesi all’ordinanza cautelare (quello di cui all’art. 416-bis cod. proc. pen.) e dell’intervenuta esclusione delle circostanze aggravanti dell’accertata fattispecie di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990, ferma restando la gravità indiziaria per i reati di cui all’ordinanza cautelare e per i quali è stata confermata la condanna in appello (in ragione del c.d. «principio di assorbimento» del giudizio sulla gravità indiziaria dalla decisione sul merito dell’imputazione, in merito al cui contrato atteggiarsi si vedano, ex plurimis: Sez. 4, n. 39033 del 27/09/2022, COGNOME, Rv. 283587 – 01; Sez. 1, n. 55459 del 15/06/2017, COGNOME, Rv. 272398 – 01).
In merito occorre premettere che (al pari del giudizio sulla gravità indiziaria) i giudizi circa la sussistenza delle esigenze cautelari e l’adeguatezza della misura applicata, anche in relazione al ritenuto mancato superamento del regime presuntivo di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc pen., sono sindacabili in sede di legittimità soltanto se si traducono nella violazione di specifiche norme di legge o in mancanza o manifesta illogicità della motivazione, risultante dal testo del provvedimento impugnato. Il controllo di legittimità non concerne dunque la ricostruzione dei fatti né l’apprezzamento del giudice di merito circa l’attendibilità delle fonti e la rilevanza e concludenza dei dati probatori, onde sono inammissibili quelle censure che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione di circostanze già esaminate dal giudice di merito (ex plurimis: Sez. 4, n. 20346 del 10/04/2024, COGNOME, in motivazione; Sez. 3, n. 40873 del 21/10/2010, COGNOME, Rv. 248698 – 01).
Circa il merito cassatorio, rileva evidenziare che in tema di misure cautelari si è definitivamente chiarito che l’art. 274, lett. c), cod. proc pen., nel testo introdotto dalla legge 16 aprile 2015, n. 47, richiede che il pericolo che
l’indagato commetta altri delitti deve essere non solo concreto, ma anche attuale. Ne deriva che non è sufficiente ritenere altamente probabile che l’imputato torni a delinquere qualora se ne presenti l’occasione ma è anche necessario prevedere che gli si presenti effettivamente un’occasione prossima per compiere ulteriori delitti della stessa specie (Sez. 3, n. 34154 del 24/4/2018, COGNOME, Rv. 273674 – 01; si veda altresì Sez. 4, n. 20346 del 10/04/2024, COGNOME, in motivazione).
Il principio è stato successivamente calibrato, anche da questa stessa Sezione, affermandosi che il requisito dell’attualità deve essere inteso nel senso che possa formularsi una prognosi in ordine alla continuità del periculum libertatis nella sua dimensione temporale, fondata sia sulla personalità dell’accusato, desumibile anche dalle modalità del fatto per cui si procede, sia sull’esame delle sue concrete condizioni di vita. Tale valutazione prognostica non richiede, tuttavia, la previsione di una «specifica occasione» per delinquere, che esula dalle facoltà del giudice (Sez. 4, n. 47837 del 4/10/2018, C., Rv. 273994 01, si veda altresì Sez. 4, n. 20346 del 10/04/2024, COGNOME, cit.). Essa richiede difatti una valutazione prognostica sulla possibilità di condotte reiterative, alla stregua di un’analisi accurata della fattispecie concreta, che tenga conto delle modalità realizzative della condotta, della personalità del soggetto e del contesto socio-ambientale, la quale deve essere tanto più approfondita quanto maggiore sia la distanza temporale dai fatti, ma non anche la previsione di specifiche occasioni di recidivanza (cfr. Sez. 5 n. 11250 del 19/11/2018, dep. 2019, Avolio, Rv. 277242 – 01; si veda altresì Sez. 4, n. 20346 del 10/04/2024, COGNOME, cit.).
Quanto sopra si pone in linea di continuità con i principi elaborati ancor prima della novella di cui alla I. n. 47 del 2015 che ha introdotto nel testo dell’art. 274, lett. c), cod. proc. pen., il requisito dell’attualità.
Si è infatti ritenuto, anche prima di tale modifica, che il requisito dell’attualità costituisse presupposto implicito per l’adozione della misura cautelare, in quanto necessariamente insito in quello della concretezza del pericolo, posto che l’attualità deve essere intesa non come imminenza del pericolo di commissione di ulteriori reati ma come prognosi di commissioni di delitti analoghi, fondata su elementi concreti, rivelatori di una continuità e effettività del pericolo di reiterazione, attualizzata, al momento della adozione della misura, nella riconosciuta esistenza di occasioni prossime favorevoli alla commissione di nuovi reati, non meramente ipotetiche e astratte, ma probabili nel loro vicino verificarsi (Sez. 6, n. 24779 del 10/5/2016, COGNOME, Rv. 267830 01; Sez. 2, n. 47891 del 7/9/2016, COGNOME, Rv. 268366 – 01; Sez. 2, n. 53645 del 8/9/2016, COGNOME, Rv. 268977 – 01).
4.1. Orbene, nella specie i giudici di merito mostrano di aver fatto corretta applicazione del doppio regime presuntivo di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. (operante con riferimento all’ascritto art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990), tanto da non averlo ritenuto superato, previa sostanziale valutazione anche dell’intervenuta assoluzione dal reato di cui all’art. 416-bis cod. pen., del tempo decorso e delle altre deduzioni difensive.
4.2. Il riferimento è, in particolare, al ritenuto persistente pericolo d reiterazione in ordine al quale, nonostante l’evidenziato regime presuntivo, l’ordinanza impugnata si diffonde, escludendo anche l’idoneità degli arresti domiciliari con strumenti elettronici di controllo. Sul punto rileva l’apparato motivazionale che fa perno sulla rilevante capacità criminale dell’imputato, desunta dalle modalità di partecipazione al sodalizio gestito dalla «cosca Pesce», egemone nella distribuzione dello stupefacente nella fascia tirrenica della provincia reggina ma con ampie propaggini al nord, dalla sua condotta esecutiva strutturale in merito all’attività sottesa alla messa in circolazione di ingentissimi quantitativi di stupefacente. Si fa perno sulla sua capacità di superare le difficoltà operative prospettatesi e all’abilità del prevenuto nel reinvestire risorse strumentali alla risoluzione dei problemi del sodalizio. I giudici di merito concludono in termini di spiccata pericolosità sociale e di una cospicua professionalità nell’agire criminoso dell’imputato che si avvantaggia di contatti e conoscenze criminali tali da escludere il carattere occasionale delle condotte e che necessitano, al fine di arginare il concreto pericolo di recidiva, della massima limitazione della libertà personale, non garantita neanche dagli arresti domiciliari con dispositivi elettronici di controllo. In merito il Tribunale, peraltro co motivazione non sindacata sul punto, evidenzia altresì l’inidoneità degli arresti domiciliari indicati come da eseguirsi nello stesso territorio rosarnese, trattandosi di territorio di operatività del sodalizio e ove l’imputato ha radicato i contatti con ambienti criminali. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Argomentando nei termini di cui innanzi, peraltro, il Tribunale, sostanzialmente, ha fatto anche corretta applicazione del principio governante la materia, con il quale invece il ricorrente non si confronta con censura che, quindi, anche sotto tale aspetto Sli manifesta infondata.
In tema di misure cautelari riguardanti il reato di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, difatti, la prognosi di pericolosità non si rapporta solo all’operatività della stessa o alla data ultima dei reati-fine, ma ha ad oggetto anche la possibile commissione di reati costituenti espressione della medesima professionalità e del medesimo grado di inserimento nei circuiti criminali che caratterizzano l’associazione di appartenenza e postula, pertanto, una valutazione complessiva, nell’ambito della quale, come avvenuto nella specie, il
tempo trascorso è solo uno degli elementi rilevanti, sicché la mera rescissione del vincolo (in ipotesi anche in ragione della cessazione della permanenza del
sodalizio) non è di per sé idonea a far ritenere superata la presunzione relativa di attualità delle esigenze cautelari di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen.
(ex plurimis:
Sez. 3, n. 163 del 12/01/2021, COGNOME, Rv. 281293 – 01); Sez. 4, n.
3966 del 12/01/2021, Fusco, Rv. 280243 – 01).
5. In conclusione, all’infondatezza del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Poiché dalla presente decisione non consegue la rirnessione in libertà del ricorrente, deve disporsi – ai sensi dell’articolo 94, comma
1-ter, disp. att. cod.
proc. pen. – che copia della stessa sia trasmessa al direttore dell’istituto penitenziario in cui l’indagato trovasi ristretto perché provveda a quanto stabilito
dal comma
1-bis del citato articolo 94.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso 1’11 marzo 2025