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Pericolo di recidiva: la Cassazione conferma il carcere

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un soggetto che, già agli arresti domiciliari, continuava a delinquere. La sentenza sottolinea come la commissione di nuovi reati durante una misura cautelare dimostri l’inadeguatezza della stessa e giustifichi la custodia in carcere per l’elevato pericolo di recidiva, aggravato in questo caso dalla contestazione del metodo mafioso.

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Pubblicato il 1 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Pericolo di Recidiva: Quando gli Arresti Domiciliari Non Bastano

La Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 25914 del 2024, ha ribadito un principio fondamentale in materia di misure cautelari: la commissione di reati durante gli arresti domiciliari è prova conclamata dell’inadeguatezza di tale misura e giustifica l’applicazione della più afflittiva custodia in carcere. Il caso in esame riguarda un soggetto che, nonostante fosse già sottoposto a restrizioni, continuava a gestire un ingente traffico di stupefacenti, evidenziando un elevato e concreto pericolo di recidiva.

I Fatti: Traffico di Stupefacenti e Minacce Durante i Domiciliari

La vicenda processuale trae origine da un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal GIP presso il Tribunale di Catanzaro. L’indagato era gravemente sospettato di essere a capo di un’intensa attività di spaccio di sostanze stupefacenti, rifornendo numerosi acquirenti della zona per quantitativi significativi. Particolarmente allarmante era il fatto che tutte le condotte illecite venivano poste in essere mentre l’uomo si trovava già in regime di detenzione domiciliare.

Oltre al traffico di droga, gli venivano contestati tentativi di estorsione. L’indagato, infatti, cercava di recuperare crediti derivanti da pregresse forniture di droga attraverso reiterate minacce, arrivando a evocare la propria parentela con un noto esponente della criminalità locale per incutere maggiore timore. Tale condotta ha portato alla contestazione dell’aggravante del metodo mafioso.

Il Percorso Giudiziario e i Motivi del Ricorso

Contro la decisione del GIP, la difesa aveva proposto istanza di riesame al Tribunale della Libertà, che però aveva confermato la misura carceraria. Il Tribunale aveva ritenuto sussistente un concreto e attuale pericolo di recidiva, basandosi sia su elementi oggettivi (la quantità di stupefacenti, l’organizzazione dell’attività) sia sulla personalità dell’indagato, caratterizzata da una spiccata propensione a delinquere.

L’indagato ha quindi presentato ricorso in Cassazione, lamentando una violazione di legge. Secondo la difesa, non vi erano elementi sufficienti a ritenere così probabile la commissione di nuovi reati e, in ogni caso, le esigenze cautelari avrebbero potuto essere soddisfatte con una misura meno gravosa, come gli arresti domiciliari con l’applicazione del braccialetto elettronico.

Le Motivazioni della Cassazione sul Pericolo di Recidiva

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato, e quindi inammissibile. Le motivazioni della decisione sono nette e si fondano su una valutazione rigorosa dei fatti e del diritto.

In primo luogo, i giudici hanno confermato la sussistenza di un elevato pericolo di recidiva. Questo pericolo non era astratto, ma concreto e attuale, come dimostrato dalle modalità della condotta (un traffico di droga strutturato e non occasionale) e dalla biografia criminale del soggetto. Inoltre, la contestazione dell’aggravante del metodo mafioso (art. 416 bis.1 c.p.) fa scattare una presunzione legale di pericolosità, che nel caso di specie non era stata superata da alcun elemento di prova contrario.

Il punto cruciale della decisione, però, riguarda la scelta della misura cautelare. La Corte ha sottolineato la ‘palese inidoneità’ di una misura gradata come gli arresti domiciliari. Il fatto che l’indagato abbia commesso i reati contestati proprio mentre era sottoposto a tale misura ha dimostrato nei fatti la sua incapacità di rispettare le prescrizioni e l’insufficienza dei domiciliari a contenerne la pericolosità sociale. Di conseguenza, la custodia in carcere è stata ritenuta l’unica misura adeguata a salvaguardare le esigenze cautelari.

Le Conclusioni: Inammissibilità e Conferma della Misura Cautelare

In conclusione, la Cassazione ha rigettato il ricorso, confermando l’ordinanza del Tribunale della Libertà. La sentenza consolida un principio chiave del sistema cautelare: la condotta dell’indagato è il principale indicatore per valutare l’adeguatezza della misura da applicare. Chi viola le restrizioni degli arresti domiciliari per commettere nuovi, gravi reati, dimostra di non poter beneficiare di misure alternative al carcere. La decisione comporta per il ricorrente la condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria di tremila euro in favore della Cassa delle ammende, a causa della manifesta infondatezza del suo ricorso.

Quando è giustificata la custodia cautelare in carcere?
La custodia cautelare in carcere è giustificata quando, oltre a seri indizi di colpevolezza, esiste un concreto e attuale pericolo di reiterazione di gravi reati (pericolo di recidiva) e le altre misure cautelari meno afflittive, come gli arresti domiciliari, si sono dimostrate o si ritengono palesemente inadeguate a contenere tale pericolo.

Commettere un reato durante gli arresti domiciliari giustifica automaticamente il passaggio al carcere?
Sì, secondo questa sentenza, il fatto che le condotte illecite siano state realizzate mentre l’indagato era già sottoposto alla misura degli arresti domiciliari dimostra la ‘palese inidoneità’ di una misura gradata e motiva congruamente la scelta della più severa custodia cautelare in carcere.

Quale valore ha la contestazione dell’aggravante del metodo mafioso nella valutazione del pericolo di recidiva?
La contestazione dell’aggravante di cui all’art. 416 bis.1 c.p. (metodo mafioso) comporta una presunzione legale del pericolo di recidiva. Ciò significa che il rischio è presunto dalla legge e spetta all’indagato fornire elementi concreti di segno contrario per superare tale presunzione, cosa che nel caso di specie non è avvenuta.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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