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Pericolo di recidiva: la Cassazione annulla la custodia

La Corte di Cassazione ha annullato un’ordinanza di custodia cautelare in carcere per un indagato di associazione a delinquere finalizzata al narcotraffico. La decisione si fonda sulla mancata dimostrazione di un attuale e concreto pericolo di recidiva, dato che i fatti contestati risalivano a sei anni prima e l’indagato aveva nel frattempo intrapreso un’attività lavorativa regolare. La Corte ha ribadito che il solo decorso del tempo, se significativo, impone al giudice una motivazione rafforzata sulla persistenza delle esigenze cautelari, non potendosi basare unicamente sulla gravità del reato.

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Pubblicato il 12 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Attualità del Pericolo di Recidiva: Quando il Tempo Annulla la Custodia Cautelare

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 46355/2024, offre un importante chiarimento sul requisito dell’attualità del pericolo di recidiva ai fini dell’applicazione della custodia cautelare in carcere. La Suprema Corte ha annullato un’ordinanza restrittiva, sottolineando che il mero decorso del tempo non può essere ignorato e impone ai giudici una valutazione più approfondita e non automatica della pericolosità sociale dell’indagato. Questo principio si rivela fondamentale per bilanciare le esigenze di sicurezza con la tutela della libertà personale.

I Fatti del Caso

Il caso riguarda un individuo sottoposto alla misura della custodia cautelare in carcere su ordine del GIP presso il Tribunale di Catanzaro. L’accusa era quella di partecipazione a un’associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, con un ruolo attivo in diverse mansioni: dalla preparazione e trasporto della droga, alla gestione dei pusher e alla riscossione dei proventi. L’ordinanza del GIP era stata confermata anche dal Tribunale del Riesame.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

La difesa dell’indagato ha presentato ricorso alla Corte di Cassazione basandosi su due motivi principali:
1. Carenza di gravi indizi di colpevolezza: Si sosteneva che l’appartenenza al sodalizio criminale fosse stata dedotta in modo errato, basandosi unicamente sulla vicinanza a un altro membro e senza prove di contatti diretti con i vertici o di una piena consapevolezza della struttura associativa.
2. Mancanza di attualità del pericolo di recidiva: Questo è il punto cruciale della vicenda. La difesa ha evidenziato che tutte le condotte contestate si erano concluse nel 2018. Da allora, per circa sei anni, l’indagato non solo non aveva commesso altri reati, ma aveva anche intrapreso un’attività lavorativa regolare, dimostrando un percorso di risocializzazione.

L’Analisi della Corte sul Pericolo di Recidiva

La Cassazione ha respinto il primo motivo, ritenendo che la motivazione del Tribunale del Riesame sulla sussistenza dei gravi indizi fosse logica e coerente. Secondo i giudici di merito, le mansioni svolte dall’indagato erano tali da implicare la consapevolezza di operare all’interno di un’organizzazione criminale strutturata.

Tuttavia, la Corte ha accolto pienamente il secondo motivo, quello relativo alla mancanza di un’adeguata valutazione del pericolo di recidiva. La sentenza sottolinea un principio cardine della procedura penale: le esigenze cautelari, e in particolare il rischio che l’indagato commetta nuovi reati, devono essere attuali e concrete al momento dell’applicazione della misura.

le motivazioni

La motivazione della Cassazione si fonda sull’articolo 274, comma 1, lett. c), del codice di procedura penale, che richiede una valutazione prognostica basata su elementi specifici. I giudici hanno chiarito che non è sufficiente basarsi sulla gravità del reato contestato per presumere automaticamente la persistenza della pericolosità sociale. Il ‘tempo silente’, ovvero un lungo periodo trascorso dai fatti senza ulteriori condotte criminali, è un elemento che il giudice deve espressamente considerare.

Nel caso specifico, il Tribunale del Riesame aveva giustificato la custodia cautelare in modo generico, facendo leva unicamente sulla natura del reato associativo, senza confrontarsi con gli elementi concreti forniti dalla difesa: il lungo lasso temporale e il reinserimento lavorativo dell’indagato. Questa, secondo la Cassazione, è una carenza motivazionale che viola la legge. La valutazione prognostica deve essere tanto più approfondita quanto maggiore è la distanza temporale dai fatti contestati. Di conseguenza, la Corte ha annullato l’ordinanza con rinvio, imponendo al Tribunale di Catanzaro una nuova valutazione che tenga specificamente conto di questi aspetti.

le conclusioni

Questa sentenza ribadisce con forza che la custodia cautelare non può essere una conseguenza automatica della gravità di un’accusa. Il fattore tempo e le successive condotte di vita dell’indagato sono elementi cruciali che devono essere attentamente ponderati. La decisione della Cassazione rappresenta una garanzia fondamentale per la libertà personale, imponendo ai giudici di motivare in modo specifico e non presuntivo la persistenza del pericolo di recidiva. Per la difesa, ciò significa che è sempre più importante documentare e provare i percorsi di reinserimento sociale e lavorativo dei propri assistiti come elementi concreti per contrastare le richieste di misure cautelari basate su fatti ormai datati.

Cosa significa che il pericolo di recidiva deve essere ‘attuale’?
Significa che il rischio che l’indagato commetta nuovi reati deve esistere concretamente al momento in cui viene decisa la misura cautelare, non potendo essere semplicemente presunto sulla base di fatti avvenuti molto tempo prima.

Il tempo trascorso da un reato può impedire la custodia cautelare?
Sì. Secondo la sentenza, un ‘tempo silente’ significativo, cioè un lungo periodo senza ulteriori condotte criminali, è un elemento che il giudice deve considerare. Se non adeguatamente motivata, la distanza temporale può portare a ritenere non più sussistenti le esigenze cautelari e, quindi, ad annullare o negare la misura restrittiva.

La gravità del reato è sufficiente da sola a giustificare la detenzione?
No. La sentenza chiarisce che la sola natura e gravità del reato non sono sufficienti per giustificare la custodia cautelare in modo automatico. Il giudice deve sempre compiere una valutazione specifica e individualizzata della personalità dell’indagato e del contesto attuale per determinare se il pericolo di recidiva sia concreto e attuale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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