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Pericolo di recidiva: il tempo da solo non basta

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un indagato contro la misura degli arresti domiciliari per reati associativi. La sentenza chiarisce che, per questo tipo di reati, il pericolo di recidiva si presume e il solo trascorrere del tempo non è sufficiente a superare tale presunzione, specialmente in presenza di un elevato profilo criminale e legami con la criminalità organizzata.

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Pubblicato il 13 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Pericolo di recidiva: il tempo trascorso non cancella il rischio

Quando si parla di misure cautelari, una delle questioni più dibattute è la valutazione del pericolo di recidiva, ovvero il rischio concreto che l’indagato commetta nuovamente dei reati. Un recente intervento della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 45011/2024, offre chiarimenti cruciali su come questo pericolo debba essere valutato, specialmente in relazione al tempo trascorso dai fatti contestati. La Corte ha stabilito un principio netto: per i gravi reati associativi, il cosiddetto ‘tempo silente’ non è, da solo, un elemento sufficiente a far venir meno le esigenze cautelari.

Il caso: un appello contro gli arresti domiciliari

La vicenda riguarda un indagato sottoposto alla misura cautelare degli arresti domiciliari. La difesa aveva presentato ricorso in Cassazione contro l’ordinanza del Tribunale del riesame che confermava la misura. Il motivo principale del ricorso si basava sull’argomento che il Tribunale non avesse adeguatamente motivato la concretezza e l’attualità del pericolo di reiterazione del reato. In particolare, si sottolineava il considerevole tempo trascorso dai fatti e l’attuale assenza di rapporti con gli altri coindagati.

Secondo la tesi difensiva, la presunzione di pericolosità prevista dall’art. 275, comma 3, del codice di procedura penale per i reati di criminalità organizzata dovrebbe essere interpretata in modo da richiedere prove concrete e recenti di una perdurante pericolosità, non potendo basarsi unicamente sulla gravità del titolo di reato.

La questione giuridica e il pericolo di recidiva

Il cuore della questione giuridica ruota attorno al concetto di ‘tempo silente’ e alla sua influenza sulla presunzione di pericolosità. La giurisprudenza non è sempre stata unanime. Un primo orientamento sosteneva che un lungo periodo di tempo senza nuove condotte illecite potesse essere considerato un elemento valido per dimostrare l’assenza di esigenze cautelari.

Tuttavia, un secondo e prevalente orientamento, che la Cassazione ha scelto di seguire in questa sentenza, adotta una linea più rigorosa. Secondo questa interpretazione, per i reati associativi, la presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari può essere superata solo con prove concrete del recesso dell’indagato dall’associazione criminale o della cessazione dell’attività del sodalizio stesso.

La decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendolo aspecifico. I giudici hanno chiarito che il loro compito non è quello di riesaminare i fatti, ma di controllare la logicità e la correttezza giuridica della motivazione del provvedimento impugnato. In questo caso, il Tribunale del riesame aveva fornito una motivazione congrua e immune da vizi logici, aderendo all’orientamento giurisprudenziale più consolidato sul pericolo di recidiva nei reati associativi.

Le motivazioni

La Corte ha spiegato che il ‘tempo silente’ non può, da solo, costituire prova dell’irreversibile allontanamento dell’indagato dal contesto criminale. Può essere valutato, ma solo in via residuale e insieme ad altri elementi concreti, come un’attività di collaborazione con la giustizia o un trasferimento in un’altra area geografica.

Nel caso specifico, il Tribunale del riesame aveva correttamente ritenuto recessivo il tempo trascorso, dandone adeguata motivazione. Erano stati infatti considerati elementi di segno contrario molto più significativi:
1. L’elevato spessore delinquenziale del ricorrente, emerso chiaramente dagli atti del procedimento.
2. Gli stretti e consolidati legami con esponenti di primo piano di diverse organizzazioni criminali.
3. Un precedente penale specifico per un reato di associazione per delinquere.

Di fronte a questi elementi, la semplice inerzia temporale perde di rilevanza. La presunzione di pericolosità, speciale e prevalente rispetto alla norma generale, rimane valida finché non viene fornita una prova contraria forte, che non può consistere nel solo passaggio del tempo.

Conclusioni

La sentenza n. 45011/2024 ribadisce un principio fondamentale in materia di misure cautelari per reati di criminalità organizzata: la pericolosità sociale si presume e non si attenua con il mero trascorrere degli anni. Per chi è accusato di far parte di un sodalizio criminale, ottenere una revoca o un’attenuazione della misura cautelare richiede la dimostrazione attiva e concreta di aver reciso ogni legame con quell’ambiente. Questa decisione consolida un approccio rigoroso, volto a garantire che le esigenze di prevenzione sociale prevalgano su argomentazioni difensive non supportate da elementi fattuali concreti di cambiamento.

Il semplice passare del tempo è sufficiente a eliminare il pericolo di recidiva per i reati associativi?
No, secondo la sentenza, il mero trascorrere del tempo (il cosiddetto ‘tempo silente’) non è di per sé sufficiente a superare la presunzione legale di pericolosità per chi è indagato per reati associativi.

Cosa deve dimostrare un indagato per reati associativi per superare la presunzione di pericolosità cautelare?
L’indagato deve fornire la prova del suo recesso dall’associazione criminale o dell’esaurimento dell’attività della stessa. Elementi come il tempo trascorso possono essere valutati solo in via residuale, insieme ad altri fattori concreti che indichino un allontanamento dal contesto criminale.

Quali elementi ha considerato la Corte per ritenere ancora attuale il pericolo di recidiva in questo caso?
La Corte ha dato peso all’elevato spessore delinquenziale del ricorrente, ai suoi stretti e consolidati legami con esponenti della criminalità organizzata e a un precedente penale specifico per un reato simile, ritenendo questi fattori prevalenti rispetto al tempo trascorso dai fatti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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