Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 20154 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 20154 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 23/04/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOMECOGNOME nato a Napoli il 07/06/1996 NOME COGNOME nato a Napoli il 19/04/1995
avverso l’ordinanza del 14/02/2025 del Tribunale di Napoli visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME la quale ha concluso chiedendo che i ricorsi siano rigettati;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 14/02/2025, il Tribunale di Napoli accoglieva l’appello che era stato proposto, ai sensi dell’art. 310 cod. proc. pen., dal Procuratore generale presso la Corte d’appello di Napoli contro l’ordinanza del 27/11/2024 con la quale tale Corte d’appello aveva sostituito con la misura degli arresti dorniciliari la misura della custodia in carcere che era stata applicata, con ordinanza del 15/06/2023, nei confronti di NOME COGNOME e di NOME COGNOME per essere gli stessi gravemente indiziati del reato di estorsione aggravata (tra l’altro, ex art. 416-13/.9.1 cod. pen.) in concorso ai danni di NOME COGNOME e per il pericolo che commettessero reati della stessa specie di quello per il quale si stava procedendo – e ripristinava la misura della custodia in carcere.
Avverso la suddetta ordinanza del 14/02/2025 del Tribunale di Napoli, hanno proposto ricorsi per cassazione, con distinti atti e per il tramite dei propri comuni difensori avv. NOME COGNOME e avv. NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Il ricorso di NOME COGNOME è affidato a un unico motivo, con il quale il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., la contraddittorietà, l’illogicità e la mera apparenza della motivazione sulla base della quale il Tribunale di Napoli ha ritenuto la sussistenza di un pericolo concreto e attuale di reiterazione del reato arginabile solo con la misura carceraria.
Il ricorrente contesta anzitutto la valorizzazione, in tale prospettiva, da parte del Tribunale di Napoli, della sopravvenuta emissione ed esecuzione (il 12/11/2024), nei confronti del COGNOME, di un’altra misura cautelare (peraltro, precisa il ricorrente, quella degli arresti domiciliari), in relazione al reato associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti (art. 74 de d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309), aggravato ex art. 416-bis.1 cod. pen.
Il COGNOME lamenta in proposito che il Tribunale di Napoli si sarebbe limitato a evocare tale titolo cautelare «come mero fatto storico», senza «misurar neppure larvatamente col medesimo» e, tra l’altro, con il tempo di commissione del reato, con la conseguenza che «l’ordinanza non esplicita i passaggi logicoargomentativi che hanno portato il Tribunale a concludere nel senso che il recente titolo cautelare per narcotraffico attestasse l’attualità del pericolo di recidiva».
Il ricorrente contesta in secondo luogo anche la valorizzazione, nella stessa indicata prospettiva, da parte del Tribunale di Napoli, della sopravvenuta emissione (il 28/11/2024) ed esecuzione (il 17/12/2024), nei confronti del COGNOME, di un’ulteriore misura cautelare, quella della custodia in carcere, in relazione al reato di promozione e direzione dell’associazione di tipo camorristico clan COGNOME–COGNOME.
Il COGNOME lamenta in proposito che il Tribunale di Napoli si sarebbe limitato a considerare il dato della contestazione del suddetto reato associativo «fino al 13.9.2024», senza tenere conto del fatto che, dall’ordinanza del Tribunale del riesame che aveva confermato la misura cautelare che era stata emessa per tale reato, risultavano elementi a sostegno della sussistenza di esso che non andavano oltre il mese di giugno 2023, con la conseguenza che, da quell’ordinanza, sarebbe emerso come «mancassero elementi atti a comprovare una partecipazione del COGNOME all’associazione camorristica nota come clan COGNOME–COGNOME protrattasi oltre la data di emissione del titolo cautelare a valle di questo incidente cautelare».
Il ricorso di NOME COGNOME è affidato a un unico motivo, con il quale il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., la contraddittorietà, l’illogicità e la mera apparenza della motivazione sulla base della
quale il Tribunale di Napoli ha ritenuto la sussistenza di un pericolo concreto e attuale di reiterazione del reato arginabile solo con la misura carceraria.
Il ricorrente contesta la valorizzazione, in tale prospettiva, da parte del Tribunale di Napoli, della sopravvenuta emissione (il 28/11/2024) ed esecuzione (il 17/12/2024), nei confronti del COGNOME, di un’ulteriore misura cautelare, quella della custodia in carcere, per il reato di partecipazione all’associazione di tipo camorristico clan COGNOME–COGNOME.
Il COGNOME lamenta in proposito che il Tribunale di Napoli si sarebbe limitato a considerare il dato della contestazione del suddetto reato associativo «fino al 13.9.2024», senza tenere conto del fatto che, dall’ordinanza del Tribunale del riesame che aveva confermato la misura cautelare che era stata emessa per tale reato, risultavano elementi a sostegno della sussistenza di esso che non andavano oltre il mese di giugno 2023, con la conseguenza che, da quell’ordinanza, sarebbe emerso come «mancassero elementi atti a comprovare una partecipazione del COGNOME all’associazione camorristica nota come clan COGNOME–COGNOME protrattasi oltre la data di emissione del titolo cautelare a valle di questo incidente cautelare».
Secondo il ricorrente, l’ordinanza impugnata sarebbe anche intrinsecamente contraddittoria per la ragione che il Tribunale di Napoli ha «assunto identica determinazione per il COGNOME e per il COGNOME nonostante fossero differenti non solo le posizioni processuali dei due imputati, ma anche gli elementi indicativi della concretezza ed attualità del pericolo di recidiva».
CONSIDERATO IN DIRITTO
L’unico motivo del ricorso di NOME COGNOME è manifestamente infondato.
Il Tribunale di Napoli ha ritenuto che le esigenze cautelari di tutela della collettività che, nell’ordinanza genetica del 15/06/2023, erano state poste a fondamento dell’applicazione, nei confronti del COGNOME, della massima misura della custodia in carcere, diversamente da quanto aveva ritenuto la Corte d’appello di Napoli con la propria ordinanza del 27/11/2024 con la quale la suddetta misura della custodia in carcere era stata sostituita con quella degli arresti domiciliari, non si potessero ritenere affievolite in ragione del tempo trascorso dall’esecuzione e del comportamento processuale del COGNOME.
Il Tribunale di Napoli ha argomentato tale conclusione, valorizzando, anzitutto, la gravità della condotta criminosa che era stata ascritta al COGNOME (e al COGNOME) – i quali, con sentenza del 04/11/2024 della Corte d’appello di Napoli, erano stati condannati, per la stessa condotta, alla pena di tre anni e quattro mesi di reclusione -, in quanto commessa, con metodo chiaramente mafioso, nell’ambito della procedura di aggiudicazione di un immobile all’asta, cioè in un settore di frequente e subdola infiltrazione camorristica. La stessa condotta, anche
per la “professionalità” e disinvoltura nell’agire che era stata mostrata dal COGNOME (e dal COGNOME), era stata ritenuta perciò dimostrativa anche dell’allarmante personalità dei due.
Posta tale argomentazione, che risulta del tutto priva di contraddizioni e di illogicità, tanto meno manifeste – e che non è neppure contestata dal ricorrente il Tribunale di Napoli ha poi argomentato come la gravità delle esigenze cautelari da soddisfare nel caso di specie fosse suffragata e, di più, rafforzata da un elemento di novità rispetto a quelli che erano stati considerati anche nell’ordinanza genetica, in quanto idoneo a confermare che il COGNOME era inserito in più ampi contesti criminali, cioè il fatto che, nei suoi confronti, il 28/11/2024 (cioè il gior dopo l’emissione dell’ordinanza che era impugnata davanti al Tribunale di Napoli) era stata emessa un’ulteriore misura di custodia cautelare in carcere in relazione al reato di promozione e direzione dell’associazione di tipo camorristico clan COGNOME–COGNOME.
Il Tribunale di Napoli ha quindi posto in correlazione tale accusa con alcuni elementi che erano stati evidenziati nell’ordinanza genetica, in particolare, con il fatto che alcuni collaboratori di giustizia avevano riferito che il COGNOME faceva leva «sul suo legame familiare», in quanto genero di NOME COGNOME (del quale aveva sposato la figlia NOME), per entrare al far parte del clan COGNOME, con un ruolo direttivo, avendo, in particolare, il collaboratore di giustizia COGNOME riferito che il COGNOME «vuole fare carriera nel clan».
Il Collegio ritiene che il Tribunale di Napoli abbia del tutto logicamente tratto da tale elemento di novità ragioni per ritenere rafforzata la gravità dell’esigenza cautelare del pericolo di recidiva, consentendo lo stesso elemento, in tutta evidenza, di reputare che l’attribuita condotta estorsiva, aggravata dall’aggravante “mafiosa”, si inserisse nel sistematico ricorso a tale tipologia di reato che è proprio delle associazioni di tipo camorristico, in una delle quali il COGNOME era gravemente indiziato di rivestire il ruolo di capo e promotore.
Diversamente da quanto mostra di ritenere il ricorrente, tale ragionamento risulta logicamente pienamente valido indipendentemente dalla datazione degli elementi indiziari che erano stati acquisiti nel procedimento per il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen., atteso che la permanenza della partecipazione a un’associazione camorristica non si può logicamente ritenere cessata per via del fatto che, da un certo momento in poi, non sono più presenti conversazioni intercettate (il che, del resto, ben può dipendere dalla scadenza dei termini di durata delle indagini preliminari), in assenza di qualsiasi prova della dissociazione dell’indagato dal clan.
Anche il fatto che il COGNOME fosse stato raggiunto da un’altra ordinanza cautelare per essere gravemente indiziato del reato di associazione finalizzata al
traffico illecito di sostanze stupefacenti «rientrante sempre nella sfera di operatività del clan COGNOME» si deve ritenere, ad avviso del Collegio, essere stato logicamente reputato, anche a prescindere dalla data di commissione di detto reato associativo, come indicativo della caratura criminale del COGNOME e, quindi, come elemento significativo dell’attualità e concretezza del pericolo di recidiva e della gravità dello stesso pericolo.
Nessuna contestazione ha infine avanzato il ricorrente con riguardo alla motivazione con la quale il Tribunale di Napoli ha espressamente escluso l’idoneità, nel caso concreto, della misura degli arresti domiciliari anche con il cosiddetto braccialetto elettronico (terzo capoverso della pag. 3 dell’ordinanza impugnata).
La motivazione della stessa ordinanza si deve pertanto ritenere del tutto esente da censure e, in particolare, per le ragioni che si sono dette, da quelle che sono state prospettate dal ricorrente.
L’unico motivo del ricorso di NOME COGNOME è manifestamente infondato.
Il Tribunale di Napoli ha ritenuto che le esigenze cautelari di tutela della collettività che, nell’ordinanza genetica del 15/06/2023, erano state poste a fondamento dell’applicazione, nei confronti del COGNOME, della massima misura della custodia in carcere, diversamente da quanto aveva ritenuto la Corte d’appello di Napoli con la propria ordinanza del 27/11/2024 con la quale la suddetta misura della custodia in carcere era stata sostituita con quella degli arresti domiciliari, non si potessero ritenere affievolite in ragione del tempo trascorso dall’esecuzione e del comportamento processuale del Furiano.
Il Tribunale di Napoli ha argomentato tale conclusione, valorizzando, anzitutto, la gravità della condotta criminosa che era stata ascritta al COGNOME (e al COGNOME) – i quali, con sentenza del 04/11/2024 della Corte d’appello di Napoli, erano stati condannati, per la stessa condotta, alla pena di tre anni e quattro mesi di reclusione -, in quanto commessa, con metodo chiaramente mafioso, nell’ambito della procedura di aggiudicazione di un immobile all’asta, cioè in un settore di frequente e subdola infiltrazione camorristica. La stessa condotta, anche per la “professionalità” e disinvoltura nell’agire che era stata mostrata dal COGNOME (e dal COGNOME), era stata ritenuta perciò dimostrativa anche dell’allarmante personalità dei due.
Posta tale argomentazione, che risulta del tutto priva di contraddizioni e di illogicità, tanto meno manifeste – e che non è neppure contestata dal ricorrente il Tribunale di Napoli ha poi argomentato come la gravità delle esigenze cautelari da soddisfare nel caso di specie fosse suffragata e, di più, rafforzata da un elemento di novità rispetto a quelli che erano stati considerati anche nell’ordinanza genetica, in quanto idoneo a confermare che il COGNOME era inserito in più ampi contesti criminali, cioè il fatto che, nei suoi confronti, il 28/11/2024 (cioè il gior
dopo l’emissione dell’ordinanza che era impugnata davanti al Tribunale di Napoli) era stata emessa un’ulteriore misura di custodia cautelare in carcere in relazione al reato di partecipazione all’associazione di tipo camorristico clan COGNOME, quale uomo di fiducia del capo e promotore del clan NOME COGNOME.
Il Collegio ritiene che il Tribunale di Napoli abbia del tutto logicamente tratto da tale elemento di novità ragioni per ritenere rafforzata la gravità dell’esigenza cautelare del pericolo di recidiva, consentendo lo stesso elemento, in tutta evidenza, di reputare che l’attribuita condotta estorsiva, aggravata dall’aggravante “mafiosa”, si inserisse nel sistematico ricorso a tale tipologia di reato che è proprio delle associazioni di tipo camorristico, in una delle quali il COGNOME era gravemente indiziato di partecipare, con l’indicato ruolo di uomo di fiducia del capo e promotore del clan NOME COGNOME.
Diversamente da quanto mostra di ritenere il ricorrente, tale ragionamento risulta logicamente pienamente valido indipendentemente dalla datazione degli elementi indiziari che erano stati acquisiti nel procedimento per il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen., atteso che la permanenza della partecipazione a un’associazione camorristica non si può logicamente ritenere cessata per via del fatto che, da un certo momento in poi, non sono più presenti conversazioni intercettate (il che, del resto, ben può dipendere dalla scadenza dei termini di durata delle indagini preliminari), in assenza di qualsiasi prova della dissociazione dell’indagato dal clan.
Nessuna contestazione ha poi avanzato il ricorrente con riguardo alla motivazione con la quale il Tribunale di Napoli ha espressamente escluso l’idoneità, nel caso concreto, della misura degli arresti domiciliari anche con il cosiddetto braccialetto elettronico (terzo capoverso della pag. 3 dell’ordinanza impugnata).
Sempre diversamente da quanto mostra di ritenere il ricorrente, non comporta, infine, alcuna contraddizione il fatto che il Tribunale di Napoli abbia «assunto identica determinazione per il COGNOME e per il COGNOME».
Anche a prescindere dalla genericità di tale doglianza («nonostante fossero differenti non solo le posizioni processuali dei due imputati, ma anche gli elementi indicativi della concretezza ed attualità del pericolo di recidiva»), avendo il ricorrente del tutto omesso di specificare quali sarebbero le differenze da lui invocate, si deve infatti in ogni caso osservare che non è di per sé affatto contraddittorio applicare, nei confronti di due soggetti, lo stesso regime cautelare, quando si reputi che, nonostante la diversità delle loro posizioni, per entrambi sussistano esigenze cautelari fronteggiabili esclusivamente con la stessa misura.
Pertanto, i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili, con la conseguente condanna dei ricorrenti, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento, nonché, essendo ravvisabili
profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento della somma di C 3.000,00 ciascuno in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle
ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 28 reg. esec.
cod. proc. pen.
Così deciso il 23/04/2025.