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Pericolo di fuga: quando il fermo è illegittimo

La Corte di Cassazione ha annullato la convalida di un fermo per omicidio, basato sul presupposto del pericolo di fuga. La Corte ha ritenuto illogico il ragionamento del giudice, il quale aveva fondato il pericolo di fuga sulla sola condizione di straniero irregolare dell’indagato, privo di fissa dimora e lavoro. Tale valutazione non teneva conto del comportamento dell’uomo che, nel mese successivo al delitto e prima del fermo, era sempre rimasto rintracciabile e disponibile alle convocazioni della polizia, senza mai tentare la fuga. La sentenza stabilisce che il pericolo di fuga deve basarsi su elementi concreti e attuali, e non può essere desunto automaticamente da una condizione personale preesistente.

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Pubblicato il 17 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Pericolo di fuga: la condizione di irregolare non basta per il fermo

La recente sentenza n. 443/2024 della Corte di Cassazione offre un’importante riflessione sui presupposti del pericolo di fuga, un elemento cruciale per la legittimità del fermo di indiziato di delitto. La Suprema Corte ha annullato la convalida di un fermo, evidenziando come la semplice condizione di straniero irregolare, privo di fissa dimora e lavoro, non possa, da sola, giustificare la misura precautelare se contraddetta dal comportamento concreto dell’indagato. Questo caso ci permette di analizzare i confini tra una legittima valutazione prognostica e un ragionamento illogico e contraddittorio.

I fatti: la ricostruzione della vicenda

Il caso riguarda un uomo indagato per omicidio volontario, commesso il 18 aprile 2023. Il fermo veniva disposto dal pubblico ministero quasi un mese dopo, il 10 maggio 2023, a seguito del ritrovamento del cadavere della vittima. Il Giudice per le Indagini Preliminari (G.I.P.) del Tribunale di Prato convalidava il fermo, motivando la sua decisione sulla base di un presunto pericolo di fuga. Secondo il giudice, l’indagato era un soggetto irregolare sul territorio nazionale, senza una fissa dimora, un’occupazione lavorativa o alcun tipo di radicamento sociale, elementi che avrebbero reso altamente probabile un suo allontanamento.

La decisione del GIP e la valutazione del pericolo di fuga

Il G.I.P. ha ritenuto che il pericolo di fuga si fosse concretizzato nel momento in cui l’indagato, dopo il ritrovamento del cadavere, era stato convocato in Questura e aveva appreso di essere formalmente indagato. Prima di quel momento, l’uomo era semplicemente una persona da rintracciare; dopo, consapevole della gravità della sua posizione, avrebbe avuto ogni motivo per fuggire. Tuttavia, la difesa dell’indagato ha proposto ricorso per Cassazione, sostenendo che tale valutazione fosse illogica. Infatti, nel lungo periodo intercorso tra il delitto e il fermo, l’indagato, pur potendolo fare agevolmente, non si era mai dato alla fuga, rimanendo sempre rintracciabile al punto da rispondere alle convocazioni telefoniche della polizia e da essere trovato in un bar frequentato abitualmente.

Il ricorso in Cassazione e l’analisi del pericolo di fuga

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, definendo il ragionamento del G.I.P. come ‘illogico e consequenziale’. La Suprema Corte ha sottolineato che il punto di partenza dell’analisi doveva essere il comportamento tenuto dall’indagato nel periodo tra il 18 aprile e il 10 maggio. In questo lasso di tempo, egli era rimasto a Prato ed era stato facilmente rintracciabile. Questa circostanza, di per sé, era in netto contrasto con l’ipotesi di un pericolo di fuga.

Le motivazioni della Suprema Corte

La motivazione della Cassazione si concentra su una contraddizione fondamentale nel provvedimento del G.I.P. La condizione di straniero irregolare, senza dimora e lavoro, preesisteva all’interrogatorio. Se questa condizione non era stata ritenuta sufficiente a integrare un pericolo di fuga prima, non poteva diventarlo improvvisamente dopo, senza che fossero emersi nuovi elementi concreti. Anzi, l’indagato era stato convocato come persona libera e, anche al termine dell’interrogatorio, era stato lasciato libero di allontanarsi. Il semplice fatto di aver preso coscienza di essere indagato non può, in assenza di specifici comportamenti positivi (come preparativi per la fuga), trasformare una situazione statica in un pericolo concreto e attuale. La giurisprudenza di legittimità, richiamata nella sentenza, richiede infatti che il pericolo di fuga sia sostanziato da elementi specifici e concreti, non da mere congetture basate su una condizione personale.

Le conclusioni: implicazioni pratiche

La decisione della Corte annulla l’ordinanza di convalida del fermo senza rinvio, affermando un principio di garanzia fondamentale: la valutazione del pericolo di fuga deve essere rigorosa e basata su fatti, non su presunzioni. La condizione di vulnerabilità sociale o di irregolarità amministrativa di una persona non può automaticamente tradursi in un giudizio di pericolosità. È necessario un ‘quid pluris’, un elemento comportamentale concreto che dimostri l’effettiva intenzione di sottrarsi alla giustizia. La sentenza precisa, infine, che l’annullamento della convalida del fermo non incide su eventuali altre misure cautelari applicate contestualmente, che seguono un percorso di validità autonomo.

La condizione di straniero irregolare e senza fissa dimora è sufficiente a dimostrare il pericolo di fuga?
No, secondo la sentenza, questa condizione, sebbene rilevante, non è di per sé sufficiente per giustificare un fermo. Deve essere valutata insieme al comportamento concreto dell’indagato e ad altri elementi attuali che dimostrino un rischio effettivo di fuga.

Perché la Cassazione ha ritenuto illogico il ragionamento del giudice di primo grado?
Perché il giudice ha considerato il pericolo di fuga sorto solo dopo che l’indagato ha saputo di essere formalmente indagato, ignorando che la sua condizione precaria (straniero irregolare, senza lavoro) esisteva da prima e che, nonostante ciò, non aveva mai tentato di fuggire, rimanendo anzi rintracciabile.

L’annullamento della convalida del fermo annulla anche eventuali altre misure cautelari come la custodia in carcere?
No. La sentenza chiarisce espressamente che l’annullamento della convalida del fermo non si estende automaticamente all’ordinanza che impone altre misure coercitive (come la custodia cautelare in carcere), poiché questi sono provvedimenti giuridicamente distinti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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