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Pericolo di fuga: la Cassazione sul rischio concreto

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un indagato per traffico di droga, confermando la custodia in carcere. Il suo rientro nel paese d’origine, dove ha famiglia e lavoro, è stato interpretato non come elemento positivo, ma come prova di un concreto pericolo di fuga e di recidiva, rafforzando la presunzione di pericolosità.

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Pubblicato il 1 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Pericolo di Fuga: Quando il Rientro in Patria Conferma il Rischio

La valutazione del pericolo di fuga è uno degli elementi più delicati nel decidere l’applicazione della custodia cautelare in carcere. Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 25915 del 2024, offre chiarimenti cruciali su come interpretare la condotta dell’indagato che si trasferisce nel proprio paese d’origine dopo aver commesso un reato. Contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa, la Corte ha stabilito che tale comportamento, unito a un successivo arresto e a una procedura di estradizione, non attenua, ma anzi rafforza il rischio che l’indagato si sottragga alla giustizia.

I Fatti del Caso

Il procedimento riguarda un individuo indagato per partecipazione a un’associazione a delinquere finalizzata al traffico internazionale di cocaina dall’Albania all’Italia. Secondo l’accusa, l’uomo era stato inviato in Italia per gestire una base di spaccio a Perugia, per poi rientrare in patria dopo circa due mesi, secondo le regole dell’organizzazione criminale volte a ridurre il rischio di essere individuati. Dopo essere fuggito in Albania nel 2022, l’indagato veniva arrestato e sottoposto a procedura di estradizione.
Il Tribunale del Riesame di Perugia aveva confermato l’ordinanza di custodia cautelare in carcere, ritenendo sussistenti sia i gravi indizi di colpevolezza sia le esigenze cautelari.

Le Argomentazioni Difensive e il Presunto Legame Familiare

La difesa dell’indagato ha presentato ricorso in Cassazione, contestando la valutazione del pericolo di fuga. Secondo il legale, il Tribunale avrebbe errato nel non considerare che l’indagato era tornato nel suo paese d’origine, dove aveva un lavoro, era sposato e aveva figli. Questi elementi, a dire della difesa, avrebbero dovuto portare a un giudizio prognostico positivo, escludendo la concretezza e l’attualità del rischio di fuga. Inoltre, si sosteneva che il rientro in Albania non fosse una fuga volontaria, ma un’azione imposta dalle regole dell’associazione criminale.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione sul Pericolo di Fuga

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato e, quindi, inammissibile. Gli Ermellini hanno chiarito che il Tribunale del Riesame ha applicato correttamente la normativa, in particolare la doppia presunzione prevista dall’art. 275, comma 3, del codice di procedura penale per reati di grave allarme sociale come il traffico di droga associativo. Questa presunzione, che riguarda sia la pericolosità dell’indagato sia l’adeguatezza della sola misura carceraria, non è stata superata da elementi positivi.
Al contrario, la Corte ha sottolineato che la presunzione è stata rafforzata proprio dalla condotta dell’indagato. La fuga in Albania nel 2022, il successivo arresto in quel paese e l’attuale pendenza di una procedura di estradizione costituiscono la prova di un concreto ed attuale pericolo di fuga e di recidivanza. La presenza di un nucleo familiare e di un’attività lavorativa all’estero, in questo specifico contesto, non è stata ritenuta un elemento idoneo a mitigare il rischio, ma piuttosto parte di una strategia per sottrarsi alla giurisdizione italiana.

Conclusioni

La sentenza ribadisce un principio fondamentale: nella valutazione delle esigenze cautelari, i fatti concreti prevalgono sulle mere allegazioni difensive. La scelta di un indagato di tornare nel proprio paese d’origine dopo aver commesso gravi reati in Italia non può essere automaticamente interpretata come un fattore di stabilità che esclude il pericolo di fuga. Se tale rientro è seguito da un arresto e dalla necessità di avviare una complessa procedura di estradizione, il quadro indiziario a sostegno della misura cautelare ne esce inevitabilmente rafforzato, dimostrando la determinazione del soggetto a sottrarsi al processo e il concreto pericolo che possa commettere altri reati.

Avere famiglia e lavoro nel proprio paese d’origine esclude il pericolo di fuga?
No. Secondo la sentenza, il trasferimento nel paese d’origine dopo la commissione dei reati, seguito da un arresto e dall’avvio di una procedura di estradizione, non esclude ma anzi rafforza il concreto ed attuale pericolo di fuga e di recidiva.

La distanza temporale dai fatti (circa due anni) può far venir meno le esigenze cautelari?
Non necessariamente. Nel caso specifico, la Corte ha ritenuto che la presunzione di pericolosità, prevista per gravi reati come l’associazione finalizzata al traffico di droga, non fosse venuta meno. Anzi, era stata rafforzata dalla fuga dell’indagato e dal suo arresto all’estero, che dimostravano un pericolo di recidiva ancora concreto e attuale.

Perché il ricorso in Cassazione è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato giudicato manifestamente infondato. La Corte ha ritenuto che le motivazioni del Tribunale del Riesame fossero corrette e logiche nell’applicare la presunzione di adeguatezza della custodia in carcere, la quale era supportata da elementi concreti e oggettivi come la fuga all’estero dell’indagato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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