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Pericolo di fuga: la Cassazione sui criteri concreti

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 12365/2024, ha rigettato il ricorso di un Pubblico Ministero contro la decisione di non applicare una misura cautelare a un cittadino straniero accusato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. La Corte ha stabilito che il pericolo di fuga non può essere presunto dalla sola condizione di straniero, ma deve essere ancorato a elementi concreti che dimostrino una reale ed effettiva preparazione alla fuga. Nel caso specifico, il comportamento collaborativo dell’indagato, la sua stabile residenza in un paese UE e la sua spontanea presentazione in udienza sono stati considerati elementi sufficienti a escludere tale rischio.

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Pubblicato il 9 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Pericolo di fuga: non basta essere straniero per giustificare il carcere

La Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 12365 del 2024, ha affrontato un tema cruciale nell’ambito delle misure cautelari: la valutazione del pericolo di fuga per un indagato straniero. La pronuncia stabilisce un principio fondamentale: tale rischio non può derivare da una mera presunzione legata alla nazionalità, ma deve essere supportato da prove concrete e specifiche. Questa decisione chiarisce i confini entro cui un giudice può limitare la libertà personale di un individuo durante le indagini preliminari.

I fatti del caso

Il caso ha origine da un’indagine per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina a carico di un cittadino ucraino, accusato di aver trasportato sei persone illegalmente in Italia. Il Pubblico Ministero aveva richiesto l’applicazione di una misura cautelare in carcere, sostenendo la sussistenza sia del rischio di recidiva che del pericolo di fuga. Tuttavia, sia il Giudice per le Indagini Preliminari (G.i.p.) che, in seguito, il Tribunale del Riesame avevano rigettato la richiesta.

I giudici di merito avevano escluso le esigenze cautelari basandosi su diversi elementi: l’occasionalità del reato, la mancanza di professionalità dimostrata dall’indagato (che aveva usato la propria auto), la sua confessione e il pentimento. Inoltre, l’indagato si era presentato spontaneamente all’udienza del riesame, provenendo dalla sua residenza stabile in Belgio, dove viveva con la famiglia, producendo relativa documentazione. Contro questa decisione, il Pubblico Ministero ha proposto ricorso in Cassazione.

La decisione della Corte di Cassazione sul pericolo di fuga

La Suprema Corte ha ritenuto il ricorso infondato, confermando la decisione del Tribunale del Riesame. I giudici di legittimità hanno ribadito un orientamento consolidato: il pericolo di fuga, per giustificare una misura cautelare, non può essere desunto esclusivamente dalla condizione di straniero dell’indagato.

La valutazione del pericolo di fuga

La Corte ha spiegato che la valutazione del rischio deve essere ancorata a elementi concreti e attuali, dai quali sia logicamente possibile dedurre una reale ed effettiva preparazione alla fuga. Nel caso specifico, il Tribunale del Riesame aveva correttamente valorizzato indicatori di segno opposto, quali:

1. Il comportamento processuale collaborativo: l’indagato aveva ammesso le proprie responsabilità e si era dichiarato pentito.
2. La presentazione spontanea in giudizio: l’uomo si era recato appositamente dal Belgio a Trieste per partecipare all’udienza cautelare.
3. La residenza stabile in un paese UE: la sua stabile residenza in Belgio con la famiglia rendeva, tra l’altro, possibile l’emissione di un Mandato d’Arresto Europeo in caso di necessità.

Questi elementi, complessivamente considerati, sono stati ritenuti sufficienti a smentire l’esistenza di un concreto intento di sottrarsi al processo.

Analisi del pericolo di recidiva e delle presunzioni legali

Anche riguardo al pericolo di recidiva, la Cassazione ha condiviso la valutazione dei giudici di merito. L’episodio è stato considerato estemporaneo e caratterizzato da una modesta caratura criminale, escludendo così un rischio concreto di reiterazione del reato. Inoltre, la Corte ha chiarito un importante aspetto normativo. Il Pubblico Ministero aveva invocato erroneamente l’applicazione dell’art. 275, comma 3, c.p.p., che prevede una presunzione di custodia in carcere per gravi reati. La Corte ha precisato che la norma applicabile al favoreggiamento dell’immigrazione (art. 12, comma 4-bis, d.lgs. 286/1998) prevede sì una presunzione, ma consente al giudice di superarla se acquisisce elementi da cui risulti l’insussistenza delle esigenze cautelari, come avvenuto nel caso di specie.

Le motivazioni

La motivazione della sentenza ruota attorno al principio secondo cui le misure cautelari, in particolare quelle detentive, devono essere fondate su una valutazione individualizzata e concreta dei rischi, non su automatismi o presunzioni assolute. La condizione di straniero, sebbene possa essere un fattore da considerare, non può mai essere l’unico o il principale elemento a sostegno del pericolo di fuga. La Corte ha sottolineato come la condotta processuale dell’indagato e i suoi legami stabili in un altro Stato dell’Unione Europea fossero indicatori fattuali prevalenti e decisivi per escludere il rischio. L’approccio del Tribunale del Riesame è stato quindi giudicato corretto e logicamente argomentato, in linea con i principi costituzionali e la giurisprudenza di legittimità.

Le conclusioni

La sentenza n. 12365/2024 rafforza un importante baluardo di civiltà giuridica: la libertà personale può essere limitata solo in presenza di esigenze concrete, attuali e provate. Per i giudici, ciò significa l’obbligo di andare oltre le apparenze e le generalizzazioni, analizzando a fondo la situazione personale e processuale di ogni indagato. Per gli operatori del diritto, questa pronuncia è un chiaro monito a non invocare presunzioni legali in modo acritico, ma a fondare le proprie richieste su elementi di fatto solidi e pertinenti.

La condizione di straniero è sufficiente per presumere il pericolo di fuga?
No, la Corte di Cassazione ha stabilito che il pericolo di fuga non può essere desunto esclusivamente da una mera presunzione qual è la condizione di straniero dell’indagato, ma deve essere ancorato a concreti elementi dai quali sia logicamente possibile dedurre una reale ed effettiva preparazione alla fuga.

Quali elementi concreti ha considerato la Corte per escludere il pericolo di fuga in questo caso?
La Corte ha valorizzato tre elementi principali: a) il comportamento processuale collaborativo tenuto dall’indagato, che ha ammesso i fatti e si è pentito; b) la sua spontanea presentazione davanti al Tribunale del riesame, partendo appositamente dal Belgio; c) la produzione di documentazione attestante la sua stabile residenza in Belgio con la famiglia, che renderebbe possibile l’emissione di un Mandato d’Arresto Europeo.

Perché la Corte ha ritenuto non applicabile la presunzione di custodia cautelare in carcere?
La Corte ha chiarito che la norma di riferimento per il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina (art. 12, comma 4-bis, d.lgs. 286/1998) consente di superare la presunzione di custodia in carcere qualora siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari. Nel caso di specie, i giudici di merito avevano correttamente motivato l’assenza di tali esigenze, rendendo inapplicabile la misura detentiva.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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