Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 32883 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6   Num. 32883  Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 10/09/2025
R E P U B B L I C A   I T A L I A N A
In nome del Popolo RAGIONE_SOCIALE
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SESTA SEZIONE PENALE
Composta da
NOME COGNOME                           – Presidente –                  Sent. n.sez. 1185/2025
NOME COGNOME                                                              CC – 10/09/2025
NOME COGNOME Raddusa                                                     R.G.N. 24126/2025
NOME COGNOME                    – Relatore –
NOME COGNOME
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOME, nato in Albania il DATA_NASCITA;
avverso  l’ordinanza  emessa  in  data  18  giugno  2025  dalla  Corte  di  appello  di Trento;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione del consigliere NOME COGNOME; udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO generale NOME COGNOME, che ha chiesto di annullare con rinvio il provvedimento impugnato;
udite le conclusioni dell’AVV_NOTAIO NOME COGNOME, in sostituzione dell’AVV_NOTAIO  NOME  COGNOME,  che  ha  chiesto  l’accoglimento  dei  motivi  di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza impugnata la Corte di appello di Trento ha rigettato la richiesta di sostituzione della custodia cautelare in carcere con gli arresti domiciliari formulata  nell’interesse di  NOME  COGNOME,  nel  procedimento  di  estradizione promosso dalla Repubblica di Albania per procedere nei suoi confronti per traffico internazionale di stupefacenti e per associazione a delinquere finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti.
AVV_NOTAIO, difensore di NOME, ha proposto ricorso avverso tale ordinanza e, proponendo due motivi, ne ha chiesto l’annullamento.
2.1.  Il  difensore,  con  il  primo  motivo,  ha  dedotto  la  mancanza  e  la contraddittorietà della motivazione nella parte in cui la Corte di appello ha ritenuto sussistente  il  pericolo  di  fuga,  pur  a  fronte  del  radicamento  del  ricorrente  in territorio italiano.
Secondo la Corte di appello, la concretezza del pericolo di fuga risiederebbe nella gravità dell’accusa e nel severo trattamento sanzionatorio previsto per i reati posti a fondamento della richiesta di estradizione, ma questa motivazione sarebbe illegittima.
Il pericolo di fuga non può, infatti, essere fondato sulla gravità delle accuse, che  ancora  necessitano  di  essere  dimostrate,  ma  deve  essere  motivatamente fondato su elementi concreti e specifici, che siano rivelatori di una reale possibilità di allontanamento clandestino da parte dell’estradando.
La  Corte  di  appello  avrebbe,  peraltro,  ignorato  le  prove  dell’effettivo radicamento del ricorrente in territorio italiano; il ricorrente è giunto in Italia nel 2003 e si è radicato a Bari con la sua famiglia, ove ha sempre vissuto sino a circa un anno fa.
Attualmente il ricorrente vive con la famiglia in provincia di Trento, ove la moglie  ha  sottoscritto  un  contratto  di  locazione  e  l’estradando  ha  stipulato  un contratto di lavoro subordinato a termine, che gli viene periodicamente rinnovato.
Al momento dell’arresto a fini estradizionali il ricorrente  era sottoposto alla misura  degli  arresti  domiciliari,  con  autorizzazione  ad  allontanarsi  per  ragioni lavorative, in attesa della fissazione dell’udienza in camera di consiglio per delibare sulla richiesta di una misura alternativa al carcere.
2.2.  Con  il  secondo  motivo,  il  difensore  ha  censurato  la  carenza  della motivazione in ordine alla gradualità della misura cautelare applicata.
La Corte di appello, infatti, ha omesso di motivare sull’idoneità degli arresti domiciliari con braccialetto elettronico a soddisfare le esigenze cautelari ritenute sussistenti nel caso di specie.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, in quanto i motivi proposti sono  diversi  da  quelli  consentiti  dalla  legge  e,  comunque,  manifestamente infondati.
 Il  difensore,  con  il  primo  motivo,  ha  dedotto  la  mancanza  e  la contraddittorietà della motivazione nella parte in cui la Corte di appello ha ritenuto sussistente un presunto pericolo di fuga, a fronte del radicamento del ricorrente in territorio italiano.
Il motivo è inammissibile, in quanto sollecita una rinnovata valutazione degli elementi probatori disponibili, non consentito in sede di legittimità.
3.1. Il vizio di contraddittorietà della motivazione non è, peraltro, deducibile nel caso di specie.
L’art.  719  cod.  proc.  pen.  consente  il  ricorso  per  cassazione  avverso  i provvedimenti relativi alle  misure  cautelari  strumentali all’estradizione  solo  per violazione di legge.
Secondo  il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, pertanto, il ricorso per cassazione avverso i provvedimenti in tema di revoca o sostituzione delle misure cautelari strumentali all’estradizione non è consentito per vizio di motivazione (Sez. 6, n. 40398 del 20/10/2021, NOME, Rv. 282256 01; Sez. 6, n. 29410 del 25/06/2009, M., Rv. 244535 – 01; Cass., Sez. 6, n. 3136 del  7/07/2000,  NOME,  Rv.  217712;  Sez.  6,  n.  1734  del  10/5/1999, NOME, Rv. 214753).
Il sindacato di legittimità sui provvedimenti cautelari in materia di estradizione, dunque, non si estende al controllo dell’ iter giustificativo della decisione, a meno che questo sia del tutto assente, e non può essere dedotta come vizio di motivazione mancante o apparente la sottovalutazione di argomenti difensivi che, in realtà, siano stati presi in considerazione dal giudice o che, comunque, risultino assorbiti dalle argomentazioni poste a fondamento del provvedimento impugnato.
3.2. Il vizio di mancanza  della motivazione denunciato è, peraltro, insussistente.
La Corte di appello, con motivazione non certo apparente, ha rilevato che «ancorché sia stato acquisito un significativo radicamento dello stesso Shokza sul territorio dello Stato, proprio per la circostanza dianzi evidenziata ,  vi  è  il  concreto pericolo  che  l’estradando  (tra  l’altro  condannato  per  fatti  analoghi  dall’autorità
giudiziaria italiana) possa sottrarsi all’esecuzione del provvedimento estradizionale medesimo, dandosi alla fuga».
La  Corte  di  appello,  dunque,  non  ha  pretermesso  il  radicamento  del ricorrente  in  territorio  italiano,  ma  ha  valutato  e  lo  ha  considerato  subvalente rispetto  al  pericolo  di  fuga,  ritenuto  concreto  e  attuale,  sia  in  relazione  alla condanna  riportata  dal  ricorrente  in  territorio  italiano,  che  alle  gravi  accuse formulate nei suoi confronti in Albania.
3.3. Manifestamente infondate sono, inoltre, le censure svolte dal ricorrente relativamente alla mancata motivazione in ordine al pericolo di fuga, in quanto la Corte di appello ha motivato sullo stesso nell’ordinanza genetica e nel provvedimento impugnato era chiamata solo a verificare l’idoneità dell’elemento di novità dedotto, il radicamento del ricorrente in Italia, ad attenuare la pregressa diagnosi cautelare.
 Con  il  secondo  motivo,  il  difensore  ha  censurato  la  carenza  della motivazione  in  ordine  alla  gradualità  della  misura  cautelare  e,  segnatamente, all’idoneità della misura  cautelare  degli arresti domiciliari con  braccialetto elettronico a soddisfare le esigenze cautelari ravvisate nel caso di specie.
Anche questo motivo è manifestamente infondato, in quanto la Corte di appello ha motivato implicitamente sull’applicazione del principio della gradualità della misura cautelare prescelta nel caso di specie, in quanto, con motivazione non meramente apparente (e, dunque, non sindacabile in questa sede), ha ritenuto il pericolo  di  fuga  così  intenso  da  rendere  non  prospettabile  l’applicazione  della misura gradata degli arresti domiciliari.
Alla stregua di tali rilievi, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Il ricorrente deve, pertanto, essere condannato, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento.
Non essendovi ragione di ritenere che il ricorso sia  stato  presentato senza «versare in colpa nella  determinazione  della causa di  inammissibilità»,  in  virtù delle statuizioni della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186,  deve,  altresì,  disporsi  che  il  ricorrente versi  la  somma,  determinata  in via equitativa, di tremila euro in favore della cassa delle ammende.
La cancelleria provvederà agli adempimenti prescritti dall’art. 203 disp. att. cod. proc pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese  processuali  e  della  somma  di  euro  tremila  in  favore  della  cassa  delle ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 203 disp. att. cod. proc pen.
Così deciso in Roma, il 10 settembre 2025.
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME