Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 1305 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 1305 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 16/11/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI TRIESTE
nel procedimento a carico di:
NOME nato il 11/03/2005
avverso l’ordinanza del 06/06/2023 del TRIB. LIBERTA’ di TRIESTE udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME
lette le conclusioni del PG NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso
Ritenuto in fatto
Con ordinanza del 6 giugno 2023 il Tribunale del riesame di Trieste ha confermato l’ordinanza cautelare di applicazione del divieto di dimora nella Regione Friuli – Venezia Giulia nei confronti di NOME COGNOME emessa dal g.i.p. del Tribunale di Trieste il 17 maggio 2023 in relazione al reato di cui agli artt. 12, commi 3 e 3-ter, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, commesso la notte tra il 14 ed il 15 maggio 2023, respingendo l’appello proposto dal pubblico ministero che aveva chiesto l’applicazione della custodia cautelare in carcere.
In particolare, il Tribunale ha ritenuto che non sussista l’esigenza di cautelare il pericolo di fuga mediante la custodia in carcere, perché l’indagato, pur cittadino albanese, risiede ormai in Francia, paese in cui è attivabile il M.A.E., perché lo
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stesso è incensurato, perchè non ha altri procedimenti pendenti, perchè non vi è traccia di altra condotta illecita, perchè non ha fatto uso di documenti falsi ed è in possesso di regolare passaporto albanese, perchè non ha tentato di darsi alla fuga al momento del controllo ed è stato collaborativo, e perchè non risultano altre circostanze inerenti al fatto da cui possa emergere un suo effettivo reale intento di sottrarsi alla giustizia.
Non è, inoltre, corretto il ragionamento dell’appellante, secondo cui la misura sarebbe inadeguata rispetto alle esigenze di reiterazione del reato, attesa la caratura criminale dell’indagato, il ruolo modesto nel fatto quale trasportatore finale degli stranieri, ruolo in cui era facilmente sostituibile; non vi sono d’altronde, elementi per ritenere che l’indagato possa ricoprire ruoli di maggiore importanza nelle organizzazioni criminali; la misura del divieto di dimora è adeguata a soddisfare la esigenza “non intensissima” di prevenzione speciale tenendo il predetto fuori dalla trafficata rotta balcanica ed essendo ragionevole pronosticare che rispetterà la cautela applicatagli.
Avverso il predetto provvedimento ha proposto ricorso il pubblico ministero, con i seguenti motivi, di seguito esposti nei limiti strettamente necessari ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
Con il primo motivo deduce violazione di legge per interpretazione errata della norma dell’articolo 275, comma 3, cod. proc. pen. in punto di presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari, richiamando in particolare l’interpretazione data da Cass. pen., sez. 1, 27/05/2022, n. 20780, COGNOME n.m., e Cass. Pen, sez. 5, 20/02/2023, n. 7229, COGNOME n.m., riguardanti la medesima vicenda, ed in cui la Suprema Corte ha ritenuto che il pericolo di fuga fosse da valutare alla luce della circostanza, riscontrabile anche nel caso in esame, che l’indagato non aveva alcuna dimora, né radicamento, in Italia, in cui era entrato soltanto per commettere il reato, e da cui si sarebbe allontanato immediatamente se non fosse stato scoperto.
Con il secondo motivo deduce il vizio di motivazione sulla presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari per il reato in esame, perché il Tribunale ha, nella sostanza, disapplicato l’esistenza della presunzione, facendo leva erroneamente sul precario domicilio in Francia riferito dall’indagato, che però è cittadino albanese con famiglia d’origine in Albania, e, per di più, in Francia per sua stessa ammissione non regolare, e sulla possibilità che lo stesso possa essere comunque estradato dall’Albania in forza della convenzione bilaterale di assistenza giudiziaria senza rendersi conto che l’estradizione, a differenza del M.A.E., è un atto politico e che non vi sarebbe alcuna certezza circa la possibilità di eseguire la pena nei suoi confronti.
Con il terzo motivo deduce vizio di motivazione sull’art. 274, comma 1, lettera c), cod. proc. pen., perché il traffico di esseri umani è posto in essere da una catena criminale in cui operano molteplici attori; le organizzazioni hanno la possibilità di impiegare in ruoli ed in tratte diverse i passatori bruciati in Italia misura imposta non impedirebbe all’indagato di portare gli immigrati fino ad un metro dal confine con l’Italia e farli proseguire a piedi; la motivazione è, inoltre contraddittoria nella parte in cui sminuisce il fatto ritenendolo conseguenza della mancanza di denaro da parte dell’indagato, motivazione che, però, sul piano logico rende particolarmente attuali le esigenze cautelari, perché deve ritenersi che tale movente sia rimasto anche dopo il fatto, e sia stato verosimilmente acuito dall’arresto a causa della mancata percezione del compenso e della perdita del veicolo.
Con requisitoria scritta il Procuratore Generale, NOME COGNOME ha chiesto il rigetto del ricorso.
Considerato in diritto
Il ricorso è fondato.
1. E’ fondato, anzitutto, il primo motivo.
Nella sentenza Cass. pen., sez. 1, 27/05/2022, n. 20780, COGNOME, n.m., che ha deciso un caso analogo di misura cautelare richiesta per il reato in esame nei confronti di una persona priva di radicamento nel territorio dello Stato, che aveva avuto il compito di trasportare immigrati irregolari fino a pochi chilometri oltre i confine della Repubblica italiana, e di riattraversare il confine nella direzione opposta subito dopo averli lasciati nel territorio nazionale, il giudice di legittimi ha già indicato i principi di diritto da applicare ad una situazione quale quella in esame, evidenziando che “se è corretto affermare che il pericolo di fuga non può essere desunto dalla semplice circostanza dello status di straniero del soggetto agente, è altrettanto innegabile come il discorso giustificativo del giudice della cautela sia incorso nel sillogismo opposto, ossia quello di escludere aprioristicamente la sussistenza di tale esigenza cautelare in un caso, come quello che ci occupa, in cui il carattere temporaneo della presenza sul territorio italiano è funzionale alla commissione del reato (nella specie, il traffico di esseri umani) e rende di difficile realizzazione comportamenti preparatori alla fuga stessa. Nel ribadire il principio per cui il giudice della cautela, in tema di pericolo di fuga, chiamato a svolgere un giudizio prognostico verificabile che deve attagliarsi, di volta in volta, al caso concreto prospettatosi, va qui precisato che la situazione
fattuale oggetto di ricorso – ovverosia quella del soggetto agente di nazionalità straniera, presente nel territorio dello Stato con il quale non ha alcun radicamento e al solo fine di commettere oltre confine condotte criminose, per poi rientrare nel paese di origine – avrebbe richiesto un più articolato e approfondito giudizio, esteso a qualsiasi elemento, desumibile dagli atti, obiettivamente sintomatico di un prossimo pericolo di fuga tale da rendere necessario un tempestivo intervento cautelare”.
Il principio di diritto è stato ulteriormente ribadito nella successiva pronuncia Cass. pen, sez. 5, 20/02/2023, n. 7229, Drobniak, n.m., emessa nella medesima vicenda processuale, in cui, a fronte di una decisione del giudice del rinvio sostanzialmente elusiva del percorso logico imposto dalla pronuncia della Corte di Cassazione, il giudice di legittimità ha ribadito che “il Tribunale distrettuale confonde i principi applicabili alla situazione di persone presenti nel territorio nazionale, con la diversa situazione di NOME NOME, soggetto privo di qualunque legame con l’Italia, la cui presenza sul territorio italiano – come ha già precisato la sentenza rescindente – è funzionale alla commissione” del reato (nella specie, traffico di essere umani), egli vivendo in un Paese, la Serbia, che non riconosce il MAE, per il quale il rientro in patria si risolverebbe nella totale impunità” giungendo, in definitiva, a rinvenire nella decisione del giudice del riesame l’aporia dell’aver preteso “di assimilare la situazione dello straniero radicato sul territorio italiano con quella, qui rilevante, del soggetto di altra nazionalità che giunga sul territorio dello Stato al solo fine di portare a compimento la condotta illecita, senza alcun tipo di collegamento”.
Nel caso oggetto di questo giudizio, a differenza del precedente della vicenda Drobniak scrutinata nelle due sentenze citate, il Tribunale del riesame non nega l’esistenza delle esigenze cautelari, che rinviene nel pericolo di fuga e di reiterazione del reato, ma le ritiene contenibili con il divieto di dimora nel Friuli Venezia Giulia.
Nel primo motivo di ricorso il pubblico ministero, però, sostiene che in questo modo l’ordinanza commette un errore, perché viola la norma dell’articolo 275, comma 3, cod. proc. pen., sulla presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari, applicabile al titolo di reato contestato all’indagato.
L’argomento è fondato, perché, per i reati dell’art. 51, comma 3-bis, cod. proc. pen., quale quello in esame, il terzo periodo dell’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. obbliga il giudice della cautela, una volta ritenuta l’esistenza delle esigenze cautelari, ad applicare “la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari o che, in relazione al caso concreto, le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure”.
Il percorso logico che deve sviluppare il giudice della cautela in presenza di una presunzione relativa di adeguatezza della sola custodia in carcere posta dal legislatore è, quindi, speculare ed opposto rispetto a quello ordinario, dovendo egli partire dal vincolo normativo di dover applicare la misura massima e da lì evidenziare le ragioni, desumibili dagli elementi di cui dispone nel caso concreto, che lo inducono a discostarsi dalla presunzione normativa.
Nella ordinanza impugnata, invece, si legge che la scelta della misura del divieto di dimora in Friuli – Venezia Giulia tiene “nel giusto conto i principi d proporzionalità ed adeguatezza della misura da applicare ed il criterio del minor sacrificio necessario, dovendo la compressione della libertà personale essere contenuta entro i limiti minimi indispensabili a soddisfare le esigenze cautelari del caso concreto”, che è un percorso logico che ricalca quello ordinario dei commi 1 e 2 dell’art. 275 cod. proc. pen., e pretermette del tutto la esistenza della presunzione normativa di adeguatezza della sola custodia in carcere del comma 3 della stessa norma, che in questo modo viene del tutto disapplicata.
E’ corretto anche l’argomento proposto nel secondo motivo di ricorso, che evidenzia l’illogicità di una motivazione, quale quella dell’ordinanza impugnata, che ha ritenuto contenibile il pericolo di fuga di un soggetto privo di qualsiasi radicamento nel territorio dello Stato mediante l’applicazione del divieto di dimora nel Friuli – Venezia Giulia.
Una volta ritenuta l’esistenza del pericolo di fuga, esso, infatti, è logicamente incompatibile con l’applicazione di una misura non custodiale, quale il divieto di dimora, che lascia l’indagato del tutto libero di uscire dal territorio nazionale, sottraendosi in questo modo al procedimento ed al processo.
Il pericolo di fuga è, infatti, la “rilevante plausibilità che l’indagato, se lasci in libertà, si sottragga alla pretesa di giustizia” (Sez. 2, Sentenza n. 2935 del 15/12/2021, dep. 2022, PM in proc. COGNOME, Rv. 282592), ma nel pericolo di sottrazione alla pretesa di giustizia non c’è solo il rischio di non esecuzione della decisione irrevocabile di condanna, come sembra opinare il Tribunale con il riferimento alla possibilità di ottenere l’estradizione dall’Albania, ma anche la possibilità che l’indagato si sottragga ai provvedimenti dell’autorità giudiziaria in fase di indagini, alla celebrazione del processo, o all’esecuzione di ulteriori misure cautelari a suo carico (cfr. Sez. 5, Sentenza n. 7270 del 06/07/2015, dep. 2016, Giugliano, Rv. 267135), con conseguente rischio di allontanamento clandestino da parte della persona (Sez. 6, Sentenza n. 27357 del 19/06/2013, COGNOME, Rv. 256568).
Nel caso in esame, in modo del tutto illogico il divieto di dimora nel territorio regionale è stato ritenuto idoneo a soddisfare l’esigenza cautelare di impedire il
pericolo di fuga, non avendo tale misura ragionevolmente scongiurato il rischio che l’indagato si sia allontanato nelle more dal territorio dello Stato e si sia sottratto in questo modo al procedimento ed al processo a suo carico, ottenendo, mediante il rientro nel paese di provenienza, ciò che, in un precedente analogo, la pronuncia n. 7229 del 2023 sopra citata ha definito la “totale impunità” della persona sottoposta a misura.
Del tutto illogico è, inoltre, il riferimento alla possibilità di attivare nei confr dell’indagato il M.A.E. in Francia, posto che, come evidenziato in ricorso, l’ipotesi che lo stesso dimori stabilmente in Francia è stata ricavata dal Tribunale in modo del tutto congetturale, atteso che essa origina dalle mere dichiarazioni, non riscontrate, dell’indagato, che, per di più, aveva riferito, in realtà, di essere ancora irregolare in Francia (cfr. pagina n. 2 dell’ordinanza, righe nn. 4 e 5).
E’ fondato anche il terzo motivo di ricorso, che contesta la illogicità della motivazione sulla adeguatezza della misura anche in punto di pericolo di reiterazione del reato.
L’ordinanza impugnata ha ritenuto, infatti, che la misura del divieto di dimora sia idonea a tenere “il predetto fuori della trafficata rotta balcanica”. Questa motivazione non resiste alla censura sviluppata in ricorso che evidenzia come essa, in realtà, precludendo allo stesso soltanto di rientrare nel territorio italian attraverso il Friuli – Venezia Giulia, non gli impedisce di continuare ad operare all’interno delle organizzazioni criminali dedite al traffico di immigrati sull “trafficata rotta balcanica” semplicemente con un ruolo diverso da quello che ha ricoperto nella vicenda oggetto di giudizio.
L’ordinanza scrive che non vi sono elementi per ritenere che l’indagato possa ricoprire ruoli di maggiore importanza nelle organizzazioni criminali, ma è una considerazione illogica, perché, per tornare a reiterare il reato, non occorre che egli ricopra un ruolo di maggiore importanza nelle organizzazioni di trafficanti, ma soltanto un ruolo, anche parzialmente, diverso.
L’ordinanza impugnata deve, pertanto, essere annullata con rinvio per nuovo esame, libero nell’esito, ma che tenga conto dei principi di diritto affermati.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di
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Così deciso il 16 novembre 2023
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