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Pericolo concreto e contaminazione: la Cassazione decide

Un dirigente tecnico è condannato per contaminazione idrica da mercurio. La Cassazione dichiara inammissibile il suo ricorso, confermando il pericolo concreto per la salute pubblica, anche se un parere tecnico favorevole era stato emesso dopo l’adozione delle misure di sicurezza.

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Pubblicato il 17 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Contaminazione idrica e pericolo concreto: la Cassazione fa chiarezza

La recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 20210 del 2024, offre un’importante lezione sulla distinzione tra pericolo concreto e pericolo presunto nei reati contro la salute pubblica. Il caso riguarda la responsabilità di un dirigente tecnico di una società di gestione idrica per la contaminazione da mercurio di un serbatoio d’acqua potabile. La Suprema Corte, dichiarando inammissibile il ricorso, ha consolidato principi fondamentali sulla valutazione del rischio e sui requisiti formali dell’impugnazione.

I fatti del caso

Un dirigente tecnico di una società di gestione idrica è stato ritenuto responsabile per aver reso pericolose le acque potabili destinate a un comune di circa 600 abitanti. La causa è stata la rottura di un venturimetro, che ha provocato lo sversamento di mercurio nel serbatoio. Le analisi, effettuate il 9 aprile 2015, hanno rivelato una concentrazione di mercurio di oltre dieci volte superiore ai limiti di legge.

Per questo, il dirigente è stato condannato in primo e secondo grado per il reato di cui agli articoli 440 e 452 del codice penale (cooperazione colposa nel rendere le acque pericolose per la salute pubblica). La Corte d’Appello ha confermato la responsabilità, rideterminando solo la pena e confermando il risarcimento dei danni in favore del Comune, costituitosi parte civile.

Il ricorso in Cassazione e i motivi di doglianza

L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione basandosi principalmente su due motivi:
1. Errata valutazione del pericolo: Secondo la difesa, i giudici di merito avrebbero erroneamente qualificato il reato come di pericolo presunto, senza accertare un pericolo concreto per la salute pubblica. A sostegno di questa tesi, veniva citato un parere dell’ente sanitario nazionale, emesso a giugno 2015, che parlava di “non significatività di rischio per la popolazione”.
2. Prescrizione del reato: La difesa sosteneva che il reato si fosse estinto per prescrizione in una data successiva alla pronuncia della sentenza d’appello.

Le motivazioni della Cassazione: la centralità del pericolo concreto

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, respingendo le argomentazioni della difesa con motivazioni nette e precise. I giudici hanno sottolineato che il ricorso non si confrontava adeguatamente con la ratio decidendi della sentenza impugnata.

La Corte ha chiarito che i giudici di merito avevano correttamente accertato l’esistenza di un pericolo concreto e non presunto. Tale pericolo era insito nello sversamento di una sostanza tossica come il mercurio, in concentrazioni di dieci volte superiori ai limiti, in un serbatoio che serviva centinaia di persone. La valutazione del pericolo deve essere effettuata ex ante, cioè al momento in cui si verifica l’evento potenzialmente dannoso.

Il parere dell’ente sanitario nazionale, che escludeva un rischio significativo, è stato ritenuto irrilevante ai fini della configurazione del reato. Questo perché il parere era stato redatto ex post, cioè dopo che erano state adottate le “misure di risposta”: il divieto di utilizzo dell’acqua contaminata e l’avvio delle operazioni di bonifica. In altre parole, il danno alla popolazione è stato evitato proprio perché il pericolo era stato riconosciuto e arginato, non perché il pericolo non fosse mai esistito. L’intervento tempestivo ha neutralizzato gli effetti, ma non ha cancellato la pericolosità iniziale della condotta.

In merito alla prescrizione, la Corte ha applicato un principio consolidato: l’inammissibilità del ricorso per manifesta infondatezza dei motivi non consente di instaurare un valido rapporto processuale e, di conseguenza, preclude la possibilità di rilevare cause di estinzione del reato maturate in un momento successivo alla decisione impugnata.

Le conclusioni

La sentenza ribadisce un principio cruciale in materia di reati ambientali e contro la salute pubblica: la configurabilità del reato di pericolo si basa sulla potenzialità offensiva della condotta al momento della sua commissione. Le azioni correttive successive, sebbene doverose e idonee a prevenire il danno, non eliminano la rilevanza penale del pericolo originariamente creato. Questa decisione rafforza la tutela della salute pubblica, sottolineando che la responsabilità penale sorge nel momento in cui si crea un rischio tangibile, indipendentemente dal fatto che, per fortuna o per prontezza di intervento, la tragedia venga evitata. Inoltre, la pronuncia serve come monito sull’importanza di formulare ricorsi che affrontino specificamente e criticamente il nucleo logico-giuridico delle sentenze impugnate, pena l’inammissibilità.

Quando si configura un “pericolo concreto” per la salute pubblica in caso di contaminazione?
Si configura quando esiste una probabilità reale e immediata di danno, come nel caso di uno sversamento di mercurio in un serbatoio di acqua potabile in quantità di oltre dieci volte superiore al limite, a prescindere dal fatto che le successive misure di sicurezza abbiano evitato danni effettivi alla popolazione.

Un parere tecnico che esclude il rischio per la popolazione può scagionare l’imputato?
No, se tale parere è stato emesso dopo l’accertamento del fatto e l’adozione di “misure di risposta” (come il divieto di utilizzo dell’acqua). La valutazione del pericolo deve essere fatta al momento del reato, non dopo che il pericolo è stato arginato.

Perché la Corte di Cassazione non ha dichiarato l’estinzione del reato per prescrizione?
Poiché il motivo principale del ricorso è stato dichiarato inammissibile per manifesta infondatezza, non si è instaurato un valido rapporto processuale. Di conseguenza, la Corte non ha potuto esaminare la questione della prescrizione, che peraltro sarebbe maturata in un momento successivo alla data della sentenza d’appello.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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