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Pene sostitutive: richiesta necessaria in appello

Un imputato, condannato per truffa, ha presentato ricorso in Cassazione lamentando la mancata applicazione delle pene sostitutive previste dalla Riforma Cartabia. La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, ribadendo un principio fondamentale: le pene sostitutive devono essere esplicitamente richieste dalla difesa. In assenza di una richiesta, anche nei giudizi d’appello in corso al momento dell’entrata in vigore della riforma, il giudice non ha l’obbligo di valutarne d’ufficio l’applicazione. La sentenza sottolinea l’importanza di un’istanza formale per poter beneficiare delle nuove sanzioni alternative alla detenzione.

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Pubblicato il 12 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Pene Sostitutive in Appello: Necessaria una Richiesta Esplicita

Con la sentenza n. 3853/2025, la Corte di Cassazione torna a pronunciarsi sulla disciplina delle pene sostitutive introdotte dalla Riforma Cartabia, chiarendo un aspetto procedurale di fondamentale importanza: la loro applicazione in appello non è automatica, ma richiede una specifica e tempestiva richiesta da parte della difesa. Questa decisione consolida un orientamento giurisprudenziale che pone in capo all’imputato l’onere di attivarsi per beneficiare delle sanzioni alternative al carcere.

I fatti di causa

Il caso riguarda un individuo condannato in primo grado per il reato di truffa. La sentenza di condanna veniva confermata dalla Corte d’Appello di Trieste. Avverso tale decisione, la difesa proponeva ricorso per Cassazione, basandolo su due motivi principali: uno di carattere procedurale e uno relativo alla mancata applicazione di una pena alternativa alla detenzione.

I motivi del ricorso

La difesa lamentava in primo luogo una presunta nullità derivante dal fatto che il Procuratore Generale presso la Corte d’Appello si era limitato a trasmettere un modulo prestampato senza formulare conclusioni specifiche, violando così il diritto di difesa.

In secondo luogo, e questo è il punto centrale della sentenza, il ricorrente eccepiva che la Corte d’Appello, pur emettendo la sua decisione dopo l’entrata in vigore della Riforma Cartabia (D.Lgs. 150/2022), non aveva in alcun modo motivato la mancata sostituzione della pena detentiva di sei mesi con una delle nuove pene sostitutive. La difesa ammetteva di non aver formulato una richiesta esplicita in tal senso, né in primo grado né in appello, poiché entrambi i giudizi erano iniziati prima della riforma.

La disciplina delle pene sostitutive e la Riforma Cartabia

La Riforma Cartabia ha profondamente innovato il sistema sanzionatorio, ampliando il ricorso alle pene sostitutive delle pene detentive brevi. L’articolo 95 del D.Lgs. 150/2022 ha previsto una disciplina transitoria per garantirne l’applicabilità, in quanto più favorevoli, anche ai procedimenti in corso al momento della sua entrata in vigore, inclusi i giudizi d’appello. La questione sollevata dal ricorrente era se, in virtù di questa disciplina transitoria, il giudice d’appello avesse il dovere di valutare d’ufficio tale possibilità, anche in assenza di una specifica richiesta.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, respingendo entrambi i motivi.

Sul primo punto, ha ribadito che la mancata formulazione delle conclusioni da parte del Pubblico Ministero in appello integra una nullità a regime intermedio, che però può essere fatta valere solo se la difesa dimostra di aver subito un concreto pregiudizio, cosa che nel caso di specie non era avvenuta.

Sul secondo e più rilevante motivo, la Corte ha seguito il suo orientamento consolidato. Ha affermato che, affinché il giudice d’appello sia tenuto a pronunciarsi sull’applicabilità delle pene sostitutive, è necessaria una richiesta in tal senso da parte dell’imputato. Tale richiesta, precisa la Corte, non deve essere necessariamente contenuta nell’atto di impugnazione o in motivi nuovi, ma può intervenire “al più tardi, nel corso dell’udienza di discussione del gravame”.

Poiché nel caso in esame la difesa non aveva mai avanzato tale richiesta prima o durante l’udienza d’appello del 6 marzo 2024, la Corte territoriale non aveva alcun obbligo di motivare sul punto. Il principio, derivante dalla sentenza “Punzo” delle Sezioni Unite, secondo cui il giudice d’appello non ha un potere ufficioso di applicare le sanzioni sostitutive, viene quindi coordinato e confermato anche alla luce della nuova disciplina transitoria. La intentio legislatoris di favorire l’applicazione delle nuove pene non scardina il principio devolutivo dell’appello, che richiede un’iniziativa di parte.

Le conclusioni

La sentenza in esame offre un’indicazione pratica cruciale per gli operatori del diritto: per beneficiare delle pene sostitutive in un giudizio d’appello, è indispensabile che la difesa formuli una richiesta esplicita e tempestiva, al più tardi entro l’udienza di discussione. L’inerzia dell’imputato preclude al giudice la possibilità di applicare d’ufficio le sanzioni alternative, anche se più favorevoli. Di conseguenza, la scelta strategica della difesa diventa determinante per accedere a questo importante strumento sanzionatorio introdotto dalla Riforma Cartabia.

È possibile ottenere l’applicazione delle pene sostitutive in appello senza averle richieste?
No, la Corte di Cassazione chiarisce che è necessaria una richiesta esplicita da parte della difesa. In assenza di tale istanza, il giudice d’appello non è tenuto a valutare d’ufficio l’applicazione delle pene sostitutive, neanche in base alla disciplina transitoria della Riforma Cartabia.

Fino a quando si può presentare la richiesta di pene sostitutive in un giudizio d’appello?
Secondo la sentenza, la richiesta può essere presentata al più tardi nel corso dell’udienza di discussione del gravame davanti alla Corte d’Appello. Non è quindi necessario che sia inserita nell’atto di appello originario o in motivi aggiunti.

La mancata formulazione delle conclusioni da parte del Procuratore Generale in appello determina automaticamente la nullità della sentenza?
No. Sebbene costituisca un’ipotesi di nullità generale a regime intermedio, per farla valere la difesa deve dimostrare di aver subito un concreto e specifico pregiudizio al proprio diritto di difesa a causa di tale omissione. In assenza di tale prova, il motivo di ricorso è infondato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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