Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 12991 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 12991 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 01/03/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOME, nato a Civitavecchia il DATA_NASCITA rappresentato ed assistito dall’AVV_NOTAIO, di fiducia avverso la sentenza in data 09/10/2023 della Corte di appello di Firenze, prima sezione penale;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
preso atto che non è stata richiesta dalle parti la trattazione orale ai sensi degli artt. 611, comma 1 -bis cod. proc. pen., 23, comma 8, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito con modificazioni dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, prorogato in forza dell’art. 5 -duodecíes del d.l. 31 ottobre 2022, n. 1.62, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 dicembre 2022, n. 199 e, da ultimo, dall’art. 17 del dl. 22 giugno 2023, n. 75, convertito con modificazioni dalla legge 10 agosto 2023, n. 112 e che, conseguentemente, il procedimento viene trattato con contraddittorio scritto;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria scritta ex art. 23, comma 8, del d.l. 28 d:tobre 2020, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176 e succ. modif.,
con la quale il Sostituto procuratore generale, NOME COGNOME, ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata; lette le conclusioni della difesa presentate in data odierna non valutabili in quanto tardive.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza in data 09/10/2023, la Corte di appello di Firenze, in parziale riforma della pronuncia resa in primo grado dal Giudice per l’udienza preliminare presso il Tribunale di Grosseto in data 03/11/2022, assolveva NOME COGNOME dal reato di cui al capo 2 (art. 368 cod. pen.) per insussistenza del fatto e rideterminava la pena in relazione al residuo capo 1 (art. 648 cod. pen.) in anni uno, mesi quattro di reclusione ed euro 400 di multa.
Avverso la predetta sentenza, nell’interesse di NOME COGNOME, è stato proposto ricorso per cassazione, i cui motivi vengono di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
Primo motivo: violazione di legge in relazione all’omessa valutazione dell’istanza di sostituzione della pena detentiva depositata in sede di conclusioni cartolari. La richiesta è stata erroneamente dichiarata inammissibile perché proposta solo in sede di conclusioni “cartolari”: detta conclusione è in contrasto con l’insegnamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui l’istanza in parola è scrutinabile allorquando intervenga al più tardi nel corso dell’udienza di discussione in appello.
Secondo motivo: violazione di legge per mancata applicazione dell’art. 62 n. 4 cod. pen. e/o dell’art. 648, secondo comma, cod. pen. Tenuto conto dello svolgimento dei fatti, è indubbio che la persona offesa non ha subìto alcun grave danno patrimoniale o economico dalla condotta del COGNOME, in quanto gli assegni non sono stati bancati o addebitati alla medesima in considerazione della falsità della firma apposta sugli stessi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato in relazione al primo motivo ed inammissibile in relazione al secondo.
Con riferimento al primo motivo, evidenzia il Collegio come questa Suprema Corte abbia recentemente precisato (cfr., Sez. 6, n. 33027 del 10/05/2023, COGNOME, Rv. 285090; Sez. 6, n. 46782 del 29/09/2023, COGNOME, Rv.
285564; Sez. 2, n. 1995 del 19/12/2023, dep. 2024, COGNOME, Rv. 285729; Sez. 4, n. 4934 del 23/01/2024, COGNOME, Rv. 285751) che, ai sensi della disciplina transitoria contenuta nell’art. 95 del d.lgs. n 150/2022 (c.d. riforma Cartabia), affinché il giudice d’appello sia tenuto a pronunciarsi in merito all’applicabilità meno delle nuove sanzioni sostitutive di cui all’art. 20-bis cod. pen., è necessaria una richiesta in tal senso dell’imputato, che deve essere formulata non necessariamente con l’atto di appello o in sede di “motivi nuovi” ex art. 585, comma 4, cod. proc. pen., ma che deve comunque intervenire – al più tardi nel corso dell’udienza di discussione d’appello.
Tale interpretazione, si è rilevato, «non è preclusa dal principio ricavato dall’art. 597, comma 5, cod. proc. pen., secondo cui il giudice non ha il potere di applicare d’ufficio le sanzioni sostitutive in assenza di specifica richiesta sul punto formulata con l’atto d’appello, non rientrando le sanzioni sostitutive tra le ipotesi tassativamente indicate dalla suindicata norma. Detto principio deve essere, infatti, coordinato con la disciplina transitoria, che sancisce espressamente l’applicabilità delle nuove pene sostitutive, in quanto più favorevoli, ai giudiz d’appello in corso all’entrata in vigore del d.lgs. n. 150/2022, senza porre limitazioni attinenti alla fase, introduttiva o decisoria, del giudizio stesso. Pertant la richiesta dell’imputato può essere formulata con l’atto d’appello, con i motivi nuovi, o anche nel corso della discussione del giudizio d’appello. Si tratta dell’interpretazione maggiormente conforme all’intenzione del legislatore di favorire la più ampia applicazione delle pene sostitutive».
Fermo quanto precede, ritiene il Collegio che detta interpretazione vada ulteriormente riaffermata.
Non appare condivisibile, infatti, la diversa ricostruzione della suindicata disciplina transitoria fatta propria da altra recente pronuncia (Sez. 6, n. 41313 del 27/09/2023, COGNOME, non mass.) che ha ritenuto che la richiesta in tal senso formulata in sede di giudizio di gravame non è idonea ad attribuire il relativo potere decisorio al Giudice di appello «se nell’atto di appello non risulta formulata alcuna specifica e motivata richiesta in merito» considerato «che le eccezioni tassativamente indicate dall’art. 597, comma 5, cod. proc. ben., (eccezione alla regola generale del principio devolutivo dell’appello) non autorizzano alcuna estensione generalizzata alla possibilità di sostituire la pena detentiva previsto dall’art. 58 della legge n. 689 del 1981 (Sez. U, n. 12872 del 19/01/2017, Punzo, Rv. 269125 – 01)».
Detta pronuncia ha poi rilevato che «la lettura congiunta, pertanto, della disposizione di cui all’art. 545-bis e 597, comma 1, cod. proc. pen. in uno all’art. 95, d.lgs. n. 150 del 2022 impone di ritenere che affinché possa essere richiesta in sede di appello la pena sostitutiva di pene detentive brevi (materia
eminentemente deputata ad essere trattata dal giudice di primo grado ed in via transitoria consentita al Giudice di appello dalla citata norma) la stessa debba essere veicolata attraverso i tipici strumenti processuali individuati per il regime delle impugnazioni in genere e dell’appello in particolare attraverso i motivi nuovi, quando ciò, ovviamente, sia in concreto possibile», concludendo che la formulazione della relativa richiesta solo in sede di conclusioni del giudizio di appello è inammissibile per l’impossibilità di ampliare d’ufficio il tema devoluto alla Corte di appello con i motivi di gravame. Invero, detta argomentazione – che replica il ragionamento operato dalle Sezioni unite nella sentenza “Punzo” in ordine alla richiesta di applicazione in appello delle sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi ex art. 53 della legge n. 689 del 1981 – non tiene adeguatamente conto che il d.lgs. n. 150 del 2022 ha dettato una apposita disciplina transitoria il cui significato, per il giudizio di appello, è proprio quello di ampliare l’ambi applicativo della sostituzione oltre i limiti ricavabili dal mero innes nell’ordinamento penale delle nuove “pene sostitutive”.
In tal senso, sembra possa leggersi anche l’indicazione presente nella Relazione illustrativa al decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150 (in Supplemento speciale n. 5 alla Gazzetta Ufficiale, serie generale n. 245 del 19.10.2022, p. 429) secondo cui “L’applicabilità delle nuove pene sostitutive nei giudizi di impugnazione può apparire distonica; è tuttavia imposta dal rispetto del principio di retroattività della lex mitior una diversa scelta si esporrebbe al rischio di una dichiarazione di illegittimità costituzionale – e, comunque, promette possibili effetti deflattivi (ad es., nel contesto del c.d. patteggiamento in appello)”.
Alla luce delle suesposte considerazioni, va confermato che anche la richiesta formulata dall’imputato nel corso dell’udienza di discussione nel giudizio di appello impone al giudice del gravame di pronunciarsi sulla invocata sostituzione della pena detentiva con le nuove sanzioni alternative, risultando – nella fattispecie – errata la valutazione operata dal giudice del provvedimento impugnato di non delibare la richiesta solo perché proposta in sede di conclusioni “cartolari”.
Non scrutinabile per tardività di proposizione è il secondo motivo.
Invero, la doglianza in parola non risulta essere stata previamente dedotta come motivo di appello secondo quanto è prescritto a pena di inammissibilità dall’art. 606, comma 3, cod. proc. pen., come si evince dall’atto di appello.
Al riguardo, si osserva in premessa come, in tema di ricorso per cassazione, la regola ricavabile dal combinato disposto degli artt. 606, comma terzo, e 609, comma secondo, cod. proc. pen. – secondo cui non possono essere dedotte in cassazione questioni non prospettate nei motivi di appello, tranne che si tratti di questioni rilevabili di ufficio in ogni stato e grado del giudizid o di quelle che n
sarebbe stato possibile dedurre in grado d’appello – trova la sua “ratio” nella necessità di evitare che possa sempre essere rilevato un difetto di motivazione della sentenza di secondo grado con riguardo ad un punto del ricorso, non investito dal controllo della Corte di appello, perché non segnalato con i motivi di gravame (cfr., Sez. 4, n. 10611 del 04/12/2012, dep. 2013, Bonaffini, Rv. 256631).
Il parametro dei poteri di cognizione del giudice di legittimità è delineato dall’art. 609, comma 1, cod. proc. pen., il quale ribadisce in forma esplicita un principio già enucleato dal sistema, e cioè la commisurazione della cognizione di detto giudice ai motivi di ricorso proposti. Detti motivi – contrassegnati dall’inderogabile “indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi d fatto” che sorreggono ogni atto d’impugnazione (art. 581, comma 1, lett. c) cod. proc. pen., e art. 591, comma 1, lett. c) cod. proc. pen. – sono funzionali alla delimitazione dell’oggetto della decisione impugnata ed all’indicazione delle relative questioni, con modalità specifiche al ricorso per cassazione.
La disposizione in esame deve, infatti, essere letta in correlazione con quella del citato art. 606, comma 3, cod. proc. pen. nella parte in cui prevede la non deducibilità in cassazione delle questioni non prospettate nei motivi di appello. Il combinato disposto delle due norme impedisce, pertanto, la proponibilità in cassazione di qualsiasi questione non prospettata in appello, e costituisce un rimedio contro il rischio concreto di un annullamento, in sede di cassazione, del provvedimento impugnato, in relazione ad un punto intenzionalmente sottratto alla cognizione del giudice di appello.
6. Da qui:
-l’annullamento della sentenza impugnata limitatamente alla valutazione inerente alla conversione della pena detentiva irrogata all’imputato, con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Firenze;
-la declaratoria di inammissibilità nei resto del ricorso con irrevocabilità dell’affermazione di responsabilità.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla valutazione inerente alla conversione della pena detentiva irrogata all’imputato, con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Firenze. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso ed Così deciso in Roma il 01/03/2024. irrevocabile l’affermazione di responsabilità.