Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 1995 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 1995 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 19/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da
Di COGNOME NOME, nata a Lanciano il DATA_NASCITA
rappresentata ed assistita dall’AVV_NOTAIO, di fiducia avverso la sentenza in data 29/03/2023 della Corte di appello di L’Aquila;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
preso atto che non è stata richiesta dalle parti la trattazione orale ai sensi degli artt. 611, comma 1-bis cod. proc. pen., 23, comma 8, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito con modificazioni dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, prorogato in forza dell’art. 5-duodecies del d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 dicembre 2022, n. 199 e, da ultimo, dall’art. 17 del d.l. 22 giugno 2023, n. 75, convertito con modificazioni dalla legge 10 agosto 2023, n. 112 e che, conseguentemente, il procedimento viene trattato con contraddittorio scritto;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria scritta ex art. 23, comma 8, del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176 e succ. modif., con la quale il Sostituto procuratore generale, NOME COGNOME, ha concluso chiedendo di dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza in data 29/03/2023, la Corte di appello di L’Aquila confermava la pronuncia resa in primo grado dal Tribunale di Pescara in data 29/05/2020, con la quale NOME COGNOME era stata condannata alla pena di mesi quattro di reclusione ed euro 40 di multa per i reati di cui agli artt. 494 e 640 cod. pen.
Avverso la predetta sentenza, nell’interesse di NOME COGNOME, è stato proposto ricorso per cassazione, per i sottoindicati motivi enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
Primo motivo: vizio di motivazione in relazione all’affermazione della penale responsabilità ed all’offensività della condotta, con travisamento della prova. La Corte territoriale ha taciuto due essenziali elementi di prova risultanti dagli atti di indagine che portano ad un’evidente discrasia tra gli atti processuali e la motivazione della sentenza: la ricorrente ha, infatti, fornito argomentazioni idonee ad evidenziare la grossolanità della contraffazione del mezzo di pagamento che la stessa aveva utilizzato per porre in essere la condotta contestata, il quale era già stato definito dal AVV_NOTAIO Capo della Polizia di AVV_NOTAIO come “palesemente non genuino”; la persona offesa, NOME COGNOME, nel verbale di denuncia-querela presentato il 30/01/2018, aveva altresì dichiarato che “si notavano delle cancellature sottostanti” sull’assegno in questione. Da qui l’inidoneità in concreto dell’artificio a trarre in inganno la persona offesa.
Secondo motivo: vizio di motivazione con riferimento all’art. 597 cod. proc. pen. per omessa pronuncia sulla richiesta di applicazione delle pene sostitutive di cui all’art. 20 -bis cod. pen. avanzata in sede di conclusioni depositate in data 14/03/2023.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato in relazione al secondo motivo, mentre è inammissibile con riferimento a primo motivo.
Aspecifico, propositivo di non consentite censure in fatto e comunque manifestamente infondato è il primo motivo.
La ricorrente sostanzialmente si limita a riprodurre una serie di deduzioni già ampiamente vagliate e correttamente disattese dalla Corte distrettuale, ovvero a sollecitare una rivisitazione meramente fattuale delle correlative risultanze processuali, poiché imperniata sul presupposto di una valutazione alternativa delle
fonti di prova, in tal guisa richiedendo l’esercizio di uno scrutinio improponibile in questa sede, a fronte della linearità e della logica conseguenzialità che caratterizzano la scansione delle sequenze motivazionali dell’impugnata decisione. Sotto tali profili, dunque, il motivo di ricorso non è volto a rilevare mancanze argomentative ed illogicità ictu ocu/i percepibili, bensì ad ottenere un non consentito sindacato su scelte valutative compiutamente giustificate dal Giudice di appello, che ha adeguatamente ricostruito il compendio storico-fattuale posto a fondamento dei temi d’accusa enucleati con riferimento alle condotte oggetto dei rispettivi capi d’imputazione in narrativa richiamati.
Si è dinanzi, in definitiva, ad un quadro argonnentativo logicamente articolato nelle premesse e nelle relative conclusioni, esulando, come è noto, dai poteri di questa Suprema Corte quello di una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è riservata in via esclusiva al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa valutazione delle risultanze processuali dal ricorrente ritenute più adeguate (Sez. U, n. 6402 del 02/07/1997, Dessimone, Rv. 207945).
La Corte di legittimità, infatti, non può sostituire una propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di giudizio, dovendo saggiare la tenuta logica della pronuncia sottoposta alla sua cognizione senza oltrepassare i limiti di un accertamento della coerenza strutturale della sentenza in sè e per sè considerata, accertamento che deve necessariamente condursi alla stregua degli stessi parametri valutativi che geneticamente le danno corpo, ancorché questi siano, in ipotesi, sostituibili da altri.
L’indagine sul discorso giustificativo della decisione impugnata, pertanto, ha un orizzonte percettivo delimitato al riscontro dell’esistenza di un logico apparato argonnentativo sui vari temi ivi apprezzati, non potendosi mai sovrapporre nella verifica dell’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è giovato per sostenere il suo convincimento o della loro rispondenza alle acquisizioni processuali. L’illogicità della motivazione come vizio denunciabile deve essere, per ciò, inevitabilmente palese e di immediata riconoscibilità: nel caso di specie, invero, l’adeguatezza e logicità (nel senso appena specificato) della motivazione della sentenza impugnata non sono state minimamente aggredite dal ricorrente, limitatosi a prospettare critiche sulle valutazioni dalla Corte territorial rese in ordine alla fondatezza ed ai risultati del materiale probatorio sottoposto al suo esame, delineandone, tuttavia, una diversa ed alternativa lettura, la cui rivisitazione, come già osservato, non è in alcun modo percorribile in questa sede. In particolare, la Corte territoriale ha affermato che “… mediante reperti documentali in atti, è possibile verificare come il titolo non si palesi – a prima vista
– con sottolineature o altri segni di riconoscimento di un quale vizio, presentandosi, invece, integro e completo in ogni elemento, ivi compreso il numero identificativo. Peraltro, proprio in ordine a quest’ultimo aspetto, vi è perfetta congruenza tra l’assegno incriminato e quello oggetto di denuncia dall’effettivo intestatario del blocchetto identificativo (nelle produzion documentali, è presente il verbale di querela del 27.12.2017 a firma della Sig.ra NOME, intestataria del blocchetto di assegni con identificativo n. 0217714698) …”. Con queste argomentate conclusioni, la ricorrente omette di confrontarsi, preferendo la “strada”, conducente all’inammissibilità, della sostanziale reiterazione del motivo di appello.
3. Fondato è, invece, il secondo motivo. Invero, questa Suprema Corte ha recentemente precisato (Sez. 6, n. 33027 del 10/05/2023, Agostino, Rv. 285090-01) che ai sensi della disciplina transitoria contenuta nell’art. 95 del d.lgs. n 150/2022 (c.d. riforma Cartabia), affinché il giudice d’appello sia tenuto a pronunciarsi in merito all’applicabilità o meno delle nuove sanzioni sostitutive di cui all’art. 20-bis cod. pen., è necessaria una richiesta in tal senso dell’imputato, che deve essere formulata non necessariamente con l’atto di appello o in sede di “motivi nuovi” ex art. 585, comma 4, cod. proc. pen., ma che deve comunque intervenire – al più tardi – nel corso dell’udienza di discussione d’appello. Tale interpretazione, si è rilevato, «non è preclusa dal principio ricavato dall’art. 597, comma 5, cod. proc. pen., secondo cui il giudice non ha il potere di applicare d’ufficio le sanzioni sostitutive in assenza di specifica richiesta sul punto formulata con l’atto d’appello, non rientrando le sanzioni sostitutive tra le ipotesi tassativamente indicate dalla suindicata norma. Detto principio deve essere, infatti, coordinato con la disciplina transitoria, che sancisce espressamente l’applicabilità delle nuove pene sostitutive, in quanto più favorevoli, ai giudizi d’appello in corso all’entrata in vigore del d.lgs. n. 150/2022, senza porre limitazioni attinenti alla fase, introduttiva o decisoria, del giudizio stesso. Pertanto, la richiesta dell’imputato può essere formulata con l’atto d’appello, con i motivi nuovi, o anche nel corso della discussione del giudizio d’appello. Si tratta dell’interpretazione maggiormente conforme all’intenzione del legislatore di favorire la più ampia applicazione delle pene sostitutive». Detta interpretazione è stata ulteriormente ribadita da Sez. 6, n. 46782 del 29/09/2023, COGNOME, non mass. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Fermo quanto precede, ritiene il Collegio che detta interpretazione vada ulteriormente riaffermata.
Non appare condivisibile, infatti, la diversa ricostruzione della suindicata disciplina transitoria fatta propria da altra recente pronuncia (Sez. 6, n. 41313 del
27/09/2023, COGNOME, non mass.) che ha ritenuto che la richiesta in tal senso formulata in sede di giudizio di gravame non è idonea ad attribuire il relativo potere decisorio al Giudice di appello «se nell’atto di appello non risulta formulata alcuna specifica e motivata richiesta in merito» considerato «che le eccezioni tassativamente indicate dall’art. 597, comma 5, cod. proc. pen., (eccezione alla regola generale del principio devolutivo dell’appello) non autorizzano alcuna estensione generalizzata alla possibilità di sostituire la pena detentiva previsto dall’art. 58 della legge n. 689 del 1981 (Sez. U, n. 12872 del 19/01/2017, Punzo, Rv. 269125 – 01)».
Detta pronuncia ha poi rilevato che «la lettura congiunta, pertanto, della disposizione di cui all’art. 545-bis e 597, comma 1, cod. proc. pen. in uno all’art. 95, d.lgs. n. 150 del 2022 impone di ritenere che affinché possa essere richiesta in sede di appello la pena sostitutiva di pene detentive brevi (materia eminentemente deputata ad essere trattata dal giudice di primo grado ed in via transitoria consentita al Giudice di appello dalla citata norma) la stessa debba essere veicolata attraverso i tipici strumenti processuali individuati per il regime delle impugnazioni in genere e dell’appello in particolare attraverso i motivi nuovi, quando ciò, ovviamente, sia in concreto possibile», concludendo che la formulazione della relativa richiesta solo in sede di conclusioni del giudizio di appello è inammissibile per l’impossibilità di ampliare d’ufficio il tema devoluto alla Corte di appello con i motivi di gravame. Invero, detta argomentazione – che replica il ragionamento operato dalle Sezioni unite nella sentenza “Punzo” in ordine alla richiesta di applicazione in appello delle sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi ex art. 53 della legge n. 689 del 1981 – non tiene adeguatamente conto che il d.lgs. n. 150 del 2022 ha dettato una apposita disciplina transitoria il cui significato, per il giudizio di appello, è proprio quello di ampliare l’ambito applicativo della sostituzione oltre i limiti ricavabili dal mero innest nell’ordinamento penale delle nuove “pene sostitutive”. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
In tal senso, sembra possa leggersi anche l’indicazione presente nella Relazione illustrativa al decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150 (in Supplemento speciale n. 5 alla Gazzetta Ufficiale, serie generale n. 245 del 19.10.2022, p. 429) secondo cui “L’applicabilità delle nuove pene sostitutive nei giudizi di impugnazione può apparire distonica; è tuttavia imposta dal rispetto del principio di retroattività della lex mitior una diversa scelta si esporrebbe al rischio di una dichiarazione di illegittimità costituzionale – e, comunque, promette possibili effetti deflattivi (ad es., nel contesto del c.d. patteggiamento in appello)”.
Alla luce delle suesposte considerazioni, va confermato che anche la richiesta formulata dall’imputato nel corso dell’udienza di discussione nel giudizio
di appello impone al giudice del gravame di pronunciarsi sulla invocata sostituzione della pena detentiva con le nuove sanzioni alternative.
Ciò considerato, nel caso di specie, risulta come la difesa della COGNOME, con pec in data 14/03/2023, avesse inoltrato le proprie conclusioni scritte contenenti, in via principale, la richiesta di riforma della gravata sentenza di primo grado e, in via subordinata, la richiesta di applicazione delle pene di cui all’art. 20bis cod. pen. (lavoro di pubblica utilità sostitutivo, pena pecuniaria sostitutiva, detenzione domiciliare sostitutiva): richiesta, del tutto rituale, che veniva inopinatamente disattesa dalla Corte territoriale che, in modo del tutto ingiustificato, ometteva di fornire qualsivoglia risposta sulla meritevolezza o meno del beneficio.
4. Da qui:
-l’annullamento della sentenza impugnata limitatamente alla statuizione sulla richiesta di sanzioni sostitutive con rinvio per nuovo giudizio sul punto alla Corte di appello di Perugia;
-la declaratoria di inammissibilità del ricorso nel resto;
-la declaratoria di irrevocabilità della sentenza in ordine all’affermazione della penale responsabilità dell’imputata.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla statuizione sulla richiesta di sanzioni sostitutive con rinvio per nuovo giudizio sul punto alla Corte di appello di Perugia. Dichiara inammissibile il ricorso nel resto. Visto l’art. 624 cod. proc. pen. dichiara la irrevocabilità della sentenza in ordine all’affermazione della penale responsabilità dell’imputata.
Così deciso in Roma il 19/12/2023.