Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 11715 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 11715 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 24/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOME COGNOME (alias NOME), nato in Ghana il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 30/01/2023 della Corte di appello di Trieste lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata limitatamente alla richiesta di pena sostitutiva, con
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; l’inammissibilità del ricorso nel resto.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte di appello di Trieste confermava la sentenza del Tribunale di Udine dell’Il ottobre 2021, con la quale era stato condannato, all’esito di giudizio abbreviato, l’imputato NOME COGNOME per il reato di evasione alla pena ritenuta di giustizia.
Avverso la suddetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, denunciando, a mezzo di difensore, i motivi di annullamento, di seguito sintetizzati conformemente al disposto dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Violazione di legge in relazione agli artt. 42, 54 e 59 cod. pen. e al ritenuto dolo del reato e all’esclusione della causa di giustificazione dello stato di necessità anche in forma putativa.
Il ricorrente ha spiegato che l’uscita dalla abitazione, dove era ristretto, era dovuta alla necessità di ricaricare il cellulare (non potendo pertanto comunicare con gli uffici di polizia) e nel ritorno si era imbattuto in conoscenti fermandosi solo per il tempo di un saluto (e non per chiacchierare come ritenuto dai giudici).
Erroneamente la Corte di appello ha accertato la sussistenza del dolo del reato, non riconoscendo la causa di giustificazione, anche sotto il profilo putativo.
2.2. Violazione di legge in relazione agli artt.131-bis e 101 cod. pen. per aver escluso la causa di non punibilità.
La Corte di appello non ha effettuato il bilanciamento di tutte le circostanze del caso, quali l’occasionalità ed eccezionalità della condotta, i motivi della evasione e il percorso di risocializzazione intrapreso dal ricorrente; non ha considerato la finalità dell’istituto (la “rieducazione del condannato”) compromessa dall’esecuzione di una nuova pena; ha errato nel ritenere l’evasione della stessa indole del reato di resistenza a pubblico ufficiale (in ogni caso i due precedenti penali per resistenza sono risalenti nel tempo).
2.3. Violazione di legge in relazione agli artt. 132, 133, 62-bis cod. pen. e vizio di motivazione sul trattamento sanzionatorio.
La Corte di appello, ricalcando la motivazione del primo giudice, non ha considerato le deduzioni difensive a sostegno di un più contenuto trattamento sanzionatorio.
In modo contraddittorio, viene dato rilievo alla biografia criminale del ricorrente e alla sua personalità, nonostante l’esclusione della recidiva (motivata in ragione della non identità di situazioni e della non eccessiva gravità dei precedenti).
Il giudice di merito non si è attenuto ai pnncipi di diritto in tema di determinazione della pena.
2.4. Violazione di legge in relazione agli artr,53 e 58 I. 689 del 1981 e vizio di motivazione sulla mancata applicazione della pena sostitutiva, alla luce della recente riforma.
La Corte di appello, nonostante la pena rientrasse in quelle per le quali è consentita l’applicazione di sanzioni sostitutive, anche tenendo conto della p favorevole normativa entrata in vigore con la riforma Cartabia (d. Igs. n. 150/4el 2022), non ha motivato 9Lriguardo.
Disposta la trattazione scritta del procedimento, ai sensi dell’art. 23, comma 8, del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, conv. dalla I. 18 dicembre 2020, e succ. modd., in mancanza di richiesta nei termini ivi previsti di discussione orale, il AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO ha depositato conclusioni scritte, come in epigrafe indicate.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è complessivamente da rigettare per le ragioni di seguito illustrate.
Il primo motivo declina censure che non superano il vaglio di ammissibilità.
Il ricorrente ripropone in questa Sede la questione sollevata con l’appello in ordine all’assenza dell’elemento soggettivo del reato e della ricorrenza della causa di giustificazione di cui all’art. 54 cod. pen., con argomenti da un lato di puro fatto (quanto alla ricostruzione della vicenda) e dall’altro meramente oppositivi e aspecifici rispetto alla motivazione della sentenza impugnata, che ha affrontato il punto con ragionamento lineare e giuridicamente corretto.
Il ricorrente infatti confonde il dolo del reato con i motivi a delinquere.
L’evasione, consistente nell’allontanamento del detenuto agli arresti o detenzione domiciliari, richiede – come ha rilevato la Corte di appello – il dolo generico, caratterizzato dalla consapevolezza di allontanarsi in assenza della necessaria autorizzazione, a nulla rilevando i motivi che hanno determinato la condotta dell’agente (tra tante, Sez. 6, n. 19218 del 08/05/2012, Rv. 252876).
Quanto poi alla causa di giustificazione, la Corte di appello ha ritenuto la tesi difensiva del tutto inverosimile, in quanto generica e sfornita pur solo di circostanziati elementi ricostruttivi (Sez. 5, n, 22040 del 21/02/2020, Rv. 279356), oltre che non configurante in ogni caso, neppure in forma putativa, una situazione indilazionabile e cogente tale da non lasciare alla persona altra alternativa che quella di violare la legge.
Quanto alla causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen., va rilevato che sin dal primo grado i giudici di merito avevano ritenuto la condotta del ricorrente non occasionale, ma abituale, in considerazione dei precedenti penali relativi a reati della “stessa indole”.
In ordine al significato di tale espressione contenuta nell’art. 131-bis cod. pen., come hanno rammentato le Sezioni Unite (Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016, Tushaj, in motivazione, § 16), occorre far riferimento all’art. 101 cod. pen. che reca una definizione di illecito della stessa indole, individuando due categorie: u a
formale, riferita alla violazione della stessa disposizione di legge, ed una per così dire sostanziale, connessa ai caratteri fondamentali comuni dovuti alla natura dei fatti che li costituiscono o ai motivi determinanti.
La categoria sostanziale individua diversi parametri, di cui va rimarcata la alternatività, e che, per espressa enunciazione della definizione legale, afferiscono ai casi concreti. Il primo parametro, d’impronta oggettiva, attiene alla natura dei fatti. L’altro, soggettivo, coglie i motivi determinanti, le finalità delle condotte.
Correttamente, la Corte di appello ha applicato tali princlPi, valorizzando aspetti che rendevano evidente l’inclinazione del ricorrente verso un’identica tipologia criminosa.
Quanto poi al dato temporale, le Sezioni Unite hanno inoltre chiarito che dall’analisi del tenore letterale e del contenuto complessivo della disposizione in esame non sono previsti limiti di ordine temporale all’efficacia della condizione ostativa dell’abitualità del comportamento, con il logico corollario che il reato o i reati “precedenti” possono essere anche assai risalenti nel tempo rispetto a quello oggetto del giudizio (Sez. U, n. 18891 del 27/01/2022, COGNOME, in motivazione).
Alla luce di tali prinÙpi, il motivo si presenta manifestamente infondato.
Sul punto del trattamento sanzionatorio, il ricorrente mira soltanto ad una rivalutazione delle emergenze processuali, opponendosi meramente, con rilievi aspecifici e anche palesemente errati (quanto ai rapporti con la recidiva, tra le tante, Sez. 3, n. 45528 del 15/03/2018, Rv. 273963), al ragionamento giustificativo della Corte di appello che ha affrontato tutte le deduzioni difensive, indicando i fattori decisivi in funzione della scelta del trattamento sanzionatorio.
L’ultimo motivo non appare fondato.
5.1. Al momento in cui la Corte ha deciso l’appello del ricorrente era già entrata in vigore la riforma operata dal d.lgs. n. 150 del 2022 (c.d. riforma Cartabia) in tema di pene sostitutive.
Secondo l’orientamento maggioritario, formatosi sulla applicazione della disciplina transitoria contenuta nell’art. 95 di tale decreto legislativo, affinché giudice di appello sia tenuto a pronunciarsi in merito all’applicabilità o meno delle nuove pene sostitutive delle pene detentive brevi di cui all’art. 20-bis cod. pen., è necessaria una richiesta in tal senso dell’imputato, da formulare non necessariamente con l’atto di gravame, ma che deve comunque intervenire, al più tardi, nel corso dell’udienza di discussione in appello (Sez. 6, n. 33027 del 10/05/2023, Rv. 285090).
Nel caso in esame, risulta dalla sentenza impugnata che, nel dell’udienza celebrata il 30 gennaio 2023 con la partecipazione delle parti (asse e
l’imputato), il difensore del ricorrente aveva avanzato la richiesta di sostituzione della pena detentiva con quella della “detenzione domiciliare”.
Anche a voler tacere della genericità del motivo quanto alla legittimazione del difensore e all’oggetto effettivo della richiesta (secondo il difensore relativo anche al lavoro di pubblica utilità), non può ravvisarsi comunque il vizio dedotto.
L’applicazione di una pena sostitutiva non costituisce infatti un diritto soggettivo dell’imputato, essendo il giudice investito di un potere discrezionale al riguardo, il cui esercizio, se adeguatamente motivato, non è sindacabile nel giudizio di legittimità, così come previsto per i criteri dettati dall’art. 133 cod. pe ai fini della determinazione della pena (cfr. Sez. 6, n. 43263 del 13/09/2023, Rv. 285358).
In base all’art. 58 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (nella versione novellata dal citato decreto legislativo del 2022), il “potere discrezionale del giudice nell’applicazione e nella scelta delle pene sostitutive” della pena detentiva va esercitato sulla base dei “criteri indicati nell’articolo 133 del codice penale” per stabilire se le pene sostitutive risultino più idonee sia alla rieducazione del condannato sia “anche attraverso opportune prescrizioni” ad assicurare “la prevenzione del pericolo di commissione di altri reati”. Si precisa inoltre che a tale sostituzione non può farsi luogo quando “sussistono fondati motivi per ritenere che le prescrizioni non saranno adempiute dal condannato”.
In tale discrezionalità si concretizza il bilanciamento degli interessi in gioco, tra la doverosa esecuzione della pena e la prevenzione di effetti negativi e distorsivi.
5.2. Fatta questa premessa, non può dirsi che la Corte di appello nel caso in esame abbia omesso di pronunciarsi sulla richiesta difensiva.
Secondo un principio pacifico, non è censurabile, in sede di legittimità, la sentenza che non motivi espressamente in relazione a una specifica deduzione prospettata con il gravame, quando il suo rigetto risulti dalla complessiva struttura argomentativa della sentenza (Sez. 4, n. 5396 del 15/11/2022, dep. 2023, Rv. 284096).
La Corte di appello nel corpo della motivazione si è particolarmente soffermata (indicando gli elementi giustificativi) sulla incapacità del ricorrente di “rispettar le prescrizioni imposte dall’autorità, anche costo di commettere ulteriori violazioni”, così pervenendo ad una prognosi di inadempimento ostativa alla richiesta sostituzione.
Questa valutazione conteneva pertanto un giudizio prognostico negativo , incompatibile con la applicazione della pena sostitutiva. GLYPH (c
Alla stregua delle osservazioni che precedono il ricorso va rigettato con le conseguenze di legge in punto di spese.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso il 4/01/2024.