Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 7342 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2   Num. 7342  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 20/12/2023
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOME NOME a SAN GIOVANNI IN PERSICETO il DATA_NASCITA COGNOME NOME NOME a SAN GIOVANNI IN PERSICETO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 20/02/2023 della CORTE APPELLO di BOLOGNA
visti gli atti, il provvedimento impugNOME e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME, che ha chiesto annullarsi la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME limitatamente alle sanzioni sostitutive, con declaratoria nel resto del ricorso, e dichiarare inammissibile il ricorso di COGNOME;
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Bologna, con sentenza del 20 febbraio 2023, confermava la sentenza di primo grado nella parte in cui COGNOME NOME e COGNOME NOME erano stati ritenuti responsabili del reato di truffa aggravata ai danni di COGNOME NOME; secondo il capo di imputazione, gli imputati avrebbero finto un inesistente rapporto di parentela con la persona offesa, rappresentato falsamente a quest’ultima inesistenti difficoltà economiche per motivi di salute, prodotto documentazione contraffatta a firma del AVV_NOTAIO avente ad oggetto una inesistente eredità in favore di COGNOME NOME, inganNOME la persona offesa attraverso telefonate nelle quali venivano rappresentati come interlocutori un direttore di banca, un cancelliere ed un giudice, così convincendo la COGNOME ad effettuare un prestito in favore degli imputati, mai restituito.
1.1 Avverso la sentenza propone ricorso il difensore di COGNOME NOME e COGNOME NOME, lamentando la mancata assunzione di una prova decisiva, con riguardo ad una perizia grafologica, oggetto di richiesta sin dal primo grado di giudizio, rinnovata in appello ai sensi dell’art. 603 cod. proc. pen., sulla lettera del AVV_NOTAIO, in modo da dissipare qualsiasi dubbio sulla paternità dello scritto, in nessun modo riconducibile agli imputati, e che era stata posta alla base della dichiarata responsabilità degli imputati; sul punto, nessuna risposta era stata fornita dalla Corte di appello.
1.2 II difensore eccepisce l’inosservanza ed erronea applicazione della legge penale in relazione alla ritenuta sussistenza degli elementi oggettivi e soggettivi del reato di truffa, in presenza di fatti qualificabili alla stregu norme civilistiche afferenti alla mancata restituzione di somme di denaro ricevute in prestito, e quindi qualificabili come semplici inadempimenti contrattuali; in ogni caso, vi era la sussistenza di un falso grossolano non punibile ex art. 49 comma 2 cod. pen.; rileva che il rapporto di parentela, le gravi difficoltà economiche e di salute erano reali e concrete, circostanze su cui la Corte di appello non aveva speso una parola, così come sul tema delle ricevute sottoscritte da parte degli imputati, che testimoniavano l’assenza di qualsiasi dolo da parte degli stessi, che avevano sempre dichiarato che avrebbero restituito le somme (circostanza confermata dalla COGNOME e risultante anche dalle richieste di prestiti fatte dagli imputati per ripianare il debito), ma n avevano potuto perché il figlio della COGNOME aveva voluto interrompere tutti i rapporti tra la stessa e gli imputati.
Il difensore lamenta che non era stata compiuta una verifica di attendibilità intrinseca ed estrinseca della persona offesa, necessaria in quanto non risultavano elementi oggettivi ulteriori rispetto a quanto da lei narrato; la Corte di appello aveva omesso di considerare che la COGNOME aveva già dato buona parte delle somme di denaro e le avrebbe comunque date, a prescindere dalle non provate telefonate con il direttore di banca, il cancelliere ed il giudice e la lettera del AVV_NOTAIO; peraltro, tali elementi sarebbero al limite del falso grossolano, in quanto facilmente riconoscibili, e quindi inidonei a costituire gli artifici e raggi di cui all’art. 640 cod. pen., come riconosciuto dalle stesse sentenze di merito.
1.3 In relazione all’imputata COGNOME NOME, il difensore eccepisce inosservanza ed erronea applicazione della legge penale in ordine alla ritenuta sussistenza della responsabilità penale a titolo di concorso nel reato, visto che le condotte indicate nel capo di imputazione non erano minimamente imputabili alla COGNOME, che non ne era neppure a conoscenza, come risultava anche dalla versione della persona offesa, che le attribuiva al solo COGNOME; la responsabilità alla COGNOME era stata attribuita sulla base della solo conoscenza della questione, senza che avesse apportato alcun contributo; il difensore osserva che alla RAGIONE_SOCIALE, e solo a lei, era stato notificato un decreto ingiuntivo datato 26 novembre 2013, in cui si richiedeva la restituzione della somma di C 500,00, prestatale in data 10 luglio 2013, mentre la querela sporta dalla COGNOME era del 13 novembre 2013; da tale circostanza si evinceva che la stessa COGNOME non riteneva responsabile la RAGIONE_SOCIALE, visto che altrimenti la somma richiesta con il decreto ingiuntivo sarebbe stata più elevata.
1.4 Il difensore, in subordine, eccepisce vizio di motivazione in relazione al profilo sanzioNOMErio, considerati il disvalore penale del fatto, in sé non era di particolare gravità (avuto riguardo all’importo del prestito al cospetto di somme di denaro ben più imponenti e consistenti), la situazione di grave difficoltà economica e le problematiche di salute riguardanti gli imputati e la restituzione di una parte consistente di denaro.
1.5 Il difensore lamenta la mancata concessione dell’attenuante di cui all’art. 62 n. 6 cod. pen., visto che era vero che la restituzione era iniziata solo una volta dichiarata l’apertura del dibattimento, ma ciò in quanto prima di tale momento vi era stata una assoluta impossibilità per gli imputati di avere un incontro con la persona offesa e perché si erano trovati nella assoluta impossibilità di una materiale restituzione.
1.6 Il difensore lamenta vizio di motivazione con riguardo alla mancata concessione della circostanza attenuante ex art. 62 comma 1 n.4 cod. pen.: il
giudice di primo grado aveva correttamente ritenuto che si fosse in presenza di più truffe avvinte dalla continuazione, che non avevano mai avuto ad oggetto somme rilevanti.
1.7 Ulteriore profilo di non correttezza della decisione investiva il profilo del danno riconosciuto alla parte civile, poiché il giudice di appello si limitava ad affermare la correttezza delle relative statuizioni, senza alcuna argomentazione.
1.8 Con riferimento alla posizione di COGNOME NOME, il difensore eccepisce l’inosservanza dell’art. 545-bis cod. proc. pen., con riguardo alla possibilità di convertire la pena irrogata in taluna delle pene sostitutive di cui all’art. 53 della legge n.689/81; la conseguenziale inosservanza di norme processuali stabilite a pena di inammissibilità per avere omesso l’avviso all’imputato della possibilità di sostituire la pena detentiva con taluna delle pene sostitutive di cui all’art. 53 della legge n.689/81; l’omessa motivazione in ordine alla richiesta, avanzata a mezzo EMAIL, di conversione della pena detentiva con taluna delle pene sostitutive di cui all’art. 53 della legge n.689/81. 
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è fondato soltanto sull’ultimo motivo, proposto nell’interesse del solo Fergni..
1.1 Relativamente alle censure di cui ai primi due motivi di ricorso, se ne deve rilevare la natura meramente fattuale, in quanto con esse i ricorrenti propongono una mera rivalutazione del compendio probatorio, non consentita in questa sede, stante la preclusione, per il giudice di legittimità, di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito, e considerato che, in tal caso, si demanderebbe alla RAGIONE_SOCIALEzione il compimento di una operazione estranea al giudizio di legittimità, quale è quella di reinterpretazione degli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione (cfr. ex plurimis, Cass., sez. VI, 22/01/2014, n. 10289).
I giudici di merito hanno infatti elencato le numerose falsità contenute nei comportamenti posti in essere dagli imputati per convincere la persona offesa ad elargire loro periodicamente somme di denaro, integranti gli artifici e raggiri di cui all’art. 640 cod.pen. sotto forma di “menzogna”, inteso tale termine come un fatto attraverso il quale si crea una suggestione che tende ad insinuare nella mente della parte offesa un erroneo convincimento su una situazione che non ha riscontro nella realtà. (Cass.42719/2010 Rv. 248662: “Integra l’elemento
r
costitutivo del reato di truffa anche la sola menzogna, costituendo una tipica forma di raggiro”), ed è teso ad indurre in errore la parte offesa al fine di procurarsi un profitto, per cui gli atti compiuti integrano proprio quell’avvolgimento psichico che è elemento costitutivo del delitto in esame.
Le censure dei ricorrenti si incentrano sulla lettera del AVV_NOTAIO (o COGNOME), di cui è stata accertata la falsità in base alla testimonianza dello stesso AVV_NOTAIO, e che è stata esibita da COGNOME (non da altri soggetti) per convincere la COGNOME dell’esistenza di una eredità in suo favore; pertanto, non si vede quale utilità potesse avere una perizia grafica sulla lettera, posto che ciò che rileva è che l’imputato abbia fatto uso di un documento falso, redatto in suo favore; altro elemento è la telefonata fatta da un sedicente funzionario di banca alla COGNOME COGNOME rassicurarla sulla solvibilità degli imputati, effettuata da u numero di telefono intestato a COGNOME COGNOMEteste maresciallo NOME); se a ciò si aggiunge che non vi è contestazione sull’avvenuto prestito delle somme da parte della COGNOME, si giunge necessariamente alla conclusione che il racconto dei fatti da parte della persona offesa risulta pienamente riscontrato, diventando quindi irrilevanti il rapporto di parentela o le condizioni di salute della RAGIONE_SOCIALE in quanto non supererebbero la cd. “prova di resistenza”.
1.3 Quanto alla responsabilità della RAGIONE_SOCIALE, già la sentenza di primo grado aveva messo in evidenza che era stata lei a contattare per prima la COGNOME ed a chiedere ed ottenere il primo prestito (pag. 7 sentenza di primo grado e 4 sentenza di appello), necessario per sbloccare un conto corrente (circostanza mai dimostrata, ed assolutamente inverosimile); ed è sempre l’imputata che rassicura la COGNOME quando ella chiede la restituzione delle somme (pag.9) e che ammette di essere a conoscenza dell’eredità attestata dalla falsa lettera del AVV_NOTAIO (pag.15 sentenza di primo grado); coerentemente con le risultanze processuali, la Corte di appello ha ritenuto la RAGIONE_SOCIALE concorrente nella truffa.
1.4 Quanto alla determinazione della pena, la stessa è stata congruamente motivata dalla Corte di appello a pag.8 della sentenza impugnata; peraltro, si deve ribadire che nel caso in cui venga irrogata una pena prossima al minimo edittale, l’obbligo di motivazione del giudice si attenua, talchè è sufficiente i richiamo al criterio di adeguatezza della pena, nel quale sono impliciti gli elementi di cui all’art. 133 cod. pen..(vedi sez. 2, sentenza n. 28852 del
08/05/2013 COGNOME e altro, Rv.256464; Sez. 2, sentenza n. 36104 del 27/04/2017, COGNOME e altro, Rv.271243).
1.5 Altrettanto logica è la motivazione sulla mancata concessione delle attenuanti di cui agli artt. 62 n.6) e 4) cod. pen., avendo la Corte di appello evidenziato sia l’entità della somma oggetto di prestito che il fatto che la restituzione sia stata parziale e tardiva.
1.6 Quanto alla eccezione sul profilo del danno riconosciuto alla parte civile, si deve osservare che il giudice di primo grado ha rimesso le parti avanti al giudice civile, disponendo a carico degli imputati il pagamento di una provvisionale; il motivo è quindi inammissibile in quanto il provvedimento con il quale il giudice di merito, nel pronunciare condanna generica al risarcimento del danno, assegna alla parte civile una somma da imputarsi nella liquidazione definitiva non è impugnabile per cassazione, in quanto per sua natura insuscettibile di passare in giudicato e destiNOME ad essere travolto dall’effettiva liquidazione dell’integrale risarcimento. (vedi Sez. 2, n. 43886 del 26/04/2019, COGNOME, Rv. 277711 – 01).
1.7 Fondato è, invece, l’ultimo motivo di ricorso.
L’art. 545 bis, cod. proc. pen. (a sua volta introdotto dall’art. 31, comma 1, d. Igs. n. 150/2022), al primo comma, recita: «Quando è stata applicata una pena detentiva non superiore a quattro anni e non è stata ordinata la sospensione condizionale, subito dopo la lettura del dispositivo, il giudice, se ricorrono le condizioni per sostituire la pena detentiva con una delle pene sostitutive di cui all’articolo 53 della legge 24 novembre 1981, n. 689, ne dà avviso alle parti”.
Il ricorrente aveva formulato, in previsione dell’udienza per la deliberazione, un’istanza volta a ottenere l’applicazione di una pena sostitutiva tra quelle individuate nell’art. 53 legge 24 novembre 1981, n. 689, ma la Corte di appello non ha fornito alcuna risposta sul punto; si deve osservare che il giudice può anche non dare l’avviso di cui all’art. 545-bis nel caso ritenga che non possano essere applicate sanzioni sostitutive ma, a fronte di una richiesta specifica (quale quella del caso in esame), ha l’onere di specificare perché ritiene di non dover dare il suddetto avviso: pertanto, la sentenza impugnata deve essere annullata, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Bologna per nuovo giudizio sul punto. 
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME limitatamente alle sanzioni sostitutive con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Bologna.
Dichiara inammissibile nel resto il ricorso ed irrevocabile l’affermazione di responsabilità.
Dichiara inammissibile il ricorso di COGNOME NOME e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di C 3.000,00 in favore della RAGIONE_SOCIALE delle Ammende.
Così deciso il 20/12/2023