Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 33197 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 33197 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 23/09/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato il 02/10/2000
avverso la sentenza del 13/11/2024 della CORTE APPELLO di ROMA visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo
Il Procuratore Generale conclude per l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata limitatamente alla richiesta di sostituzione della pena detentiva e per l’inammissibilità nel resto.
udito il difensore
Per il ricorrente NOME COGNOME non è presente alcun difensore.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza emessa in data 13/11/2024, la Corte d’appello di Roma ha confermato la pronuncia di condanna resa dal Tribunale di Roma, a seguito di giudizio abbreviato, a carico di NOME alla pena di anni 1 di reclusione ed euro 2.000,00 di multa per il reato di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. 309/90. Ha disposto la restituzione in favore dell’avente diritto della somma di danaro in sequestro ad eccezione di euro 70,00 di cui ha disposto la confisca, trattandosi di provento del reato.
Era contestato all’imputato di avere ceduto a NOME COGNOME una dose di sostanza stupefacente del tipo cocaina del peso di grammi 0,5 e di avere illecitamente detenuto sostanza stupefacente dello stesso tipo, per un peso di grammi 1,5 (suddivisa in 3 dosi) e grammi 8 (suddivisa in 16 dosi).
I fatti sono stati ricostruiti come segue in base al verbale di arresto, di perquisizione e sequestro ed alla luce delle dichiarazioni rese dall’acquirente NOME COGNOME
In data 17/12/2021 una pattuglia di Carabinieri notava una vettura in sosta con a bordo un uomo identificato in COGNOME. Dopo poco sopraggiungeva un’altra vettura, alla cui guida vi era l’odierno imputato. COGNOME saliva a bordo del veicolo condotto dall’imputato, ricevendo da questi una dose di sostanza stupefacente in cambio di danaro. Prontamente intervenuti, i Carabinieri sottoponevano i due uomini ed il veicolo condotto da COGNOME a perquisizione, rinvenendo il quantitativo di stupefacente sopra indicato, suddiviso in dosi, parte delle quali erano occultate all’interno del volante della vettura.
Sulla base di tali emergenze probatorie i giudici ritenevano dimostrata la piena responsabilità dell’imputato in ordine alla fattispecie a lui ascritta.
Avverso la pronuncia della Corte d’appello ha proposto ricorso per cassazione l’imputato a mezzo del difensore, articolando, in sintesi, i seguenti motivi di doglianza.
Inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 131-bis cod. pen.
Il ragionamento posto a fondamento del rigetto dell’applicazione della
causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto sarebbe erroneo.
La giurisprudenza di legittimità sostiene che la fattispecie di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. 309/90 sia compatibile con l’istituto invocato, anche alla luce della sua trasformazione da originaria attenuante ad ipotesi autonoma di reato. Si tratterebbe di fattispecie strutturalmente e teleologicamente non coincidenti, basate su parametri di valutazione diversi: ai fini del riconoscimento della fattispecie della lieve entità il giudice è tenut a valutare i mezzi, le modalità e le circostanze dell’azione, la quantità e la qualità delle sostanze stupefacenti oggetto di cessione; ai fini, invece, del riconoscimento della causa di non punibilità vengono in considerazione le modalità della condotta, il grado di colpevolezza, l’entità del danno o del pericolo ed il carattere non abituale della condotta.
Ciò premesso, all’autore di una condotta di “spaccio” di sostanze stupefacenti può ben essere applicato l’art. 131-bis cod. pen., purchè il suo comportamento non sia abituale.
Nel caso di specie è risultato provato come il ricorrente, incensurato, avesse una sua occupazione lavorativa, sebbene irregolare. Egli, pertanto, non traeva sostentamento dalle attività illecite. Inoltre, l’unicità dell condotta complessivamente osservata attraverso il sequestro operato dai verbalizzanti si pone al di fuori dello schema tipico delle condotte plurime e reiterate.
II) Inosservanza degli artt. 62-bis, 132, 133 cod. pen., 73, comma 5, d.P.R. 309/90 e 125 cod. proc. pen. in relazione alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, alla misura della pena ed ai criteri della sua determinazione.
La Corte di merito ha confermato il trattamento sanzionatorio del giudice di prime cure valutando semplicemente adeguata la pena inflitta ed ha ritenuto che l’imputato non fosse meritevole della concessione delle attenuanti generiche in ragione del suo comportamento processuale “poco collaborativo”.
Tale affermazione sarebbe frutto di un travisamento. L’imputato all’udienza del 18/12/2021, necessitava del supporto di un interprete di lingua albanese che lo aiutasse a comprendere le domande del giudice. Il ricorrente non si è mai avvalso della facoltà di non rispondere ed il contenuto delle sue dichiarazioni è stato percepito come poco chiaro ed elusivo dal giudice perché mediato dall’intervento dell’interprete.
Il supposto atteggiamento poco collaborativo ha influito anche sulla determinazione del quantum della pena, che si è discostato dal minimo edittale. In base a consolidato orientamento della Corte di legittimità,
l’atteggiamento non collaborativo dell’imputato non può essere posto a base del diniego delle attenuanti generiche e di scelte sanzionatorie più afflittive, essendo espressione di una libera scelta difensiva.
III) Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 545-bis cod. proc. pen.; 20-bis cod. pen. e I. 689/81.
La sentenza impugnata merita di essere censurata essendo incorsa nella violazione della norma processuale indicata e dell’art. 20-bis cod. pen., entrate in vigore a seguito della c.d. riforma Cartabia.
La riforma in parola, che ha introdotto l’art. 20-bis cod. pen., comporta che il giudice debba confrontarsi con il parametro della idoneità al reinserimento sociale del condannato già nel momento genetico dell’applicazione della sanzione, osservando il principio costituzionale del finalismo rieducativo della pena.
Nel caso di specie ricorrevano tutte le condizioni oggettive e soggettive per fare luogo all’applicazione dell’art. 20-bis cod. pen.
La pronuncia gravata, confermando la pena di un anno di reclusione irrogata dal primo giudice, avrebbe dovuto consentire l’accesso alla pena sostitutiva pecuniaria o ad ogni altra pena sostitutiva prevista dall’art. 20-bis cod. pen., non ricorrendo ragioni ostative.
La giurisprudenza di legittimità ha affermato come la verifica delle condizioni di applicabilità debba essere in ogni caso chiarita in motivazione; pertanto, l’assenza di giustificazione sul punto non è consentita.
La Corte di appello si limita a sostenere che all’imputato è stato concesso il beneficio della sospensione condizionale della pena, ostativo alla concessione della sanzione sostitutiva. Tuttavia, omette di considerare che, attraverso il consenso all’applicazione della sanzione sostitutiva l’imputato ha manifestato l’intenzione di rinunciare alla sospensione condizionale della pena in favore della sanzione sostitutiva.
In ogni caso, ove si volesse ritenere l’applicabilità del previgente regime, l’imputato avrebbe potuto beneficiare della sanzione sostitutiva della libertà controllata.
Il Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione, con requisitoria scritta, a cui si è riportata in udienza, ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata limitatamente alla richiesta di sostituzione della pena detentiva; la declaratoria d’inammissibilità del ricorso nel resto.
Il difensore dell’imputato non è comparso in udienza.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I motivi dedotti sono manifestamente infondati, pertanto il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
2. Quanto alla prima ragione di doglianza si osserva quanto segue.
La giurisprudenza di legittimità ha da tempo affermato come il riconoscimento della fattispecie di lieve entità di cui all’art. 7 comma 5, d.P.R. 309/90 e la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto siano fattispecie strutturalmente e teleologicamente non coincidenti, atteso che, mentre ai fini della concedibilità della prima il giudice è tenuto a valutare i mezzi, le modalità e le circostanze dell’azione nonché la quantità e la qualità delle sostanze stupefacenti oggetto della condotta criminosa, ai fini del riconoscimento della causa di non punibilità devono essere considerate le modalità della condotta, il grado di colpevolezza da esse desumibile, l’entità del danno o del pericolo ed altresì il carattere non abituale della condotta (Sez. 4, n. 48758 del 15/07/2016. COGNOME, Rv. 268258; Sez. 3, n. 18155 del 16/04/2021, Diop, Rv. 281572).
Pertanto, il riconoscimento della fattispecie della lieve entità non si traduce in un necessario ed automatico riconoscimento anche della causa di non punibilità per particolar tenuità del fatto.
Fatta questa necessaria premessa in diritto, occorre rilevare come il motivo di doglianza proposto dalla difesa sia privo di spunti critici di rilievo e di confronto con le argomentazioni sviluppate in sentenza.
Il rigetto dell’applicazione della causa di non punibilità ex art. 131-bis cod. pen., infatti, non è fondato sull’abitualità de comportamento serbato dal ricorrente, ma sulla valutazione dell’entità del fatto, considerato di non minima offensività dalla Corte di merito sulla base di apprezzamenti logici e coerenti [cfr. quanto argomentato sul punto in sentenza:”Nel caso che ci occupa il reato risulta consumato secondo un collaudato modus operandi (fissando un appuntamento telefonico con un cliente abituale e presentandosi sul posto con un’auto verosimilmente noleggiata da terzi secondo un uso ormai invalso tra i pusher) e portando appresso un rilevante quantitativo di stupefacente del tipo cocaina (pari a 34
dosi) – di discreta qualità – frazionata in plurimi involucri pronti a smercio e occultata accuratamente nel manubrio del volante dell’auto. Ciò che denota una condotta dell’imputato non occasionale di spaccio di “droga pesante” destinata ad una pluralità di acquirenti come desumibile dalle dichiarazioni sopra riassunte rese a s.i.t. nell’immediatezza dei fatti dal cessionario COGNOME (sulla cui credibilità e attendibilità non è emerso alcun elemento di segno negativo) e dal possesso di una somma di denaro in contanti probabile provento di pregresse cessioni di stupefacenti in assenza di spiegazioni alternative. Le descritte modalità della condotta denotano una concreta offesa del bene giuridico tutelato e una particolare intensità del dolo”].
I rilievi difensivi, pertanto, non colgono nel segno allorquando nel ricorso si assume: “la unicità della condotta complessivamente osservata attraverso il sequestro cui procedevano gli operanti si pone al di fuori dello schema tipico delle condotte plurime e reiterate”, poiché è il complessivo disvalore della condotta serbata dal ricorrente ad essere stato posto a fondamento del diniego.
Quanto alla seconda ragione di doglianza, si osserva: il diniego delle circostanze attenuanti generiche riposa su argomentazioni non censurabili in questa sede.
La Corte d’appello, richiamando la giustificazione resa dal primo giudice, ha evidenziato come l’imputato, all’atto dell’arresto, non abbia fornito indicazioni sul luogo in cui domicilia o dimora in Italia, serbando in tal modo un atteggiamento “poco collaborativo”.
Ebbene, non ignora questa Corte come parte della giurisprudenza di legittimità sostenga che il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche non possa essere ancorato al comportamento processuale dell’imputato che scelga di rimanere in silenzio o non collaborare con l’autorità giudiziaria (cfr. Sez. 5, n 32422 del 24/09/2020, COGNOME, Rv. 279778; contra Sez. 2, Sentenza n. 28388 del 21/04/2017, Leo, Rv. 270339), tuttavia, la peculiarità del caso che occupa rende non applicabile l’orientamento invocato dalla difesa.
Nell’ambito dell’interrogatorio di garanzia, a cui ha fatto riferimento lo stesso difensore, l’imputato ha l’obbligo di rispondere alle domande riguardanti le sue generalità e quant’altro valga ad identificarlo (artt. 64 e 66 cod. proc. pen.); ne consegue che le
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dichiarazioni che concernono tali aspetti non impegnano l’esercizio del diritto di difendersi. Quanto alla possibilità che i giudici abbian inteso come elusive le risposte fornite dall’imputato in ragione delle difficoltà di traduzione derivanti dalla mediazione dell’interprete, s tratta di circostanza del tutto ipotetica.
In ogni caso la Corte di merito ha parimenti evidenziato l’assenza di positivi elementi di valutazione idonei a consentire la concessione del beneficio. Si tratta di giustificazione conforme ai principi ermeneutici stabiliti in questa sede (ex multis Sez. 4, n. 32872 del 08/06/2022, COGNOME, Rv. 283489:”Il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche può essere legittimamente motivato dal giudice con l’assenza di elementi o circostanze di segno positivo, a maggior ragione dopo la riforma dell’art. 62-bis, disposta con il d.l. 23 maggio 2008, n. 92, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 luglio 2008, n. 125, per effetto della quale, ai fini della concessione della diminuente, non è più sufficiente il solo stato di incensuratezza dell’imputato”).
Non GLYPH è GLYPH superfluo GLYPH aggiungere GLYPH come GLYPH dal GLYPH complesso argomentativo della sentenza – nella parte dedicata al rigetto della richiesta di applicazione della causa di non punibilità del fatto – sì evincano ulteriori elementi valutativi a sostegno della scelta sanzionatoria operata dai giudici di merito, avendo la Corte d’appello fatto ivi riferimento all’offensività della condotta, considerat certamente allarmante, in ragione del numero di dosi possedute dall’imputato e delle modalità operative dell’attività illecita.
Quanto alla determinazione dell’entità della pena, nel caso in cui venga irrogata una pena al di sotto della media edittale, non è necessaria una specifica e dettagliata motivazione da parte del giudice (Sez. 4, n. 46412 del 05/11/2015, COGNOME, Rv. 265283:”In tema di determinazione della pena, nel caso in cui venga irrogata una pena al di sotto della media edittale, non è necessaria una specifica e dettagliata motivazione da parte del giudice, essendo sufficiente il richiamo al criterio di adeguatezza della pena, nel quale sono impliciti gli elementi di cui all’art. 133 cod. pen.”).
In ogni caso, come già osservato con riferimento al diniego delle circostanze attenuanti generiche, i parametri valutativi che hanno indotto la Corte territoriale a confermare la sanzione come determinata dal primo giudice si evincono dal testo della sentenza nel suo complesso argomentativo (Sez. 3, n. 38251 del 15/06/2016, COGNOME, Rv. 267949).
I
Quanto al terzo motivo di ricorso si osserva: all’imputato è stato concesso il beneficio della sospensione condizionale della pena.
Il fatto è stato commesso in data 17 dicembre 2021, prima dell’entrata in vigore della riforma introdotta con d.lgs. 150/2022.
In ambito di successione di norme penali non è consentito di operare una contemporanea applicazione di norme o frammenti di norme riconducibili al regime previgente ovvero a quello sopravvenuto, dovendosi fare riferimento all’uno o all’altro nella sua interezza.
La difesa aveva chiesto l’applicazione della pena sostitutiva pecuniaria.
Ebbene, vigente la normativa prima dell’introduzione dell’art. 20-bis cod. pen. ad opera del d.lgs. 150/22, la legge 24 novembre 1981, n. 689, all’art. 53, non consentiva l’applicazione della sanzione sostitutiva della pena pecuniaria ove la pena detentiva inflitta fosse superiore a sei mesi (quindi l’imputato non avrebbe potuto beneficiare di questa sanzione sostitutiva avendo riportato una condanna ad anni 1 di reclusione).
Nell’attuale regime il tetto per accedere al beneficio è stato innalzato ad un anno di reclusione o arresto, ma è ostativa la concessione della sospensione condizionale della pena (l’art. 61-bis I. 689/81, introdotto con la riforma Cartabia, titolato “Esclusione della sospensione condizionale della pena”, prevede:”Le disposizioni di cui agli articoli 163 e seguenti del codice penale, relative alla sospensione condizionale della pena, non si applicano alle pene sostitutive previste dal presente Capo”).
Vero è che la norma di cui all’art. 95 d. Igs. 150/2022, ha stabilito che sono applicabili ai procedimenti pendenti all’entrata in vigore della riforma le norme di cui alla legge 689/81 se più favorevoli, tuttavia, come detto prima, non si possono combinare le norme di regimi diversi.
La difesa sostiene che la richiesta di applicazione della sanzione sostitutiva determini una implicita rinuncia alla sospensione condizionale della pena.
In questo caso la sospensione condizionale della pena è stata concessa (non semplicemente richiesta), quindi l’imputato avrebbe dovuto rinunciarvi.
Si è osservato come la rinuncia alla sospensione condizionale della pena, essendo un atto personalissimo, richieda una manifestazione di volontà espressa dall’imputato personalmente o attraverso il rilascio di apposita procura speciale al difensore (Sez. 2, n. 16052 del 18/02/2025, COGNOME, Rv. 287940:”In tema di sospensione condizionale della pena, la rinuncia al già concesso beneficio ha natura giuridica di atto dispositivo, incidente sul trattamento sanzionatorio, che costituisce iniziativa esuberante rispetto alle scelte proprie della difesa tecnica, afferendo ai dirit personalissimi, di cui all’art. 99, comma 1, cod. proc. pen., esercitabili, in quanto tali, dal solo imputato e non dal suo difensore, salvo che questi sia munito di procura speciale appositamente rilasciata”).
Il ricorso risulta aspecifico sul punto, perché privo di allegazioni a sostegno (la difesa non ha prodotto atti dai quali risulti la volontà personalmente espressa dall’imputato di rinunciare alla sospensione condizionale o la procura speciale allo scopo rilasciata).
Pertanto, si osserva con valore assorbente, che non risultando la volontà manifestata personalmente dall’imputato di rinunciare alla sospensione condizionale della pena, anche attraverso procura speciale appositamente rilasciata al difensore, non sono applicabili al caso che occupa le sanzioni sostitutive invocate nell’atto di appello (pena pecuniaria sostitutiva e lavoro di pubblica utilità sostitutivo, quest’ultimo richiesto nella parte conclusiva del ricorso), stante la generale preclusione di cui all’art. 61-bis I. 689/81, introdotto con la riforma Cartabia.
Facendo riferimento alla previgente disciplina, in ragione della entità della pena, sostiene ancora la difesa nel ricorso, sarebbe stata applicabile all’imputato la libertà controllata, cumulata con il beneficio della sospensione condizionale della pena.
Infatti, evidenzia, l’art. 53, comma 1, I. 689/1981, come modificato dall’art. 4, comma 1, lett. a), I 12/6/2003, n. 134, vigente all’epoca della commissione del fatto, stabiliva:”Il giudice, nel pronunciare la sentenza di condanna, quando ritiene di dovere determinare la durata della pena detentiva entro il limite di due anni, può sostituire tale pena con quella della semidetenzione; quando ritiene di doverla determinare entro il limite di un anno, può sostituirla anche con la libertà controllata; quando ritiene di doverla determinare entro il limite di sei mesi, può sostituirla altresì con la pena pecuniaria della specie corrispondente”.
Ebbene, dalla lettura dell’atto di appello non risulta che la difesa abbia richiesto l’applicazione della libertà controllata, come prevista nel regime previgente.
Il GLYPH motivo GLYPH di GLYPH doglianza GLYPH risulta GLYPH pertanto GLYPH inammissibile (Sull’argomento si veda Sez. U, n. 12872 del 19/01/2017, COGNOME, Rv. 269125:”Il giudice di appello non ha il potere di applicare d’ufficio le sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi se nell’atto di appello non risulta formulata alcuna specifica e motivata richiesta con riguardo a tale punto della decisione, dal momento che l’ambito di tale potere è circoscritto alle ipotesi tassativamente indicate dall’art. 597, comma quinto, cod. proc. pen., che costituisce una eccezione alla regola generale del principio devolutivo dell’appello e che segna anche il limite del potere discrezionale del giudice di sostituire la pena detentiva previsto dall’art. 58 della legge n. 689 del 1981″).
Consegue alla declaratoria d’inammissibilità del ricorso la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., al versamento della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa d’inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13/6/2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
In Roma, così deciso il 23 settembre 2025
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