Pene Sostitutive: No Senza una Specifica Richiesta nell’Atto d’Appello
L’applicazione delle pene sostitutive rappresenta un tema cruciale nel diritto penale, offrendo alternative alla detenzione per reati di minore gravità. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito con fermezza i paletti procedurali che ne regolano la concessione in secondo grado, sottolineando l’importanza di una richiesta esplicita nell’atto di appello. La decisione chiarisce che il potere del giudice non è illimitato e deve rispettare il principio devolutivo, che circoscrive l’esame del giudizio alle sole questioni sollevate dalle parti.
I Fatti del Caso
Il caso trae origine dal ricorso presentato da un’imputata avverso una sentenza della Corte d’Appello di Milano. La Corte territoriale aveva negato l’applicazione delle pene sostitutive, previste dall’art. 20 bis del codice penale. L’imputata, nel suo ricorso per Cassazione, lamentava un vizio di omessa motivazione da parte dei giudici d’appello, sostenendo che il diniego fosse ingiustificato.
L’Ordinanza della Corte di Cassazione sulle Pene Sostitutive
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato e, di conseguenza, inammissibile. L’argomentazione dei giudici di legittimità si è sviluppata lungo due direttrici principali, entrambe decisive per l’esito del giudizio.
La Valutazione del Giudice di Merito
In primo luogo, la Cassazione ha ritenuto la motivazione della Corte d’Appello del tutto logica e ineccepibile. Il diniego del beneficio non era arbitrario, ma fondato su elementi concreti e soggettivi:
* Numerosi precedenti penali specifici: l’imputata aveva un curriculum criminale che pesava sulla valutazione.
* Precedente fruizione di sanzioni sostitutive: il fatto di aver già beneficiato in passato di misure alternative senza che ciò avesse impedito la reiterazione dei reati.
Questi elementi hanno portato il giudice di merito a formulare un giudizio di prognosi sfavorevole, ritenendo probabile che l’imputata potesse commettere nuovi reati in futuro. La Corte ha precisato che tale valutazione non si è limitata alla gravità astratta del reato, ma ha esaminato l’incidenza dell’illecito sulla personalità e sulla capacità a delinquere dell’imputata.
Il Principio Devolutivo e i Limiti del Giudice d’Appello
Il secondo e fondamentale punto toccato dalla Corte riguarda un principio cardine del processo d’appello: il principio devolutivo. Richiamando una consolidata giurisprudenza delle Sezioni Unite (sent. n. 2372/2017), la Cassazione ha ribadito che il giudice d’appello non ha il potere di applicare d’ufficio le pene sostitutive se nell’atto di impugnazione non è stata formulata una richiesta specifica e motivata su quel punto.
Il potere del giudice d’appello è infatti circoscritto alle ipotesi tassative previste dall’art. 597, comma quinto, del codice di procedura penale. Queste costituiscono un’eccezione alla regola generale per cui il giudizio di secondo grado verte unicamente sui motivi di contestazione sollevati dalle parti. La discrezionalità del giudice nel sostituire la pena detentiva, prevista dall’art. 58 della legge 689/1981, trova quindi un limite invalicabile nelle regole processuali.
Le motivazioni
Le motivazioni della Suprema Corte sono chiare: da un lato, si riconosce la piena legittimità di una valutazione discrezionale del giudice di merito che, basandosi su elementi concreti come i precedenti penali e la personalità dell’imputato, esprima una prognosi negativa sulla futura condotta. Dall’altro, si riafferma un principio processuale fondamentale: senza una doglianza specifica nell’atto di appello, il giudice del gravame non può intervenire d’ufficio per concedere le pene sostitutive. Questo meccanismo garantisce che il processo di secondo grado rimanga ancorato alle richieste delle parti, evitando decisioni che vadano oltre il perimetro del dibattito processuale definito con l’atto di impugnazione.
Le conclusioni
In conclusione, l’ordinanza stabilisce che l’accesso alle pene sostitutive in appello non è un diritto automatico né un potere esercitabile d’ufficio dal giudice. È onere della difesa formulare una richiesta chiara, specifica e motivata nell’atto di impugnazione. In assenza di tale richiesta, la questione esula dall’ambito di cognizione del giudice d’appello. Inoltre, anche a fronte di una richiesta rituale, la concessione del beneficio rimane subordinata a una valutazione discrezionale del giudice, che deve tenere conto della personalità dell’imputato e della sua pericolosità sociale, come desumibile dai precedenti penali e da altri indici soggettivi.
Perché la Corte di Cassazione ha ritenuto inammissibile il ricorso?
Il ricorso è stato ritenuto inammissibile perché la motivazione della Corte d’Appello nel negare le pene sostitutive era logica e basata su elementi concreti (precedenti penali e prognosi sfavorevole), e perché la difesa non aveva sollevato una specifica richiesta motivata in appello, limitando i poteri del giudice di secondo grado.
Quali sono i limiti del giudice d’appello nell’applicare le pene sostitutive?
Il giudice d’appello non può applicare d’ufficio le pene sostitutive. Il suo potere è vincolato dal principio devolutivo, il che significa che può decidere solo sui punti specificamente contestati nell’atto di appello. La concessione d’ufficio è un’eccezione limitata a casi tassativamente previsti dalla legge.
Su quali basi un giudice può negare l’applicazione delle pene sostitutive?
Un giudice può negare il beneficio sulla base di una valutazione complessiva della personalità dell’imputato. Elementi decisivi possono essere i numerosi precedenti penali specifici, l’aver già usufruito in passato di misure analoghe senza successo, e un giudizio di prognosi sfavorevole sulla probabilità che l’imputato commetta nuovi reati.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 9011 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 9011 Anno 2025
Presidente: IMPERIALI NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 18/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a NAPOLI il 13/09/1960
avverso la sentenza del 10/09/2024 della CORTE APPELLO di MILANO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso di NOME
ritenuto che l’unico motivo di ricorso che denuncia vizio di omessa motivazione sulla mancata applicazione della pena sostitutiva di cui all’art. 20 bis cod. pen. alla luce dell’intervenuta modifica dell’art. 59 della legge n. 689/1981 è manifestamente infondato;
che la sentenza impugnata (si vedano, in particolare, pag. 4-5) ha posto a base del rigetto della richiesta di applicazione del beneficio argomentazioni logiche e ineccepibili, quali, i numerosi precedenti penali specifici da cui risulta essere gravata l’imputata nonché il fatto di aver già beneficiato del regime delle sanzioni sostitutive in passato, esprimendo un giudizio di prognosi sfavorevole sulla non reiterazione futura di reati, secondo un giudizio tipicamente di merito che non scade nell’illogicità quando, come nel caso in esame, la valutazione del giudice non si esaurisca nel giudizio di astratta gravità del reato, ma esamini l’incidenza dell’illecito sulla capacità a delinquere dell’imputato e, quindi, evidenzi aspetti soggettivi della personalità dell’imputato che ne hanno orientato la decisione;
considerato, inoltre, l’orientamento della consolidata giurisprudenza di legittimità secondo cui il giudice di appello non ha il potere di applicare d’ufficio l sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi se nell’atto di appello non risulta formulata alcuna specifica e motivata richiesta con riguardo a tale punto della decisione, dal momento che l’ambito di tale potere è circoscritto alle ipotesi tassativamente indicate dall’art. 597, comma quinto, cod. proc. pen., che costituisce una eccezione alla regola generale del principio devolutivo dell’appello e che segna anche il limite del potere discrezionale del giudice di sostituire la pena detentiva previsto dall’art. 58 della legge n. 689 del 1981 (Sez. U, n. GLYPH del 19/01/2017, Rv. 269125 – 01);
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento dell spese processuali e al pagamento della somma di euro tremila alla cassa del ammende.
Roma, 18/02/2025
GLYPH
nte eriali