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Pene sostitutive: no se il ricorso è generico

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un detenuto contro la mancata concessione delle pene sostitutive e dell’esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto. Il ricorso è stato giudicato infondato poiché i precedenti penali dell’imputato e la gravità della sua condotta, in relazione al suo status di collaboratore di giustizia, giustificavano ampiamente la decisione del giudice di merito di non applicare i benefici richiesti.

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Pubblicato il 15 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Pene Sostitutive: la Cassazione conferma il diniego per gravità del fatto e precedenti penali

L’applicazione delle pene sostitutive rappresenta un tema centrale nel diritto penale, specialmente dopo le recenti riforme legislative. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce i limiti del potere discrezionale del giudice nel concedere tali benefici, sottolineando come la gravità della condotta e i precedenti penali dell’imputato costituiscano ostacoli insormontabili. Analizziamo insieme la decisione per comprendere meglio i criteri applicati dai giudici.

I fatti di causa

Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguarda un ricorso presentato da un individuo detenuto, condannato per il reato di possesso illecito di un apparecchio telefonico all’interno di un istituto penitenziario (art. 391-ter c.p.). L’imputato aveva impugnato la sentenza della Corte d’Appello lamentando due principali violazioni di legge: l’omesso riconoscimento della non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.) e la mancata sostituzione della pena detentiva con una pena pecuniaria.

I motivi del ricorso e la richiesta di pene sostitutive

La difesa del ricorrente ha basato il suo appello su due pilastri. In primo luogo, ha sostenuto che il fatto contestato fosse di lieve entità, tale da giustificare l’applicazione dell’art. 131-bis c.p. In secondo luogo, ha richiesto l’applicazione delle pene sostitutive, ovvero la conversione della condanna a una pena detentiva in una sanzione pecuniaria, come previsto dalla legge.

La Corte d’Appello aveva già respinto entrambe le richieste. Secondo i giudici di secondo grado, la condotta non poteva essere considerata di lieve entità, e i presupposti per la sostituzione della pena non erano presenti.

Le motivazioni della Cassazione sul diniego delle pene sostitutive

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendo i motivi presentati manifestamente infondati e generici. I giudici hanno confermato la correttezza della decisione della Corte d’Appello, argomentando su due fronti distinti.

Sulla particolare tenuità del fatto

La Corte ha evidenziato che la valutazione della gravità del fatto era stata adeguatamente motivata. In particolare, si è tenuto conto di due elementi cruciali:
1. La gravità oggettiva della condotta: il possesso illecito del telefono non era un evento isolato e recente.
2. Lo status del detenuto: l’imputato era non solo detenuto per un reato di associazione di tipo mafioso (art. 416-bis c.p.), ma aveva anche da poco assunto la qualifica di collaboratore di giustizia. Questa condizione avrebbe dovuto indurlo a un comportamento improntato a massima lealtà e correttezza, rendendo il possesso del cellulare una violazione particolarmente grave.

Sulla mancata applicazione delle pene sostitutive

Anche il secondo motivo di ricorso, relativo alla mancata conversione della pena, è stato giudicato infondato. La Cassazione ha ribadito che, sebbene le nuove norme introdotte dal D.Lgs. 150/2022 abbiano ampliato l’ambito delle pene sostitutive, il giudice mantiene un potere discrezionale vincolato ai criteri stabiliti dall’art. 133 del codice penale.

Nel caso specifico, la Corte d’Appello aveva correttamente escluso la possibilità di sostituire la pena detentiva a causa dei precedenti penali a carico dell’imputato. Questi stessi precedenti avevano già impedito la concessione della sospensione condizionale della pena. La motivazione è stata ritenuta logica e adeguata, e pertanto non sindacabile in sede di legittimità. La Suprema Corte ha richiamato un suo precedente orientamento (sentenza n. 9708/2024) per rafforzare il principio secondo cui il giudizio del giudice di merito, se ben motivato, sfugge al controllo della Cassazione.

Le conclusioni della Corte

In conclusione, l’ordinanza conferma che la concessione di benefici come la non punibilità per tenuità del fatto o le pene sostitutive non è automatica. Il giudice deve compiere una valutazione complessiva della condotta, della personalità dell’imputato e dei suoi precedenti. In presenza di elementi che indicano una certa gravità del reato o una propensione a delinquere, come i precedenti penali, il diniego di tali benefici è pienamente legittimo, a condizione che sia supportato da una motivazione logica e coerente con i criteri di legge.

Quando il giudice può negare le pene sostitutive?
Il giudice può negare le pene sostitutive quando, valutando i criteri dell’art. 133 del codice penale, ritiene che non siano idonee. In questo caso, i precedenti penali dell’imputato sono stati considerati un ostacolo alla concessione del beneficio, in quanto indice di una non meritevolezza.

I precedenti penali di un imputato possono impedire la sostituzione della pena?
Sì. La sentenza impugnata ha escluso la possibilità di disporre la sostituzione della pena proprio in ragione dei precedenti penali a carico dell’imputato, che avevano già impedito la concessione della sospensione condizionale della pena. La Cassazione ha ritenuto questa motivazione adeguata.

Perché il possesso di un cellulare in carcere è stato considerato un fatto grave in questo caso?
La condotta è stata ritenuta oggettivamente grave non solo per il possesso in sé, ma soprattutto perché l’imputato era un collaboratore di giustizia. Questa condizione imponeva un dovere di lealtà e correttezza, rendendo la violazione particolarmente significativa e incompatibile con il beneficio della non punibilità per particolare tenuità del fatto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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