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Pene Sostitutive: No se c’è tendenza a delinquere

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un’imputata, condannata per partecipazione ad un’associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti. La Corte conferma la decisione di merito che negava l’applicazione delle pene sostitutive e delle attenuanti generiche, data la piena consapevolezza e partecipazione attiva dell’imputata, la sua tendenza a delinquere e la mancanza di resipiscenza.

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Pubblicato il 2 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Pene Sostitutive e Criminalità Organizzata: l’Analisi della Cassazione

L’applicazione delle pene sostitutive rappresenta un tema cruciale nel diritto penale, bilanciando l’esigenza punitiva con quella rieducativa. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce i limiti di tale applicazione, specialmente in contesti di criminalità organizzata. Il caso esaminato riguarda una donna condannata per partecipazione a un’associazione per delinquere, il cui ricorso è stato dichiarato inammissibile. Analizziamo la decisione per comprendere i criteri utilizzati dai giudici per negare benefici come le sanzioni sostitutive e le attenuanti generiche.

I Fatti del Caso

L’imputata è stata condannata per il reato previsto dall’art. 74, comma 6, del d.P.R. 309/1990, per aver partecipato a un’organizzazione criminale dedita al traffico di stupefacenti. L’associazione era guidata dal marito e vedeva il coinvolgimento attivo anche del figlio e di altre persone per le attività di approvvigionamento e consegna.

Secondo la ricostruzione dei giudici di merito, la donna non era una figura marginale, ma una collaboratrice pienamente consapevole e attiva. Le prove, basate principalmente su conversazioni intercettate, hanno dimostrato che:

* Conosceva i nomi degli acquirenti.
* Comprendeva gli ordini del marito senza bisogno di ulteriori spiegazioni.
* Partecipava attivamente, nonostante a volte protestasse per la gravosità dei compiti che la costringevano ad allontanarsi dal suo lavoro o a uscire in condizioni meteorologiche avverse.
* Era capace di occultare la documentazione compromettente in caso di controlli.

Il Diniego delle Pene Sostitutive e delle Attenuanti Generiche

La difesa dell’imputata aveva presentato ricorso in Cassazione lamentando tre vizi principali della sentenza d’appello: un difetto di motivazione sulla sua responsabilità, il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche e, soprattutto, la non applicazione delle pene sostitutive alla detenzione.

La Corte territoriale aveva respinto queste richieste con motivazioni precise. Il diniego delle attenuanti generiche era fondato non solo sulla condotta processuale, ma anche su un precedente penale specifico dell’imputata.

Per quanto riguarda le pene sostitutive, la Corte d’Appello ha ritenuto che non vi fossero le condizioni per una loro applicazione. Nello specifico, mancavano sia la ragionevole probabilità che la sanzione alternativa potesse favorire la rieducazione della condannata, sia le garanzie sul rispetto delle prescrizioni imposte. Questa valutazione si basava su elementi oggettivi e soggettivi.

* Profili oggettivi: La condotta e le modalità del reato rivelavano contatti stabili e non occasionali con il mondo della criminalità organizzata.
* Profili soggettivi: L’imputata aveva dimostrato una notevole tendenza a delinquere e una scarsa resipiscenza, ovvero una mancanza di pentimento e di volontà di cambiare condotta.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha ritenuto il ricorso inammissibile, confermando in toto la valutazione dei giudici di merito. Gli Ermellini hanno sottolineato come la motivazione della sentenza impugnata fosse puntuale e logicamente coerente.

La decisione di non applicare le pene sostitutive è stata considerata correttamente argomentata. I giudici hanno evidenziato che la valutazione sulla possibilità di concedere sanzioni alternative non può prescindere da un’analisi completa della personalità del reo e del contesto in cui il reato è maturato. In questo caso, il ruolo attivo e consapevole all’interno di una struttura criminale organizzata, unito alla tendenza a delinquere, rendeva del tutto improbabile un percorso rieducativo attraverso misure alternative alla detenzione. La Corte ha quindi ritenuto che il diniego fosse ampiamente giustificato, respingendo le censure della difesa come infondate.

Le Conclusioni

Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale: la concessione di benefici come le pene sostitutive non è un automatismo, ma il risultato di una valutazione discrezionale del giudice basata su una prognosi concreta sulla rieducazione del condannato. Quando emergono elementi come la partecipazione a un’associazione criminale, una spiccata tendenza a delinquere e l’assenza di pentimento, è legittimo negare tali benefici. La decisione conferma che la gravità dei fatti e la personalità dell’imputato sono fattori determinanti per stabilire se una pena alternativa alla detenzione possa essere efficace e sicura per la collettività. Di conseguenza, il ricorso è stato dichiarato inammissibile, con la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende.

Perché sono state negate le pene sostitutive all’imputata?
Le pene sostitutive sono state negate perché i giudici hanno ritenuto che non ci fossero né ragionevoli probabilità di rieducazione né garanzie adeguate sul rispetto delle prescrizioni. Questa valutazione si basava sia su elementi oggettivi (contatti stabili con la criminalità) sia soggettivi (notevole tendenza a delinquere e scarsa resipiscenza).

Quali prove hanno dimostrato il coinvolgimento attivo della donna nell’organizzazione?
Il suo coinvolgimento attivo è stato provato principalmente attraverso le conversazioni intercettate. Da queste emergeva che conosceva i nomi degli acquirenti, comprendeva gli ordini del marito senza bisogno di spiegazioni, collaborava attivamente alle consegne e sapeva come occultare la documentazione durante i controlli.

Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso in Cassazione?
La dichiarazione di inammissibilità comporta, secondo l’art. 616 del codice di procedura penale, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e di una somma di denaro, equitativamente fissata dalla Corte, in favore della Cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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