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Pene sostitutive: no se c’è rischio di recidiva

Due soggetti condannati per ricettazione di beni contraffatti ricorrono in Cassazione chiedendo l’applicazione della ‘particolare tenuità del fatto’ e la concessione di pene sostitutive in luogo del carcere. La Suprema Corte ha rigettato entrambi i ricorsi, stabilendo che i precedenti penali e uno stile di vita precario (assenza di lavoro e fissa dimora) costituiscono elementi sufficienti per formulare una prognosi negativa di recidivanza, giustificando così il diniego di tali benefici.

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Pubblicato il 2 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Pene sostitutive: no se c’è rischio di recidiva

La recente introduzione delle pene sostitutive ha aperto nuovi scenari nel sistema sanzionatorio penale, ma il loro accesso non è automatico. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (Sentenza n. 20980/2025) chiarisce che la concessione di queste misure alternative al carcere dipende da una valutazione discrezionale del giudice, fondata su una prognosi circa il futuro comportamento del reo. Se emerge un concreto rischio di recidiva, la detenzione resta la scelta privilegiata.

I Fatti di Causa

Il caso riguarda due persone condannate in primo e secondo grado per il reato di ricettazione (art. 648 c.p.), per aver ricevuto merce con marchi contraffatti. Entrambi hanno presentato ricorso alla Corte di Cassazione, sollevando diverse questioni.

In particolare, i ricorrenti lamentavano:
1. La mancata applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.), sostenendo che la valutazione dei giudici di merito fosse incompleta.
2. Il rigetto della richiesta di sostituire la pena detentiva con una pena pecuniaria, come previsto dalla recente normativa sulle pene sostitutive (art. 56-quater, L. 689/1981).

Uno dei due imputati ha inoltre eccepito un vizio procedurale, relativo alla mancata formulazione delle conclusioni da parte del Procuratore Generale nel giudizio di appello.

La Decisione della Corte e le Pene Sostitutive

La Corte di Cassazione ha rigettato tutti i ricorsi, ritenendoli infondati. La sentenza offre importanti spunti di riflessione su due istituti centrali del diritto penale: la particolare tenuità del fatto e, soprattutto, i criteri di accesso alle pene sostitutive.

Il Diniego della Particolare Tenuità del Fatto

La Corte ha confermato la decisione dei giudici di merito di non applicare l’art. 131-bis c.p. per ragioni diverse ma ugualmente ostative per i due imputati:
– Per il primo, è risultato decisivo il suo comportamento “abituale”. La presenza di due precedenti penali specifici per reati della stessa indole integra infatti una delle cause che, per legge, escludono la tenuità del fatto.
– Per il secondo, pur in presenza di un solo precedente, i giudici hanno correttamente valorizzato altri elementi, come il considerevole valore commerciale della merce contraffatta (sessantasei capi di abbigliamento) e il conseguente danno per i titolari dei marchi.

Le Pene Sostitutive e il Rischio di Recidiva

Il punto più rilevante della decisione riguarda il diniego delle pene sostitutive. La Corte ha ribadito che il potere del giudice di concedere queste misure non è un automatismo, ma si fonda su una valutazione prognostica basata sui criteri dell’art. 133 del codice penale (gravità del reato e capacità a delinquere del colpevole).

Il giudice deve prevedere se la misura alternativa sia sufficiente a raggiungere la finalità rieducativa della pena e a prevenire la commissione di nuovi reati. In caso di prognosi negativa, la sostituzione deve essere negata.

Nel caso di specie, la Corte ha ritenuto la decisione dei giudici di merito pienamente motivata. Gli elementi considerati – precedenti penali, mancanza di un’attività lavorativa lecita e di una fissa dimora – disegnavano un quadro di precarietà e di inserimento in circuiti criminali. Secondo la Corte, in un simile contesto, lasciare gli imputati liberi sul territorio, senza il contenimento offerto dalla detenzione, non avrebbe garantito la prevenzione di ulteriori reati.

le motivazioni
La Suprema Corte ha chiarito che la valutazione sulla concessione delle pene sostitutive è un giudizio schiettamente di merito, che riposa sulla discrezionalità del giudice. Se questa valutazione è adeguatamente argomentata, come nel caso di specie, non può essere messa in discussione nel giudizio di legittimità. Il giudice ha il dovere di effettuare una prognosi sulla futura condotta del reo. In presenza di un giudizio di pericolosità qualificata e di un concreto pericolo di recidivanza, basato non solo sui precedenti ma anche su condizioni di vita che rendono probabile il ricorso a fonti di sostentamento illecite, il diniego delle misure alternative è pienamente giustificato. La detenzione intramuraria è stata quindi ritenuta l’unica sanzione idonea a prevenire la commissione di nuovi reati.

le conclusioni
La sentenza consolida un principio fondamentale: le pene sostitutive sono uno strumento prezioso, ma il loro impiego deve essere subordinato a una valutazione positiva sulla rieducazione del condannato e sulla tutela della collettività. Un’analisi negativa basata su elementi concreti e oggettivi, come i precedenti specifici e la mancanza di integrazione sociale e lavorativa, costituisce un ostacolo insormontabile alla sostituzione della pena. La decisione riafferma la centralità della prognosi di recidivanza come criterio guida per il giudice nella scelta della sanzione più adeguata al caso concreto, bilanciando le esigenze rieducative con quelle di prevenzione.

Quando può essere negata la sostituzione della pena detentiva con pene sostitutive?
La sostituzione può essere negata quando il giudice, sulla base di elementi concreti come i precedenti penali, la mancanza di un’attività lavorativa lecita e di una fissa dimora, formula una prognosi negativa, ritenendo che esista un elevato rischio che la persona commetta nuovi reati se non sottoposta a regime detentivo.

Cosa si intende per comportamento ‘abituale’ ai fini dell’esclusione della particolare tenuità del fatto?
Secondo la sentenza, il comportamento è considerato abituale quando l’autore ha commesso, anche in precedenza, almeno due illeciti ‘della stessa indole’ oltre a quello per cui si procede. Questa condizione è prevista dalla legge come ostativa all’applicazione del beneficio.

Può la difesa dell’imputato lamentare la mancata presentazione delle conclusioni da parte del Pubblico Ministero in appello?
No. La Corte di Cassazione, richiamando la giurisprudenza prevalente, ha stabilito che tale omissione configura una nullità che attiene esclusivamente alla partecipazione della parte pubblica al procedimento. Di conseguenza, la difesa non ha un interesse giuridicamente tutelato a sollevare tale eccezione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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