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Pene sostitutive: no se c’è rischio di recidiva

Un uomo condannato per spaccio di droga si è visto negare la possibilità di accedere a pene sostitutive come il lavoro di pubblica utilità. Il tribunale ha ritenuto troppo alto il rischio di nuovi reati, basandosi sui suoi numerosi precedenti penali e sulla recidiva specifica. La Corte di Cassazione ha confermato questa decisione, sottolineando che una prognosi negativa fondata su elementi concreti giustifica l’esclusione da benefici alternativi alla detenzione.

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Pubblicato il 21 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Pene sostitutive: quando la storia criminale ne impedisce l’accesso

La recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 17485 del 2025, offre un importante chiarimento sui criteri per la concessione delle pene sostitutive. Il caso analizzato riguarda il rigetto della richiesta di sostituire una pena detentiva con misure alternative, a causa di una prognosi negativa sulla futura condotta del condannato. Questa decisione ribadisce come la valutazione del giudice debba fondarsi su un’analisi completa della personalità e della storia criminale del soggetto, al fine di tutelare la collettività dal rischio di reiterazione dei reati.

I Fatti del Caso

Un individuo, condannato con sentenza definitiva per il reato di cessione di sostanze stupefacenti, aveva presentato un’istanza al Tribunale per ottenere la sostituzione della pena detentiva con il lavoro di pubblica utilità o un’altra misura alternativa. Il Tribunale, in funzione di giudice dell’esecuzione, rigettava la richiesta.

La decisione si basava su diversi elementi negativi:
– La gravità della condotta di spaccio.
– La presenza di una recidiva specifica, reiterata e commessa entro cinque anni da un precedente reato.
– Il fatto che il reato fosse stato commesso mentre l’uomo era già sottoposto a una misura di prevenzione.
– La presenza di numerosi precedenti penali, anche per evasione, e ulteriori carichi pendenti.

Il giudice ha concluso che le pene sostitutive non sarebbero state idonee a rieducare il condannato né a prevenire la commissione di nuovi reati.

Il Ricorso e la Difesa

L’imputato, tramite il suo difensore, ha proposto ricorso in Cassazione, lamentando un’erronea applicazione della legge e una contraddittorietà nella motivazione. La difesa ha sostenuto che la prognosi negativa del Tribunale fosse in contrasto con una precedente ordinanza del Tribunale di Sorveglianza, che aveva ammesso il condannato all’affidamento in prova al servizio sociale, prescrivendogli la frequenza dei servizi per le dipendenze (SERD) e lo svolgimento di un’attività lavorativa. Secondo la difesa, questo provvedimento dimostrava una valutazione positiva sulla sua capacità di reinserimento.

Le motivazioni della Cassazione sul diniego delle pene sostitutive

La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, ritenendolo infondato. I giudici supremi hanno confermato la correttezza della decisione del Tribunale, sottolineando che la valutazione per la concessione delle pene sostitutive deve essere autonoma e basata su un giudizio prognostico completo.

La Corte ha evidenziato che il giudice dell’esecuzione aveva correttamente formulato una prognosi negativa sulla capacità del condannato di rispettare le prescrizioni e sul rischio di recidiva. Questa valutazione era supportata da elementi concreti e gravi:
1. Gravità della condotta: Il tipo e la diversità delle sostanze stupefacenti detenute.
2. Recidiva qualificata: Un chiaro indicatore di una persistente tendenza a delinquere.
3. Contesto criminale: La presenza di altre persone con precedenti penali nel suo domicilio durante l’applicazione di una misura di prevenzione.
4. Natura dei precedenti: I reati passati includevano crimini contro la persona, la fede pubblica, la normativa sugli stupefacenti, l’evasione e la violazione degli obblighi della sorveglianza speciale.

La Cassazione ha inoltre valorizzato le informazioni fornite dalle autorità di pubblica sicurezza, che confermavano un quadro di pericolosità sociale. Il fatto che un altro organo giudiziario (il Tribunale di Sorveglianza) avesse concesso l’affidamento in prova non è stato ritenuto vincolante, poiché la valutazione del giudice dell’esecuzione deve basarsi su tutti gli elementi a sua disposizione al momento della decisione.

Le conclusioni

La sentenza stabilisce un principio chiaro: la concessione delle pene sostitutive non è un automatismo, ma il risultato di un’attenta valutazione discrezionale del giudice. Una storia criminale significativa, caratterizzata da recidiva e dalla violazione di precedenti misure, costituisce un valido motivo per formulare una prognosi negativa. Anche in presenza di percorsi di recupero avviati, il giudice deve bilanciare l’obiettivo rieducativo con l’esigenza di prevenire nuovi reati, e può legittimamente negare il beneficio se ritiene che il rischio per la società sia ancora troppo elevato. La decisione finale deve poggiare su un’analisi complessiva della personalità del reo e del suo vissuto, non solo su singoli episodi positivi.

Perché è stata negata la richiesta di pene sostitutive?
La richiesta è stata negata perché il giudice ha formulato una prognosi negativa sulla futura condotta del condannato. Ha ritenuto che ci fosse un elevato rischio di reiterazione dei reati, basandosi sulla gravità della condotta, sulla recidiva specifica e reiterata, e sui numerosi precedenti penali, inclusa l’evasione.

Un precedente provvedimento favorevole (come l’affidamento in prova) non dovrebbe influenzare la decisione sulle pene sostitutive?
Secondo la Cassazione, una precedente decisione favorevole, come la concessione dell’affidamento in prova da parte del Tribunale di Sorveglianza, non vincola il giudice dell’esecuzione. Quest’ultimo deve compiere una valutazione autonoma e completa, basata su tutti gli elementi a sua disposizione, per determinare se il condannato sia idoneo a beneficiare delle pene sostitutive.

Quali elementi ha considerato il giudice per formulare la prognosi negativa?
Il giudice ha considerato una serie di elementi: la gravità del reato di spaccio, la recidiva qualificata, la presenza di altre persone con precedenti penali nel domicilio del condannato durante una misura di prevenzione, la natura dei suoi precedenti penali (reati contro la persona, stupefacenti, evasione) e le informazioni fornite dalle autorità di pubblica sicurezza.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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