Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 5136 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 5 Num. 5136 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 14/11/2023
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a ROMA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 13/10/2023 del TRIBUNALE di ROMA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; si è proceduto ai sensi dell’art. 610 comma 5 bis c.p.p.
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RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 13 ottobre 2023, il Tribunale di Roma ha applicato a NOME COGNOME la pena di anni 2 di reclusione ed euro 800 di multa (ritenute le circostanze attenuanti generiche equivalenti alle contestate aggravanti, in esse ricompresa la recidiva specifica, reiterata, infraquinquennale), concordata fra le parti ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., per il delitto di cui agli artt. 624 e nn. 2 e 7 cod. pen., per essersi impossessato del motociclo TARGA_VEICOLO e dei due caschi ad esso assicurati (con un cordino in acciaio), di proprietà di NOME COGNOME, forzando il bloccasterzo del motociclo e rimuovendo il sistema di allarme satellitare.
L’imputato ha proposto ricorso, a mezzo del proprio difensore, deducendo la violazione di legge ed il difetto di motivazione in relazione all’omessa applicazione del combinato disposto degli artt. 545 bis cod. proc. pen. e 53 legge n. 689/1981.
Il giudice, pronunciata la sentenza, avrebbe dovuto, in applicazione delle norme citate, dare avviso all’imputato – condannato ad una pena detentiva non superiore ad anni 4 di reclusione senza che gli fosse concessa la sospensione condizionale della pena – che, ricorrendone le condizioni, avrebbe potuto richiedere la sostituzione della pena detentiva con una delle pene sostitutive previste dall’art. 53 della legge n. 689 del 1981.
Avviso che, invece, non era stato fatto. Così che non si era addivenuti alla sostituzione della pena.
Doveva, così, annullarsi la sentenza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
L’art. 545 bis cod. proc. pen. – inserito dall’art. 31, comma 1 d.lgs. 10 ottobre 2022 n. 150, in vigore ai sensi dell’art. 6 del d.l. 31 ottobre 2022 n. 6 dal 30 dicembre 2022 – prevede al primo comma, come si è osservato nel ricorso, che:
“1. Quando è stata applicata una pena detentiva non superiore a quattro anni e non è stata ordinata la sospensione condizionale, subito dopo la lettura del dispositivo, il giudice, se ricorrono le condizioni per sostituire la pena detentiva con una delle pene sostitutive di cui all’articolo 53 della legge 24 novembre 1981, n. 689, ne dà avviso alle parti. Se l’imputato, personalmente o a mezzo di
procuratore speciale, acconsente alla sostituzione della pena detentiva con una pena diversa dalla pena pecuniaria, ovvero se può aver luogo la sostituzione con detta pena, il giudice, sentito il pubblico ministero, quando non è possibile decidere immediatamente, fissa una apposita udienza non oltre sessanta giorni, dandone contestuale avviso alle parti e all’ufficio di esecuzione penale esterna competente; in tal caso il processo è sospeso.”.
L’avviso di cui la difesa discute è, pertanto, oggi previsto ma, dalla lettera stessa della norma, appare evidente come questo non costituisca un obbligo incondizionato del giudice, che deve, infatti, rivolgerlo all’imputato solo quando ritenga che sussistano le condizioni per addivenire alla sostituzione della pena irrogata.
Peraltro, non si evince né dal medesimo art. 545 bis cod. proc. pen., né da altre norme (ad esempio, l’art. 546, relativo ai requisiti della sentenza, e l’art. 604, in cui si enumerano le ragioni di nullità del grado di giudizio) che l’avviso di cui al primo comma dell’art. 545 bis sia previsto a pena di nullità. Del resto, anche con le modifiche apportate dal medesimo d.lgs. n. 150 del 2020 alla legge n. 689 del 1991, il giudice mantiene, ai sensi dell’art. 58 della legge da ultimo citata, un “potere discrezionale del giudice nell’applicazione e nella scelta delle pene sostitutive”, così che non appare prospettabile far derivare una nullità di tipo formale e processuale dal mancato esercizio dello stesso.
Una questione che, nel ricorso, non si è neppure affrontata.
Ciò premesso ed osservato, deve anche aggiungersi che, nello stesso d.lgs. n. 150 del 2022 si è provveduto a coordinare il nuovo art. 545 bis con l’art. 448 cod. proc. pen., in tema di sentenza di patteggiamento, introducendo, in quest’ultimo, il comma 1 bis che così recita:
“quando l’imputato e il pubblico ministero concordano l’applicazione di una pena sostitutiva di cui all’articolo 53 della legge 24 novembre 1981, n. 689, il giudice, se non è possibile decidere immediatamente, sospende il processo e fissa una apposita udienza non oltre sessanta giorni, dandone contestuale avviso alle parti e all’ufficio di esecuzione penale esterna competente. Si applica, in quanto compatibile, l’articolo 545 bis, comma 2 “.
Se ne deduce, allora, considerando l’inequivoca lettera della norma, che, nel caso della sentenza di patteggiamento, la sostituzione della pena detentiva debba essere già prevista dall’accordo, e tale approdo è anche confermato dal fatto che, nel medesimo art. 448, si rinvia al solo cornma secondo dell’art. 545 bis che si limita a precisare le modalità attraverso le quali il giudice può assumere informazioni utili al fine di decidere sulla sostituzione della pena detentiva.
L’art. 448, comma 1 bis, non rinvia, infatti, né al comma 1 dell’art. 545 bis, che prevede, appunto, l’avviso, né al comma 3, in cui si dispone l’integrazione del dispositivo della sentenza – con la sostituzione della pena detentiva – integrazione così che non è stata prevista nel caso della sentenza di patteggiamento (in conseguenza proprio della non applicabilità dell’avviso di cui a I comma 1, dopo la già avvenuta irrogazione della pena detentiva).
Proprio tali considerazioni hanno indotto questa Corte, in recenti pronunce (Sez. 4, n. 32357 del 09/05/2023, COGNOME, Rv. 284925 e Sez. 6, n. 30767 del 28/04/2023, COGNOME, Rv. 284978), a confermare il sopra enunciato principio di diritto, affermando, appunto, che la disposizione di cui all’alt 545-bis, comma 1, cod. proc. pen., introdotto con d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, che prevede come, nel caso di pronuncia di condanna a una pena detentiva non superiore a quattro anni, il giudice abbia l’obbligo di dare avviso alle parti della possibilità di convertir la detta pena nelle sanzioni sostitutive, non si applica al procedimento che conduce alla definizione del giudizio con pena patteggiata, trattandosi di norma dettata, per ragioni di carattere testuale e sistematico, esclusivamente per il giudizio ordinario.
Deve solo aggiungersi, per completezza, che, sempre con il d.lgs. n. 150 del 2022, si è anche modificato il primo comma del richiamato art. 53 della legge 24 novembre 1981 n. 689, in tema di “sostituzione delle pene detentive brevi”, che ora così recita:
“Il giudice, nel pronunciare sentenza di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale, quando ritiene di dover determinare la durata della pena detentiva entro il limite di quattro anni, può sostituire tale pena con quella della semilibertà o della detenzione domiciliare; quando ritiene di doverla determinare entro il limite di tre anni, può sostituirla anche con il lavoro di pubblica utilità; quando ritiene di doverla determinare entro il limite di un anno, può sostituirla altresì con la pena pecuniaria della specie corrispondente, determinata ai sensi dell’articolo .56-quater.”.
Se ne deduce che il giudice, anche quando sia stato raggiunto l’accordo fra le parti ai sensi e per gli effetti di cui agli artt. 444 e ss. cod. proc. pen., mantiene potere (di propria iniziativa o su istanza delle parti, non riversata nell’accordo) di convertire, qualora ritenga ne sussistano i presupposti, la pena detentiva in una pena alternativa, così pronunciandosi in sentenza.
Si tratta però di una eventualità non ricorrente nel presente processo, posto che l’odierno imputato non aveva fatto istanza al giudice di avvalersi del suo potere di sostituzione della pena – al di fuori dell’accordo sulla stessa già raggiunto con
con la pubblica accusa – così da non potersi oggi dolce del suo mancato esercizio (come peraltro non si era fatto nel ricorso, essendosi limitata, la difesa, a sollevare la questione inerente il mancato avviso previsto all’art. 545-bis, comma 1, cod. proc. pen.).
Quanto, infine, alla procedura da seguire nel decidere l’odierno ricorso, da parte di questa Corte, occorre ricordare che l’art. 610, comrna 5 bis (introdotto dall’art. 1, comma 62, della legge 23 giugno 2017, n. 103, in vigore dal 3 agosto 2017), in tema di giudizio di legittimità, così dispone:
“Nei casi previsti dall’articolo 591, comma 1, lettere a), limitatamente al difetto di legittimazione, b), c), esclusa l’inosservanza delle disposizioni dell’articolo 581, e d), la corte dichiara senza formalità di procedura l’inammissibilità del ricorso. Allo stesso modo la corte dichiara l’inammissibilità del ricorso contro la sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti e contro la sentenza pronunciata a norma dell’articolo 599 bis. Contro tale provvedimento è ammesso il ricorso straordinario a norma dell’articolo 625 bis.”.
Se ne deduce che, quando si prospetti la decisione di inammissibilità del ricorso, questo debba essere, comunque, deciso “senza formalità di procedura”.
La formula generica adottata nella norma, infatti, non consente di affermare che la procedura trovi applicazione nei soli casi in cui non si deducano, ai sensi dell’art. 448, comma 2 bis (anch’esso aggiunto dalla legge n. 103 del 2017) gli unici motivi di censura non, in radice, inammissibili:
“Il pubblico ministero e l’imputato possono proporre ricorso per cassazione contro la sentenza solo per motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato, al difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto e all’illegalità della pena o della misura d sicurezza.”.
Così che risulta corretta la procedura “senza formalità” adottata nell’odierna fase di legittimità, prospettandosi quella inammissibilità del ricorso che viene qui dichiarata.
All’inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, versando il medesimo in colpa, anche della somma di euro 4.000 a favore della Cassa delle ammende.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di euro 4.000 a favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, in Roma il 14 novembre 2023.